TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 26 gennaio 2017

Gramsci e Bordiga nel biennio rosso: tattica astensionista e consigli operai



Nella “sinistra comunista” del PSI gli anni 1919-1920 furono segnati da un vivace dibattito sul che fare. Poco si fece invece sul piano concreto col risultato che quando, nel gennaio 1921, il Partito comunista nacque l'ondata rivoluzionaria era in riflusso mentre cresceva la reazione fascista.

Giorgio Amico

Gramsci e Bordiga nel biennio rosso: tattica astensionista e consigli operai

L'eco della rivoluzione russa unita alla disfatta di Caporetto mette a nudo l'ipocrisia del "né aderire, né sabotare". In una riunione della sinistra rivoluzionaria (Firenze, 18 novembre 1917) Bordiga è l'unico ad avanzare apertamente l'ipotesi di una decisa azione rivoluzionaria. (9) Gramsci tace e Serrati ha buon gioco a mantenere la sinistra del partito al'interno del tradizionale gioco delle correnti che da sempre connota il socialismo italiano. Bordiga, che pure non ha più illusioni sulla recuperabilità a fini rivoluzionari del PSI,(10) nei fatti agevola questo tentativo. Infatti, l'intransigenza con cui egli pone la pregiudiziale astensionista rappresenta un serio ostacolo alla formazione immediata di una unica frazione comunista.

"Era certezza in Bordiga - scrive il "milanese" Fortichiari - di poter uscire dal ristretto e deformante ambito del Sud per estendere ai principali centri di Italia la corrente che egli animava. Questo calcolo gli fece minimizzare il peso dei gruppi della sinistra socialista sfavorevoli alla sua pregiudiziale; egli propendeva, in fondo, ad una selezione intransigente senza tener conto dell'urgenza degli avvenimenti". (11)

E' un'osservazione corretta, Bordiga mostra di non dare soverchia importanza alla questione dei tempi e di non comprendere come in quella fase il problema dell'astensionismo rappresentasse un elemento di fatto secondario in una corretta strategia rivoluzionaria. (12) Almeno fino a tutto il 1920 resterà così irrisolto il nodo vero, rappresentato dal centrismo di Serrati a cui l'intransigenza di Bordiga va in definitiva ad offrire un comodo alibi. (13)

Oltre alla Russia anche la forte ascesa delle lotte operaie costringe i rivoluzionari del PSI ad andare oltre il vuoto rivoluzionarismo verbale del partito. L'ondata operaia che tocca il suo culmine nell'aprile del 1920 con lo "sciopero delle lancette", non va solo diretta politicamente, ma anche compresa teoricamente, pena il riflusso e l'avanzata della reazione. E' una lotta contro il tempo che i rivoluzionari perderanno, tanto che l'occupazione delle fabbriche si svolge già interamente nel segno del riflusso. Se nella sinistra rivoluzionaria tutti sostengono la necessità della generalizzazione delle lotte, ci si divide su chi debba assicurare la guida degli scioperi.

A Torino il gruppo de l'Ordine Nuovo punta tutto sul ruolo dirigente dei consigli operai assimilati ai soviet russi. Gramsci intende fare del soviettismo la base per il rinnovamento rivoluzionario del PSI e della CGL e il motore stesso della rivoluzione proletaria in Italia e ciò a partire dalla trasformazione delle commissioni interne, concepite come "embrione di soviet", in consigli di fabbrica. Il tutto con una oggettiva sottovalutazione non solo del ruolo del partito ridotto a mero coordinatore di un movimento dei consigli destinato a svilupparsi con dinamiche proprie, ma anche della tradizionale funzione di coordinamento territoriale delle istanze di fabbrica svolto dalle Camere del Lavoro. (14)


Su queste posizioni Gramsci è isolato, tanto da essere messo in minoranza all'interno dello stesso gruppo dell'Ordine nuovo. Dal canto suo, Bordiga gli rimprovera di credere "che il proletariato possa emanciparsi guadagnando terreno nei rapporti economici, mentre ancora il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico" e di contrapporre un organo che non può che essere di natura parziale all'unico possibile strumento generale di liberazione del proletariato, il partito di classe. Per il rivoluzionario napoletano, ancorarsi allo schema dei consigli significa preoccuparsi della creazione degli istituti del potere socialista più che della conquista del potere. E' sbagliato, ammonisce dalle pagine de "Il Soviet", "fare la questione del potere nella fabbrica anzichè la questione del potere politico centrale". (15)

A differenza di Gramsci, Bordiga non crede nel carattere di per se rivoluzionario dei consigli. Determinante è per lui anche in questo il ruolo di direzione del partito alla cui costruzione occorre subordinare qualunque altra preoccupazione. Per questo nel 1920 egli abbandona il tema delle lotte operaie, a cui pure aveva dedicato grande attenzione nel 1918-1919, (16) per impegnarsi a fondo nella costruzione nazionale della sua frazione. Elemento del tutto trascurato da Gramsci che crede nella possibilità di una spontanea rifondazione in senso classista del PSI proprio a partire dalle lotte di fabbrica. Ad aprile nel pieno dello "sciopero delle lancette" redige le sue tesi "Per un rinnovamento del Partito Socialista". L'esito è negativo. Le tesi vengono di fatto ignorate dal partito, che anzi contribuisce fortemente al soffocamento della vertenza. (17) Lo stesso Serrati, su cui egli ripone non poche speranze, si rivela sostanzialmente subalterno al gruppo dirigente riformista del PSI e della CGL che arretra davanti alla richiesta di trasformare gli scioperi in lotta aperta per il potere.

E' questa sconfitta a spingere Gramsci verso un Bordiga che non smette di proclamare la necessità di un nuovo partito. del tutto diverso da quello fondato a Genova nel 1892. Nuovi compiti attendono il proletariato, occorre un nuovo tipo di militante comunista, il partito va ricostruito a partire dall'esperienza viva dell'illegalismo bolscevico:

"Noi - denuncia Bordiga - siamo vissuti nella democrazia borghese: non abbiamo una stanza per nascondere un compagno, non abbiamo un timbro per falsificare i passaporti, non abbiamo cose che servano a questo lavoro rivoluzionario. Noi consideriamo ancora il problema secondo la vecchia mentalità: le armi il proletariato potrà trovarle, ma il partito manca di mezzi tattici per l'azione che si chiama illegale; ne manca completamente perchè si lascia attrarre dalle insidie della democrazia borghese, che lo sovraccarica di compiti minimi e riesce così a spezzare la sua azione". (18)

Nonostante le profonde divergenze, i gruppi del 'Soviet' e de 'L' Ordine nuovo', convergono ormai apertamente contro tutte quelle forze, massimalisti in primo luogo, che si ostinano a non voler rompere con una tradizione socialista ormai esausta. Agli inizi del maggio 1920 Gramsci è a Firenze come osservatore alla conferenza nazionale della Frazione comunista astensionista. Nonostante sia colpito dalle dimensioni consistenti raggiunte dalla Frazione, egli non nasconde le sue perplessità rispetto al mantenimento della pregiudiziale astensionista, base troppo "ristretta" per permettere la nascita del partito comunista. (19)

L'occupazione delle fabbriche, con l'aperto rifiuto della direzione riformista del PSI e della CGL di assumere la direzione della lotta, è la definitiva conferma di quanto da sempre Bordiga va enunciando. Senza un forte e compatto partito rivoluzionario non esiste sbocco possibile ad una situazione che pure è rivoluzionaria. La lotta per il potere non si esaurisce nella fabbrica, ma deve investire direttamente lo Stato borghese.

Nell' ottobre 1920, a poche settimane dalla chiusura del Secondo Congresso dell'Internazionale comunista, si riuniscono a Milano le componenti della sinistra socialista favorevoli all'espulsione dei riformisti e alla trasformazione del PSI in un autentico partito comunista. Bordiga, che a Mosca ha avuto sulla questione del parlamentarismo un duro scontro con Lenin, rinuncia ufficialmente alla pregiudiziale astensionista e si dichiara pronto ad accettare la partecipazione del partito alle ormai prossime elezioni amministrative. La svolta di Bordiga rimuove i residui ostacoli sulla via dell'unificazione dei gruppi comunisti. Bordiga, Repossi, Fortichiari, Gramsci, Terracini, Bombacci e Misiano vengono chiamati a far parte di un "Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista" che subito nomina un esecutivo centrale formato da due astensionisti (Bordiga e Fortichiari) e da un massimalista di sinistra (Bombacci).

L'esito della riunione chiarisce che solo i bordighiani possiedono un peso tale da supportare nazionalmente l'azione scissionistica. Gramsci rientra a Torino pienamente conquistato all'inevitabilità della rottura, fermamente convinto che se si intende realmente sbloccare in senso rivoluzionario la situazione, occorre affidarsi a Bordiga la cui frazione ha ormai solide ramificazioni un pò in tutta Italia. Ma troppo è il tempo perso. L'unificazione avviene con il movimento proletario costretto a difendersi dagli attacchi sempre più violenti della reazione.

"Nella fase culmine del dopoguerra - scrive uno dei protagonisti di quella stagione - la rivoluzione proletaria non aveva avuto il suo partito e da questi una organizzazione e una direzione adeguate a tale prospettiva, nè l'opposizione, del resto assai viva nel PSI, era in grado di sostituirlo in questo compito dato che i gruppi che facevano capo al Soviet di Napoli avevano esaurito la loro capacità d'iniziativa in un'azione infeconda basata sull'astensionismo politicamente troppo unilaterale, angusto e scarsamente sentito dalle masse, e i gruppi torinesi degli ordinovisti, chiusi nella città della grande industria, erano caduti in una fase di scetticismo; falliti i consigli nella grande prova come organi autosufficienti del proletariato,erano stati abituati a credere ancora, nonostante tutto, nel partito socialista e non nella necessità storica della formazione del partito rivoluzionario". (20)

Si tratta di considerazioni largamente condivisibili. (21) Chi, appoggiandosi sulla riflessione critica che Gramsci fa nel '24 dell'intera esperienza di Livorno, rimprovera a Bordiga di aver voluto una scissione minoritaria, mostra di non cogliere la complessità della fase e la brusca accelerazione dei tempi dello scontro di classe rispetto ai tempi più lunghi della politica. (22) Se un appunto va fatto a Bordiga è semmai di non avere tento conto a sufficienza del fattore tempo. Se un limite c'è nel partito di Livorno, questo consiste non nella sua troppo ristretta base di partenza, ma nell'essere nato in ritardo rispetto ai tempi della rivoluzione, quando il proletariato è già in piena ritirata sotto i colpi della reazione fascista. Lenin stesso pare pensarlo, almeno a partire dall'autunno 1920, quando ricorda ai compagni italiani che il pericolo non consiste, come pare credere Serrati, nell' indebolimento del PSI a causa dell'uscita dei comunisti, ma nel sabotaggio della rivoluzione da parte dei massimalisti prigionieri dei loro scrupoli unitari. (23)


Note

(9) "Bordiga analizzò la situazione in Italia. Constatò la disfatta sul fronte, la disorganizzazione dello Stato italiano e terminò con queste parole: 'Bisogna agire. Il proletariato delle fabbriche è stanco. Ma è armato. Noi dobbiamo agire'. Gramsci era dello stesso parere. Serrati, Lazzari e la maggioranza dei presenti si pronunciarono per il mantenimento della vecchia tattica: non aderire, né sabotare la guerra". (G. Germanetto, Souvenirs d'un perruquier, Paris 1931, p. 113. Nelle successive edizioni italiane, in ossequio alle direttive togliattiane di non parlare affatto di Bordiga o di parlarne male, il passo sparisce.
(10) Non concordiamo con la tesi di Franco De Felice secondo cui Bordiga resta per tutto un periodo convinto della possibilità di un recupero di gran parte dell'area massimalista. (De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia 1919-1920, pp.129-130.
(11) B. Fortichiari, Comunismo e revisionismo in Italia, Torino 1978, p. 38.
(12) E' quanto sostiene O. Damen, figura storica del "bordighismo" italiano (Gramsci tra marxismo e idealismo, Milano 1988, p. 80).
(13) L'atteggiamento di Bordiga si spiega in parte con la frammentaria conoscenza delle reali posizioni dei russi. Solo nel dicembre 1919, quando giunse in Italia e fu pubblicato sull'Avanti, il testo dei due messaggi nei quali Lenin esortava i comunisti dell'Europa occidentale a partecipare alle elezioni politiche, risultò manifestamente chiaro che l'astensionismo di principio era estraneo all'autentica esperienza bolscevica. Nonostante ciò, la Frazione non aggiorna le proprie posizioni. L'11 gennaio 1920 Bordiga manda una lunga lettera a Mosca allegando i documenti della sua frazione. Il contrasto sulla tattica si sposta dal PSI all'Internazionale comunista. Lenin, che deve già fronteggiare l'operaismo esasperato della sinistra tedesca, risponderà con l'opuscolo sull'estremismo. La lettera di Bordiga è riprodotta in Storia della sinistra comunista 1919-1920, Milano 1972, pp. 113-115.
(14) Cfr. a questo proposito gli scritti raccolti in A. Gramsci, L'Ordine Nuovo, Torino 1975. Proprio su questa diversa valutazione del ruolo delle CdL si compirà la rottura con Tasca e la maggioranza del gruppo ordinovista. Cfr. per un'approfondita ricostruzione del contrasto nel gruppo torinese lo studio di Francesco Trocchi (Angelo Tasca e l' Ordine Nuovo, Milano 1973).
(15) A. Bordiga, Per la costituzione dei consigli operai in Italia, Il Soviet 4 e 11 gennaio - 1, 8 e 22 febbraio 1920; ora in Storia della sinistra comunista 1919-1920, cit., pp. 278-293.
(16) Sul ruolo dirigente svolto da Bordiga nelle lotte operaie fra il 1918 e il 1919 si sofferma in particolare la De Clementi. (Amadeo Bordiga, Torino 1971, pp. 59-75).
(17) A. Gramsci, Per un rinnovamento del Partito Socialista, L'Ordine Nuovo 8 maggio 1920; ora in L'Ordine Nuovo, cit., pp. 116-123. Le Tesi avranno più successo a Mosca nel corso del Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista. (Cfr. Lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma 1970, p. 194).
(18) Storia della sinistra comunista 1919-1920, cit., p. 353.
(19) Sui rapporti tra Bordiga e Gramsci nel 1920 si sofferma Giuseppe Fiori che, però, a nostro parere tende a dare un quadro troppo esasperato della situazione. Cfr. G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Bari 1973, p. 152 e sgg.
(20) O.Damen, Gramsci tra marxismo e idealismo, cit., p. 83.
(21) Ritardi ed esitazioni, quelle de 'L'Ordine Nuovo', di cui si trova conferma nelle memorie di Umberto Terracini che testimonia come Gramsci si ostinasse a lungo a ritenere "possibile imprimere un indirizzo nuovo al PSI" (U. Terracini, Quando diventammo comunisti, Milano 1981, p. 40).
(22) "Fummo sconfitti - scrive Gramsci nel 1924 - perchè la maggioranza del proletariato organizzato politicamente ci diede torto, non venne con noi, quantunque avessimo dalla nostra parte l'autorità e il prestigio dell'Internazionale, che erano grandissimi e sui quali ci eravamo fidati. Non avevamo saputo condurre una campagna sistematica, tale da essere in grado di raggiungere e di costringere alla riflessione tutti i nuclei e gli elementi costitutivi del partito socialista, non avevamo saputo tradurre in linguaggio comprensibile a ogni operaio e contadino italiano il significato di ognuno degli avvenimenti italiani degli anni 1919-20 (...) Fummo -bisogna dirlo- travolti dagli avvenimenti". (Contro il pessimismo, L'Ordine Nuovo, 15 marzo 1924; ora in La costruzione del Partito Comunista, Torino 1971, pp. 16-20).
(23) "Serrati - scrive Lenin - teme che la scissione indebolisca il partito, in particolar modo i sindacati, le cooperative ed i comuni. I comunisti invece temono il sabotaggio della rivoluzione da parte dei riformisti. Avendo nelle proprie file dei riformisti, non si può vincere nella rivoluzione proletaria, non si può difenderla. Quindi Serrati mette a repentaglio le sorti della rivoluzione per non danneggiare l'amministrazione comunale di Milano. Oggi in Italia si avvicinano battaglie decisive del proletariato contro la borghesia per la conquista del potere statale. In un momento simile non solo è assolutamente indispensabile allontanare dal partito i riformisti, i turatiani, ma può esser utile persino allontanara da tutti i posti di responsabilità anche degli eccellenti comunisti che sono suscettibili di tentennare e manifestano delle esitazioni nel senso della "unità" con i riformisti (...) il partito non si indebolirà, ma si rafforzerà cento volte di più se i riformisti si allontaneranno completamente dalle sue file e se dalla sua direzione si allontaneranno anche eccellenti comunisti, come sono probabilmente i membri dell'attuale direzione del partito, Baratono, Zannerini, Bacci, Giacomini, Serrati". (Lenin, Sul movimento operaio italiano, cit., pp. 202-218)


2. Continua