TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 27 aprile 2022

Assolutamente da leggere. Il libro nero dei Puffi

 


"Meglio esercitare la propria intelligenza con le scemenze, che la propria scemenza con cose intelligenti" scrive l'autore ed in effetti, nonostante l'argomento, il libro è serissimo e di un fascino incredibile. Personalmente credo di essermi divertito poche volte come durante la lettura di questo libro, dalla scrittura amabilissima, ma profondamente politico. In allegato la presentazione editoriale e le prime pagine dell'Avvertenza premessa dall'autore al suo libro.

G.A.

Nota editoriale

In un villaggio collettivista dove l'iniziativa privata è vista con sospetto, Grande Puffo è Stalin e Quattrocchi il suo Trotzky. Oppure no, i puffi sono militanti hitleriani, un modello perfetto di società nazista guarda caso minacciata da un Garganella che evoca l'"avido ebreo" della propaganda antisemita. In questo esilarante libro, il giovane filosofo francese Antoine Buéno rilegge il fortunato fumetto per svelare le tracce soggiacenti di archetipi e ideali propri dei regimi totalitari, sia fascisti sia comunisti. Scritto come un'accattivante analisi fantapolitica, il libro ha suscitato in Francia immediate polemiche. I difensori chiamano in causa la personalità apolitica di Pierre Culliford, in arte Peyo, creatore dei Puffi. I più sospettosi rincarano la dose, ricordando la visione stereotipata delle donne nell'unica rappresentante del gentil sesso, una Puffetta civettuola e disimpegnata. Un libro destinato a far discutere gli affezionati di questo fumetto, diffuso in tutto il mondo, divenuto poi un celebre cartone animato, che accompagna piccoli e grandi da due generazioni.

Antoine Buéno (1982) é docente universitario di Scienze Politiche.


Antoine Buéno

Avvertenza

Né denuncia, né disincanto. Il nostro testo non vuole né accusare, né demolire. Solo analizzare.

Questa la tesi: la società dei puffi è un archetipo di utopia totalitaria di stampo stalinista e nazista.
Detto ciò, non andremo a imbastire una requisitoria ai danni di Pierre Culliford alias Peyo, l'inventore dei puffi: sarebbe totalmente insensato accusarlo di stalinismo o di nazismo, poiché Peyo non appoggiava né l'uno, né l'altro. Non era un uomo schierato. Secondo Hugues Dayez, il suo biografo, non "sviluppò mai una vera e propria coscienza politica". Il che è confermato dal figlio, Thierry Culliford: "Mio padre non seguiva per niente la politica".

Per quel che ne sappiamo, quello di Peyo era un credo piuttosto moderato. Nel quadro dell'offerta partitica del Belgio del secondo dopoguerra, i suoi conoscenti più intimi lo descrivono come una persona abbastanza liberale. Ossia: non votava né per il Partito Popolare Cristiano, di destra e conservatore, né per il Partito Socialista, bensì per il Partito Liberale. Quindi, possiamo collocare Peyo al centro - o meglio al centrodestra - fermo restando che aveva tutta l'aria di scegliere per esclusione e non per adesione: "Votava i liberali per non votare né i cristiani né i socialisti".
Senza contare che Peyo non aveva niente dell'estremista di sinistra o del nazista. Sembrava non sapere nulla, o quasi, del comunismo: "Per lui, il comunismo sono i Russi o i Cinesi, tutto lì", svela Thierry Culliford. Serve precisare che il partito comunista in Belgio non ha mai costituito una forza politica determinante. D'altra parte, l'ideatore dei puffi, nato nel 1928, aveva vissuto l'occupazione tedesca e non sembrava provarne particolare nostalgia.

Ciò invaliderebbe d'un sol colpo la tesi dello stalinismo e del nazismo dei puffi? Assolutamente no. Un'opera è in grado di veicolare un insieme organico di immagini che l'autore stesso, in buona fede e senza esserne completamente cosciente, può sottovalutare. In questo senso, I Puffi sarebbero un tipico caso di dissociazione fra le intenzioni dell'autore e le rappresentazioni e le idee che effettivamente si esprimono nel fumetto di sua creazione. Nati nel 1958, I Puffi rispecchiano forse più lo spirito di un'epoca che quello dell'autore.

Alla luce di ciò, si capisce che Peyo cadesse letteralmente dalle nuvole a ogni nuova accusa - e le accuse mosse contro di lui furono numerose. Molto semplicemente, a Peyo è toccato sentire tutto e il contrario di tutto: i puffi sono gay; i puffi sono antisemiti; i puffi sono hippies; i puffi sono razzisti; i puffi sono massoni; i puffi sono membri del Ku Klux Klan...

Certo, la critica più frequente che poggiava sul comunismo dei Puffi ha avuto un enorme successo negli Stati Uniti. Infatti a suo tempo I Puffi penetrarono in maniera capillare nel mercato americano, che li inglobò perfettamente. Nel 1981 diventarono un cartone animato. Gli studios Hanna-Barbera ne trassero una versione per la televisione americana, diffusa dalla NBC. Per un processo dialettico di mercificazione del reale - assolutamente debordiano - i puffi divennero merce vendibile e, insieme, prodotto di largo consumo. La critica si scatenò: Peyo, un liberal-moderato, fu tacciato di comunismo e al contempo assorbito dalla macchina di una delle massime industrie del capitalismo mondiale: l'enterteinment hollywoodiano. Fin qui, dunque, non stiamo muovendo nessun'accusa.
E nessun disincanto, come si diceva in apertura. Scriviamolo pure nero su bianco: amiamo i puffi. Il loro universo è parte integrante della nostra infanzia. Fuori discussione che si distrugga la magia, che si spezzi l'incantesimo: non intendiamo rompere un giocattolo con cui ci siamo divertiti così a lungo. Al contrario, continueremo a giocarci: ma in un'altra maniera.

In queste pagine sovrapporremo l'approccio adulto alla percezione infantile. Il che non significa che il nostro approccio sarà meno ludico! Come dicono gli Shadoks, "meglio esercitare la propria intelligenza con le scemenze, che la propria scemenza con cose intelligenti". Questa massima fondata sul buon senso ci ha guidati nell'analisi della società dei puffi, che di primo acchito non sembrerebbe - a torto, come proveremo a dimostrare - poter essere l'oggetto di uno studio serio. Quindi, definiamo subito il nostro campo di analisi disciplinare e materiale.

In effetti, i puffi si possono studiare da innumerevoli prospettive: culturale,estetica, commerciale, economica, giuridica, storica, sociologica, psicologica, psicanalitica. E anche pedagogica, perché prevalentemente rivolti a un pubblico di bambini. Tale indirizzo giustifica alcuni fra i tratti salienti del mondo dei puffi, come l'assenza di sessualità. In questa prospettiva il villaggio può apparire come la metafora di una classe di scolari, in cui Grande Puffo incarnerebbe l'educatore e gli altri puffi i suoi allievi. La differenza d'età fra Grande Puffo e gli altri puffi avvalora l'ipotesi. Grande Puffo è circa cinque volte più vecchio dei suoi "buoni, piccoli, puffi", come un professore rispetto agli studenti delle prime classi. Sempre nella medesima ottica. Quattrocchi incarnerebbe l'implacabile secchione, lo spione che si fa malmenare all'intervallo, l'equivalente puffoso del personaggio di Agnan ne Il piccolo Nicolas. Inoltre, l'interesse pedagogico dei puffi aumenta nella misura in cui il fumetto si assume, in modo sempre più pregnante, il compito di volgarizzare una serie di questioni sociali. Ma su questo torneremo a breve.

Osserveremo l'argomento esclusivamente con gli occhi della scienza e della sociologia politica.