TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 25 gennaio 2017

Guerra e rivoluzione alle origini del comunismo italiano



Nel gennaio 1921 nasceva a Livorno il Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale Comunista. Un avvenimento destinato a segnare in profondità la storia del nostro paese. Ne ripercorriamo le tappe, riprendendo una serie di articoli apparsi alla fine degli anni '90.


Giorgio Amico

Guerra e rivoluzione alle origini del comunismo italiano

Che la guerra portasse in se i germi della rivoluzione era pacifico per il movimento operaio di inizio secolo. La stessa esperienza eroica della Comune di Parigi stava a testimoniarlo. Quello che il marxismo economicistico della Seconda Internazionale non poteva prevedere era che la "vecchia talpa" scegliesse per riapparire un paese arretrato come la Russia, da sempre considerato il più munito bastione dell'assolutismo. Naturale, dunque, lo sconcerto dei riformisti che, Kautsky in testa, tentano di ridurre la portata degli avvenimenti allo specifico russo, negandone la traducibilità in Occidente. Altrettanto naturale l'entusiasmo con cui in tutta Europa una generazione di giovani, formatasi nell'esperienza sanguinosa della guerra, saluta nell'Ottobre l'annunciarsi di una nuova epoca che risponde con la chiarezza suggestiva dei fatti concreti ad una serie di interrogativi e di problemi che sul campo teorico parevano insolubili e che ora la critica delle armi scioglie vittoriosamente. (1)

E' la Russia arretrata a porre all'Occidente avanzato il problema della rivoluzione nei termini storicamente concreti del bolscevismo. "La visione della rivoluzione russa e il clima del dopoguerra italiano - scrive uno dei protagonisti di quegli anni - ci parevano annunziare una rivoluzione prossima anche in Italia, che bisognava preparare e far trionfare (...) E i dissensi che si manifestarono poi (...) furono dissensi sul modo e sulle istituzioni che potevano assicurarci la vittoria." (2)

In un partito tradizionalmente zeppo di "professori" e di intellettuali autorevoli come il PSI, sono due giovani, il ventiseienne Antonio Gramsci e il ventottenne Amadeo Bordiga, a tentare una interpretazione complessiva dei fatti russi che possa fungere da guida per una rivoluzione considerata imminente. I due vengono da esperienze diverse e hanno storie diverse alle spalle. Bordiga è già dalla fine del primo decennio del 1900 un leader affermato dei giovani socialisti, capace nel 1914 di contrapporsi da pari a pari a un Mussolini avviato sulla via del tradimento.

Gramsci è un intellettuale dalla vastissima cultura, ma dalla scarsa esperienza politica, quasi sconosciuto al di fuori di Torino. Anche l'approccio al marxismo dei due è diverso: fortemente intellettuale quello di Gramsci filtrato attraverso Bergson, Sorel, Croce; deterministico, con forti venature positivistiche, quello di Bordiga. Coerentemente con la sua formazione Gramsci vede nell'operato di Lenin e dei bolscevichi una forzatura volontaristica del determinismo economico marxiano e lo saluta come una positiva rottura delle "incrostazioni positivistiche e naturalistiche" della vulgata marxista. E' una interpretazione ancora fortemente intrisa di idealismo che riecheggia la polemica antideterministica del Mussolini socialista rivoluzionario e che evidenzia non solo un entusiastico consenso, ma anche la volontà di interpretare la esperienza russa in un modo più prossimo alla propria esperienza che allo svolgimento obiettivo dei fatti. (3)

Completamente diverso l'approccio di Bordiga, interessato più di ogni altra cosa a dimostrare come il bolscevismo rappresenti una conferma piena del marxismo. Per Bordiga in Russia si è celebrato il trionfo definitivo del Manifesto del partito comunista e in generale della strategia marxiana del 1848, incentrata sul dialettico intrecciarsi di istanze democratico-borghesi e aspirazioni proletarie:

"La chiave della situazione russa - egli scrive - sta nel gioco di queste due grandi correnti suddivise in molte sfumature, che, alleate di fatto finché il comune nemico era in piedi, si rivelano all'indomani del trionfo sul vecchio regime opposte ed antitetiche, storicamente inconciliabili (...) Si comprende che i socialisti lavorano all'attuazione di un programma dalle linee semplici e grandiose, - quello stesso del Manifesto dei comunisti - cioè la espropriazione dei privati detentori dei mezzi di produzione, mentre procedono logicamente e conseguentemente a liquidare la guerra". (4)


Mentre il pensiero di Bordiga può dirsi già definito nelle sue strutture portanti, il marxismo di Gramsci risente ancora fortemente di quell'attivismo che nell'ottobre 1914 lo aveva collocato a fianco di Mussolini a sostenere la teoria della "neutralità attiva e operante". Se allora i rivoluzionari erano definiti come coloro che "concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione)",(5) ora i bolscevichi diventano coloro che "rinnegano Carlo Marx, affermano con la testimonianza dell'azione esplicata, delle conquiste realizzate, che i canoni del materialismo storico non sono così ferrei come si poteva pensare e si è pensato". Coloro che "vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche". Per cui "massimo fattore di storia" non sono "i fatti economici, bruti", ma è la volontà degli uomini "motrice dell'economia, plasmatrice della realtà oggettiva, che vive e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebullizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace, come alla volontà piace". (6)

Un Gramsci, dunque, socialista rivoluzionario, ma non ancora compiutamente marxista, fortemente influenzato da tendenze bergsoniane, idealistiche, salveminiane e anche mussoliniane (7) che confluiscono in uno storicismo attivistico destinato a durare a lungo nonostante la pur positiva evoluzione successiva e a condizionare negativamente il suo concreto agire politico. Un elemento da non sottovalutare, se si vuole meglio comprendere il ruolo tutto sommato secondario che egli gioca nella preparazione di Livorno.

"Quella sua, - nota Giuseppe Berti - sia pur passeggera, crisi 'interventista', quindi, non fu una bazzeccola perchè gli impedì di ritrovare il leninismo già in Zimmerwald e Kienthal. In questo egli ritardò non soltanto nei confronti dei bolscevichi, ma nei confronti degli stessi socialisti internazionalisti italiani, di Serrati, di Bordiga, di Terracini, di Tasca e delle migliaia di modesti militanti socialisti che prima in una posizione neutralistica, e poi in una posizione di lotta più esplicita e chiara, sin dal 1914-15 presero posizione contro la guerra". (8)



(1) "I diversi aspetti ed i successivi episodi di questa rivoluzione -scrive Bordiga- rispondono con chiarezza suggestiva ad una serie di punti interrogativi, di problemi che nel campo teorico potevano seguitare ad essere indefinitamente discussi, ma che la realtà di oggi e di domani va sistemando e chiudendo per sempre...". (A. Bordiga, Gli insegnamenti della nuova storia, Avanti!, 16 febbraio 1918, ora in Storia della sinistra comunista, vol. 1 bis, Milano 1966).
(2) A. Tasca, I primi dieci anni del PCI, Bari 1971, p. 98.
(3) A. Caracciolo, A proposito di Gramsci, la Russia e il movimento bolscevico; in AA.VV., Studi gramsciani, Roma 1973, p. 78.
(4) A. Bordiga, La rivoluzione russa, L'Avanguardia, 11 novembre 1917; ora in Storia della sinistra comunista, vol. I, Milano 1964, pp. 330-331
(5) A. Gramsci, Neutralità attiva e operante, Il Grido del Popolo, 31 ottobre 1914; ora in Scritti giovanili 1914-1918, torino 1958, pp. 3-7.
(6) A. Gramsci, La rivoluzione contro il "Capitale", Avanti!, 24 novembre 1917; ora in Scritti giovanili, cit., pp. 149-153
(7) "L'azione -scrive quasi nello stesso periodo Mussolini - ha ragione degli schemi consegnati nei libri. L'azione forza i cancelli sui quali sta scritto "vietato". I pusillanimi si fermano, gli audaci attaccano e rovesciano l'ostacolo". (B. Mussolini, Osare!, Il Popolo d'Italia, 13 giugno 1918; ora in E. Santarelli (a cura di), Scritti politici di Benito Mussolini, Milano 1979, p. 178).
(8) G. Berti, I primi dieci anni di vita del PCI, Milano 1967, pp. 19-20.


1. Continua