TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 8 aprile 2022

Storia dell'Ucraina

 


A chi voglia approfondire la intricata questione ucraina, consigliamo questo libro del Prof. Massimo Vassallo, uscito nel 2020, e dunque in epoca non sospetta, che ricostruisce nei dettagli la storia millenaria dell'Ucraina. Proponiamo alcuni passi della corposa introduzione dedicati alla storia recente. Da notare come l'autore, il più importante studioso italiano della materia, consideri – e siamo a meno di due anni fa – possibile ma molto improbabile una aggressione russa.


Introduzione

(...) La grande rivolta cosacca di Bohdan Khmel’nyc’kyj iniziata nel 1648 (...) diede per la prima volta uno Stato al popolo ucraino da poco venuto compiutamente, e irrevocabilmente, alla luce. Questo Stato ucraino, l’Het’manato (XVII-XVIII secolo) non raggiunse mai la piena e completa indipendenza (...) e fin dal 1654 fu in una relazione con Mosca abbastanza ambigua (---) mai l’Het’manato comprese la totalità dell’Ucraina di oggi e nella forma in cui si cristallizzò dopo il 1667 fu nei fatti limitato all’Ucraina centrale e centro-orientale odierna; dopo il 1709, e soprattutto a partire dal 1722, per giunta il controllo russo divenne sempre più soffocante.

Ciò però non sminuisce in alcun modo l’importanza storica dell’Het’manato cosacco ucraino anzi in un certo senso la aumenta: fu l’Het’manato a rappresentare per tutto l’Ottocento l’ideale cui pensarono con nostalgia i primi nazionalisti ucraini, (...) e fu lì che molte tradizioni oggi ritenute essenzialmente ucraine, anche nel folclore, si consolidarono e presero forma (...).

Alla fine del XVIII secolo la maggior parte delle terre ucraine occidentali (rimaste polacche sino a quel momento, donde la polonizzazione delle classi dirigenti il che aiuta a spiegare la mancanza di élites nazionali ucraine) vennero in potere dell’Impero russo, tranne la Galizia che dal 1772 fece parte della Monarchia asburgica.

L’esperienza austriaca della Galizia (1772-1918) che la contraddistingue in maniera radicale dal resto delle terre ucraine più ad oriente tanto quelle rimaste polacche sino alle spartizioni quanto le aree del vecchio Het’manato e a fortiori quelle situate più a est e più a sud, è stata fondamentale e ha avuto effetti dirompenti che permangono tuttora.

Innanzitutto in Galizia, al riparo del tollerante governo asburgico, poté mantenersi l’Unione religiosa che ha impregnato di sé l’ἔθος galiziano a tal punto da rendere di fatto ormai inscindibile l’identità galiziana e l’appartenenza alla fede greco-cattolica.

Poi in Galizia, con l’incoraggiamento o almeno la tolleranza delle autorità costituite, poté svilupparsi nella seconda metà dell’Ottocento in tutta libertà un movimento nazionale ucraino che si temprò nella dura battaglia intrapresa nella stessa Galizia contro il polonismo e, ancor più, nell’epocale e asperrima lotta culturale contro le altre correnti ideologiche allora presenti nella popolazione slava orientale del luogo (la russofilia e il rutenismo), riuscendo alfine vincitore assoluto entro il 1914: la Galizia svolse quindi un ruolo di “Piemonte” ucraino, per usare l’espressione di un libro di Paul Robert Magocsi10 e contribuì in modo essenziale alla Vidrodžennja o Rinascita ucraina!

Fu la sola presenza della Galizia, situata al di fuori del potere repressivo della burocrazia imperiale russa, che rese possibile all’incipiente movimento nazionale ucraino nell’Impero russo di sopravvivere, ad esempio fornendo asilo per gli esuli dall’Ucraina russa.

Fu solo l’esistenza di una Galizia, non soggetta agli ukazy dello Zar, che permise la sopravvivenza della lingua ucraina come moderna lingua scritta di cultura, nei lunghi e oscuri anni, durati un quarantennio sino al 1905, in cui il mero utilizzo dell’ucraino fu bandito nell’Impero russo (circolare Valuev del 1863, decreti di Bad Ems del 1876). (...)

Lo scoppio della Grande Guerra nel 1914 e la rivoluzione russa del 1917 (che ne fu conseguenza) resero possibile la creazione del secondo Stato ucraino, questa volta del tutto indipendente (dal gennaio 1918), ancorché effimero (dapprima chiamato UNR=Ukraïns’ka Narodna Respublika, indi UD=Ukraïns’ka Deržava, poi di nuovo UNR).

(...)

Alla fine del quadriennio rivoluzionario (1917-1921) le terre ucraine si trovarono divise fra quattro Stati, in luogo dei due che se le spartivano nel 1914 (Impero russo e Austria-Ungheria).
L’Ucraina asburgica venne divisa fra la rinata Polonia (Galizia, dal 1919/1923), l’ingrandita Romania (Bucovina, dal novembre 1918) e la neonata Cecoslovacchia (Ungheria nord-orientale, dal 1919/1920). L’Ucraina russa si trovò divisa fra una piccola parte che andò nel 1921 alla Polonia (la Volinia occidentale che era inclusa nella Russia “propria” più la Kholmščyna che faceva invece parte del cosiddetto “Regno di Polonia”) e una grande parte che divenne l’Ucraina sovietica, in teoria indipendente all’inizio (ma già strettamente collegata a Mosca e alla RSFSR) e poi dal 30/12/1922 parte dell’URSS.

L’Ucraina sovietica, non indipendente ma nondimeno provvista delle caratteristiche fondamentali di uno Stato, costituisce il terzo Stato ucraino.

La politica di ucrainizzazione che, sotto veste sovietica, fu intrapresa nei ’20 e nei primissimi ’30 ebbe enorme impatto e, per quanto in parte revocata a partire dal 1933 circa, qualcosa rimase e impedirà anche in seguito la piena russificazione/sovietizzazione dell’Ucraina (…)

A partire dal 1939 l’obiettivo dei nazionalisti ucraini fu paradossalmente realizzato dal loro mortale nemico, Stalin, che realizzò per la prima volta effettiva l’unificazione di praticamente tutte le terre ucraine in un unico Stato ucraino, sebbene non indipendente ma sovietico; Stalin infatti annesse all’Ucraina sovietica, nel 1939 quasi tutta l’Ucraina polacca (Volinia occidentale; Galizia), nel 1940 l’Ucraina romena (Bucovina del nord e distretto bessarabo di Khotyn; Bessarabia meridionale) e nel 1945 financo la Transcarpazia (cecoslovacca fra le due guerre e in precedenza inclusa nella Corona di Santo Stefano); restarono fuori dai confini dell’Ucraina sovietica solo pochissimi ucraini, ovvero quelli nel nord del Maramureş romeno e nella Slovacchia orientale (aree comprese nell’Ungheria nordorientale sino al 1918, esattamente come la Transcarpazia), oltre ai Lemko della Galizia occidentale e a pochi altri ucraini (massime in Kholmščyna) che nel 1939 toccarono al cosiddetto Generalgouvernement tedesco e dal 1945 sono nella Polonia nuovamente restaurata, pur con frontiere ben diverse da quelle prebelliche.

Stalin quindi fu colui che più di tutti, per ironia della sorte, realizzò in pratica gli obiettivi dei più accesi nazionalisti ucraini! e sarà un altro sovietico, il futuro denunciatore di Stalin la cui carrierà fu diverse volte in passato legata all’Ucraina e cioè Nikita Khruščëv, che arrotondò l’Ucraina nel 1954 con il “gentile” dono della Crimea russa (...)

La dura occupazione tedesca (1941-1944) lasciò infiniti lutti, provocò massacri immani (soprattutto di ebrei, ma anche di ucraini e all’ovest di polacchi soprattutto in Volinia) e lasciò strascichi che ancora oggi avvelenano il discorso politico ucraino e hanno valenza regionale; tuttavia ben poco di quanto avvenne in quegli anni di ferro ha avuto dirette conseguenze storiche in Ucraina, se eccettuiamo l’opportunità che allora ebbero diversi ucraini, sia veterosovietici (cioè dimoranti nell’Ucraina sovietica nei confini del 1/9/1939) che neosovietici (cioè residenti nei territori annessi nel 1939-1940), fra i quali un congruo numero di intellettuali (...), di sfuggire al potere del Cremlino riparando all’estero dove poi tennero accesa la fiaccola del nazionalismo ucraino che, spenta in patria, continuò nell’esilio, tornando infine ad ardere più forte che mai alla fine degli anni ’80 in Ucraina e da allora non si è più spenta.

Gli stessi occupanti tedeschi riconobbero, o quantomeno intuirono, la diversità della Galizia (già austriaca) dal resto dell’Ucraina (già russa imperiale) e la sottoposero ad un’amministrazione civile differente, egualmente mortifera e tragica per ebrei e polacchi, ma infinitamente più mite per gli ucraini; si può speculare cosa avrebbe potuto succedere se gli stessi metodi applicati in Galizia fossero stati adottati nel resto dell’Ucraina o almeno nella parte sottoposta ad amministrazione civile, in quanto occorre fare una nettissima distinzione fra aree affidate al governo civile e aree rimaste sotto amministrazione militare: la vecchia Ucraina russa venne infatti suddivisa fra Reichskommissariat Ukraine (sotto il brutale Koch) e aree di diretta amministrazione militare (con un governo di solito più “umano”, almeno per la popolazione slava (...).

Per una quarantina d’anni dopo il 1945 l’Ucraina sovietica ebbe scarsi spazi di autonomia anche se l’adesione all’ONU con seggio separato (insieme alla Bielorussia sovietica) e la partecipazione in modo distinto a varie agenzie internazionali rafforzarono, col senno del poi, la statualità ucraina e resero un po’ più semplice la vita della successiva Ucraina indipendente.

Con l’avvento della perestrojka, soprattutto a partire dal 1988, iniziarono dinamiche che presto sfuggirono a ogni controllo; dal 1988 al 1991 il nazionalismo ucraino, fino ad allora dormiente, si fece di giorno in giorno più forte e spavaldo, pur restando fenomeno minoritario e limitato nei fatti alle terre che negli anni interbellici furono polacche (Galizia e Volinia occidentale) e alle élites intellettuali di Kyïv.

In particolare in Galizia, dove la rinascita nazionale si accompagnò alla rinascita religiosa della Chiesa greco-cattolica (nell’inverno 1989/1990) dopo oltre quattro decenni di persecuzioni, l’appoggio ai nazionalisti fu di massa, al livello del Baltico, e sin dal 1990 le città galiziane furono desovietizzate.
All’estremo opposto (geografico ma non solo), nel Donbas russificato e soprattutto sovietizzato, nulla o quasi cambiò anzi sin da quest’epoca vi furono i primi segnali di una reazione sovietico-comunista contro i nazionalisti accusati di turbare la quiete pubblica.

Il fallito “golpe” di Mosca dell’agosto 1991 rese possibile, se non addirittura inevitabile, l’indipendenza dell’Ucraina (24/8/1991), altro caso di eterogenesi dei fini.

Nacque allora il quarto Stato ucraino, cioè l’Ucraina indipendente, che confermò plebiscitariamente la sua voglia di rompere con il sovietismo durante il referendum del 1/12/1991 che diede una maggioranza schiacciante per l’indipendenza, anche nel Donbas e di misura perfino in Crimea elevata da poco al rango di Repubblica autonoma entro l’Ucraina.

L’Ucraina indipendente non ha finora avuto vita facile e ha già subito autentiche svolte dal lato politico: l’elezione di Kučma contro il filo-nazionalista Kravčuk nel 1994; la “rivoluzione arancione” di fine 2004 che si concluse con la vittoria di Juščenko che tante speranze suscitò, andate quasi tutte deluse; la “rivoluzione” del febbraio 2014 che pose fine alla presidenza del filo-russo Janukovyč e aprì una nuova fase nella storia ucraina, caratterizzata dalla forte desovietizzazione in politica interna, da una politica ferma nei confronti della Russia e da una chiara scelta filo-occidentale e filo-europea; infine l’elezione plebiscitaria di Zelens’kyj nel 2019, con i primi segni di una certa qual reazione alle politiche del quinquennio precedente.

L’annessione russa della Crimea (marzo 2014) e lo scoppio della rivolta separatista, abbastanza apertamente sostenuta da Mosca, negli oblasti di Donec’k e Luhans’k (collettivamente noti come Donbas) in quella stessa primavera, sono stati un duro colpo per l’Ucraina ma le peggiori conseguenze appaiono tuttavia superate: il separatismo è stato controllato e non è riuscito a diffondersi a macchia d’olio nelle altre aree russofone dell’Ucraina meridionale e orientale come verosimilmente i separatisti speravano e, se la Crimea resta russa e ben difficilmente tornerà ucraina, la posizione del governo di Kyïv si è rafforzata a livello internazionale, incassando diverse solidarietà, il che dovrebbe rendere più difficile un’ulteriore aperta e seria aggressione contro l’Ucraina, sebbene l’eventualità non possa ancora essere esclusa del tutto.(...)


MassimoVassallo
Storia dell'Ucraina
Mimesis, 2020