TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 28 luglio 2017

Alla vigilia della conferenza di Cosio, il Rapporto sulla costruzione delle situazioni


Ultima puntata del nostro sintetico viaggio alla scoperta dell'Internazionale situazionista. La conferenza di Cosio, presentata spesso come un semplice incontro di artisti, fu invece per Debord un'operazione squisitamente politica. Di qui il contrasto con gli italiani e l' espulsione di Simondo, Verrone e Olmo a pochi mesi dalla fondazione dell'Internazionale. E domani tutti a Cosio per i 60 anni di un evento che ancora oggi mantiene intatta la sua attualità.

Giorgio Amico

Alla vigilia della conferenza di Cosio, il Rapporto sulla costruzione delle situazioni


All'inizio dell'estate 1957 dopo quasi un anno di lavoro in comune con gli italiani Debord ritiene che sia giunto il momento di accelerare il processo di unificazione fra l'Internazionale lettrista e il MIBI. In un articolo, apparso sul numero 28 di Potlatch, egli definisce con grande lucidità finalità e modi della fusione con il gruppo di Alba. Del tutto consapevole dello scarso peso del suo gruppo, Guy delinea uno scenario che assomiglia più ad un'operazione entrista che ad una fusione fra due movimenti di pari importanza:

«L'allargamento delle nostre forze, la possibilità e la necessità di una vera azione internazionale devono condurci a cambiare profondamente la nostra tattica. Dobbiamo impadronirci della cultura moderna, per utilizzarla per i nostri scopi, e non condurre più un'opposizione esterna fondata sul solo sviluppo futuro dei nostri problemi. [...] La tendenza di Potlatch deve accettare, se necessario, una posizione minoritaria all'interno della nuova organizzazione internazionale, per permetterne l'unificazione».

Debord è consapevole che il piccolo gruppo lettrista rischia di annullarsi all'interno di un movimento più ampio composto prevalentemente da pittori e ridursi così ad una mera avanguardia artistica al servizio degli ultimi frammenti dell'estetica moderna, ma sa anche il rischio va corso se si vuole avere i mezzi, prima di tutto economici, necessari a svolgere quel ruolo rivoluzionario che egli ritiene essere ormai pienamente alla portata dei lettristi internazionalisti:

«É certo che la decisione di servirsi, dal punto di vista economico così dal quello costruttivo, di frammenti arretrati dell'estetica moderna comporta gravi pericoli di decomposizione. Degli amici si inquietano, per citare un caso preciso, per l'improvvisa predominanza numerica di pittori, di cui giudicano la produzione fortemente insignificante e i legami con il mercato dell'arte indissolubili. [Ma] dobbiamo correre il rischio di una regressione; tendere a superare al più presto possibile le contraddizioni della frase presente approfondendo una teoria d'insieme, e pervenendo a delle esperienze i cui risultati siano indiscutibili».

Dunque nel momento stesso in cui accelera il processo di unificazione, Debord pare non contare troppo sugli «italiani», ad eccezione di Jorn e forse di Simondo con cui ha in quel periodo una intensa interlocuzione, ma allo stesso tempo non voler forzare la situazione. La fase è ancora quella della raccolta delle forze. In quest'ottica la fusione con il MIBI ha una valenza prevalentemente tattica, occorre utilizzare ogni mezzo, anche artistico, utile a costruire un'alternativa rivoluzionaria alla cultura dominante e a questo scopo il «Fronte» con gli italiani va bene. Proprio l'accettazione dei limiti dell'operazione comporta però la necessità di definirne con chiarezza le linee strategiche di fondo. Perchè come Debord, buon conoscitore della storia militare, sa bene, non può darsi tattica al di fuori di una strategia, pena il cadere in un tatticismo inconcludente e contradditorio.


Nel giugno 1957 Debord pubblica un Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni dell'organizzazione e dell'azione della tendenza situazionista internazionale, come documento preparatorio della conferenza d'unificazione dei gruppi che già avevano partecipato al Congresso di Alba e base strategica dell'intera operazione. L'inizio è una dichiarazione d'intenti folgorante:

«Noi pensiamo per prima cosa che si debba cambiare il mondo. Noi vogliamo il cambiamento più libertario della società e della vita in cui ci troviamo imprigionati. Noi sappiamo che questo cambiamento è possibile per mezzo di azioni appropriate».

Segue un bilancio della situazione delle avanguardie che riecheggia toni trotskisteggianti:

«La nostra epoca è caratterizzata fondamentalmente dal ritardo dell'azione politica rivoluzionaria sullo sviluppo di possibilità moderne di produzione, che esigono un'organizzazione superiore del mondo […] Tuttavia l'azione del movimento operaio internazionale da cui dipende il rovesciamento preliminare dell'infrastruttura economica dello sfruttamento, non è arrivato che a dei parziali successi locali. Il capitalismo […] si appoggia sulla degenerazione delle direzioni operaie; irretisce per mezzo di diverse tattiche riformiste, le opposizioni di classe».

La perpetuazione del sistema di dominio borghese avviene prima di tutto sul terreno dell'ideologia, attraverso la «banalizzazione» della cultura operata dai mezzi di comunicazione di massa. Ne deriva la centralità della lotta culturale, ma per evitare il recupero da parte del potere delle «scoperte sovversive», sempre possibile come dimostra la parabola del movimento surrealista, occorre elaborare un nuovo tipo di avanguardia che sia al tempo stesso superamento del concetto stesso di avanguardia come realtà separata. Ciò può avvenire solo con il passaggio aperto dalla critica dell'arte alla critica dell'ideologia e della politica:

«La nozione stessa di avanguardia collettiva, con l'aspetto militante che essa implica, è un prodotto recente delle condizioni storiche che comportano allo stesso tempo la necessità di un programma coerente nella cultura, e la necessità di lottare contro le forze che impediscono lo sviluppo di questo programma. Tali raggruppamenti sono condotti a trasporre nella loro sfera di attività metodi d'organizzazione creati dalla politica rivoluzionaria, e la loro azione non può più ormai concepirsi al di fuori di una critica della politica».

Il pensiero dominante è ovunque in piena decomposizione, nell'Ovest capitalista, come nell'URSS e negli Stati “operai”:

«Il pensiero borghese perso nella confusione sistematica, il pensiero marxista profondamente alterato negli Stati operai, il conservatorismo regna all'est e all'Ovest, principalmente nel dominio della cultura e dei costumi».

Eppure, nonostante questo, «il riflusso del movimento rivoluzionario mondiale, che si manifesta qualche anno dopo il 1920 e che si andava ad accentuare fino all'inizio degli anni Cinquanta, è seguito, con uno scarto di cinque o sei anni, dal riflusso dei movimenti che hanno cercato di affermare delle novità liberatorie nella cultura e nella vita quotidiana».


In questa situazione alcune esperienze, seppur limitatamente, hanno tentato di fare argine alla decomposizione e garantito una continuità di iniziativa: l'Internazionale degli artisti sperimentali-Cobra nell'Europa del 1949-1951, il Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista in Italia, l'attività di Bertolt Brecht a Berlino con la sua rimessa in questione della nozione stessa di spettacolo, e, naturalmente, l'Internazionale lettrista in Francia. Debord passa poi a definire gli elementi costitutivi di una opposizione «provvisoria» che andrà concretamente costruita mediante l'azione «collettiva» e «disciplinata» dei partecipanti al nuovo raggruppamento internazionale che si va a costituire. Centrale nella sua proposta è il passaggio dal rifiuto all'utilizzo tattico della cultura moderna:

«Si deve intraprendere immediatamente un lavoro collettivo organizzato, tendente ad un impiego unitario di tutti i mezzi di rovesciamento della vita quotidiana […] Dobbiamo costruire degli ambienti nuovi che siano insieme prodotto e strumento di comportamenti nuovi. Per farlo, occorre utilizzare empiricamente, all'inizio, le iniziative quotidiane e le forme culturali che esistono attualmente […] Non dobbiamo rifiutare la cultura moderna, ma impadronircene, per negarla».

Egli auspica la creazione di situazioni, definite come la costruzione concreta di momentanei ambienti di vita e la loro trasformazione in momenti di una qualità passionale superiore. Le situazioni sono l’opposto dello spettacolo, la forma di vita alienata e passiva propria della società capitalistica nello stadio della decomposizione. Gli strumenti pratici di questa azione sono la deriva, la psicogeografia e soprattutto l'urbanismo unitario, inteso come utilizzo integrato di tutte le arti e le tecniche. Dal 1957 al 1962 l'intera prima fase di vita dell'IS sarà incentrata su questo punto che è considerato il cuore stesso della teorizzazione del superamento dell'arte: «L'arte integrale, di cui si è tanto parlato, non potrà che realizzarsi a livello dell'urbanismo» annuncia il Rapporto.

Questo impegno, richiede organizzazione e disciplina, e il superamento di ogni settarismo. Ciò significa che «si deve esigere un accordo completo dalle persone e dei gruppi che partecipano a questa azione unita» e che il programma deve essere definito «collettivamente» e realizzato «in modo disciplinato».

Il Rapporto si chiude con un’esortazione ad un agire in comune pienamente organico. Debord è tuttavia consapevole delle difficoltà insite nell'impresa, della possibilità che procedendo in avanti si arrivi comunque a nuove rotture. Una visione realistica che non manca, tuttavia, di una forte carica utopica che in molti punti cita apertamente il giovane Marx:

«Dobbiamo avanzare le parole d'ordine dell'urbanismo unitario, dei comportamenti sperimentali, della propaganda iper-politica, della costruzione di ambienti. Si è abbastanza interpretato le passioni: si tratta ora di trovarne altre».

Esplicito il richiamo al Marx della celebre XI tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno finora interpretato diversamente il mondo, si tratta ora di cambiarlo». Qualche anno più tardi tuttavia Debord considererà il Rapporto «indebolito da un certo schematismo e soprattutto da un'insufficiente analisi politica».


(Da: Giorgio Amico, Guy Debord e la società spettacolare , Massari Editore, 2017)