TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 25 ottobre 2011

Un libro sulla non guerra di Libia




"Occhio alla mira ferma, o cristiani.
Solo chi sbaglia il colpo è peccatore.
Vi sovvenga! Non uomini ma cani."

Così nel 1911 Gabriele D'Annunzio cantava i massacri italiani in Libia documentati anche dalle foto che illustrano questo articolo.


Gianluca Paciucci

UN LIBRO SULLA NON GUERRA DI LIBIA

Appunti sul volume di Paolo Sensini, Libia 2011, Milano, Jaca Book, 2011


Ho finito di scrivere questo articolo-recensione il giorno prima dell'uccisione di Gheddafi, fatto che non cambia nulla ma solo aggiunge un'ennesima indecente brutalità al già feroce quadro. Consiglio la lettura de Il corpo del duce (Torino, Einaudi, 1998, pp. X-246) di Sergio Luzzatto, per capire l'attuale fase. Pure indecente è stato il coro dei commenti, in cui ancora una volta i politici italiani, Berlusconi, Frattini e Bossi in prima fila, hanno messo in mostra pochezza e viltà. I grandi organi di stampa, inoltre, ci hanno regalato un amaro fiume di menzogne di cui non c'era bisogno: dopo il silenzio e la censura di mesi e mesi sulla “non guerra di Libia”, con sporadiche emergenze, ecco la valanga di editoriali, foto e video (nelle versioni on-line). Squallore militante. Rivoltante. L'appuntamento è al prossimo popolo da abbattere, mentre molti/e, anche in Europa, finiscono nella morsa di banche, governi e polizie bipartisan, e mentre a mucchi annegano nelle acque del Mediterraneo o finiscono a marcire in un Centro di Identificazione e di Espulsione.

La guerra in Libia in questo 2011 in realtà non sta avvenendo, non è mai iniziata, né mai terminerà. O meglio, la guerra in Libia accade, ma noi non lo sappiamo, né sapremo se e come andrà a finire, anche dopo la sua fine ufficiale. Un implacabile spirito guerrafondaio ha animato le (non) discussioni, il (non) dibattito attorno all'ennesimo crimine gestito dalla autoproclamatasi “comunità internazionale” ovvero, per l'occasione, dalla sedicente “coalizione dei volonterosi”: spirito che si è impadronito di molte anime della sinistra italiana, moderata e anche radicale, la prima ormai convinta della ragione occidentale da imporre a ogni costo a tutti i “cani pazzi”, a tutti gli Stati-canaglia; e la seconda a interrogarsi sulla necessità di deporre il tiranno Gheddafi sulla scia delle varie “primavere arabe” che hanno messo sottosopra il Nordafrica. In particolare Napolitano e Bersani, senza alcune esitazione, si sono mostrati i più fedeli amici di Sarkozy e Cameron, persino più dei vari Berlusconi-Frattini-Maroni, complici del regime libico. Ennesima catastrofe del mentale e del politico: l'indiscutibile Napolitano si veste da profeta e dà la linea che tutti, ammansiti e chini, devono seguire, pena l'accusa di antiitalianità, prossima al tradimento, in politica estera come in economia.



CHI NASCONDE LA VERITA'?

Ha fatto benissimo Paolo Sensini, in epigrafe al suo libro Libia 2011, a ricordare due “perle” del Presidente della Repubblica: “Sta per tramontare l'era dei regimi che nascondono la verità, non è più tempo per riforme cosmetiche e limitate” (discorso all'ONU, 28 marzo 2011); e “Il contributo alle missioni dell'ONU, della NATO, dell'Unione Europea ha posto in luce l'alta sensibilità e la qualità operativa dei nostri militari, insieme con il loro spirito di sacrificio a cui rinnovo il mio omaggio” (discorso presso l'Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra, 26 aprile 2011). Nel primo caso parlando di regimi che occultano la verità, forse Napolitano si riferiva proprio all'Italia, capace di far sparire una guerra per mesi e mesi da sotto gli occhi dei sudditi: la guerra in Libia, i bombardamenti non sempre chirurgici e in ogni caso sempre devastanti, e non solo di obiettivi militari, le immani sofferenze dei civili, l'uso di armi all'uranio impoverito, la protezione di bande di tagliagole jihadisti (quel Belahj o Belhadj ormai padrone della piazza e del palazzo a Tripoli, su cui Sensini scrive pagine che dovrebbero far preoccupare), ecc. Ebbene, di tutto questo niente è trapelato, qualche notiziola sull'avanzata dei “nostri”, qualche bugia diffusa ad arte per aumentare l'indignazione dei virtuosi italiani, voto di rifinanziamento delle missioni accuratamente nascosto, ecc. Certo, ha ragione Napolitano: questo “regime che nasconde la verità”, cioè il nostro -credo volesse dire-, va spazzato via, senza se e senza ma. Risento qui il ruggito del vecchio comunista indomito, e mi schiero con lui... E poi l'omaggio ai “nostri” soldati, impegnati in conflitti armati senza fine, dove uccidono e vengono uccisi, dove sono a guardia di un sistema mondiale criminale/criminogeno e basato sulla guerra come unico mezzo per risolvere le controversie internazionali... Guerre anticostituzionali, sottratte a qualsiasi possibilità di critica, ma funzionali al dominio, che scoppiano proprio là dove qualche Stato, tra mille ambiguità e orrori, aveva cominciato un percorso di uscita dalla fame e dal colonialismo: Iraq, Libia. Responsabilità di despoti locali, protervi e assurdi, senza dubbio, ma alleati dei despoti democratici. L'indimenticabile frase di Madeleine Albright, “Vi faremo tornare all'età della pietra”, era indirizzata agli iracheni e alle irachene, più che a Saddam, e possiamo oggi indirizzarla ai libici e alle libiche, più che a Gheddafi. Regressioni di interi Paesi, sistema sanitario e educativo a pezzi, città sventrate (Berlusconi e i suoi potrebbero proporre la costruzione di una Sirte 2, perché no?), perdita dell'indipendenza politica ed economica, miseria spettrale.



1911-2011...

Un'altra impresa è stata invece fatta riapparire dinanzi ai nostri occhi, dai prestigiatori al potere: la conquista sanguinosa della Libia, iniziata esattamente cento anni fa, in una delle tante guerre di aggressione portate dall'Italia ad altri Paesi in tutto il Novecento e inizio di nuovo millennio (mai le nostre armi ci hanno “difeso”, esse hanno sempre “offeso” altri Stati e altri popoli). Ne parla sinteticamente Sensini nei primi nove capitoli del suo libro (è ovvio che l'immensa opera di Angelo Del Boca sorregge ogni possibile sguardo che voglia posarsi sulle imprese coloniali italiane) da cui emerge la continuità vergognosa tra Italia “liberale”, fascista e “repubblicana” nell'affrontare l'Altro, il Selvaggio, l'Inferiore da uccidere/sorvegliare/educare/punire, ma da cui estrarre ricchezza: terre per coloni (anzi, per “contadini-soldati”, come nella Roma avanti Cristo di Caio Mario), e poi petrolio e gas naturali, appena i giacimenti sono stati scoperti. Il ruolo dell'ENI, soprattutto dopo il golpe di Gheddafi del 1969 favorito dall'Italia (Sensini, pp. 46-7, in base a quanto sostiene il magistrato Rosario Priore), sarà sempre più centrale. Ed ecco il ministro La Russa a Tripoli, con il presidente del CNT Mustafa Abdel Jalil, a gloriarsi del passato coloniale dell'Italia che avrebbe consentito un “grande sviluppo nelle infrastrutture e costruzioni, nell'agricoltura” e in cui “la legge permetteva processi giusti”... Lo dicano agli ammazzati e ai deportati per mano italiana! Ma è proprio l'oblio dei crimini italiani in Libia e altrove (Grecia, Albania, Russia, Jugoslavia) a permettere i crimini di oggi: è la sparizione della memoria della fase coloniale in tutto il periodo repubblicano che ne ha consentito la riapparizione oggi sotto forma di autocelebrazione. Gli italiani mai aggressori, in Jugoslavia, in Libia, ma sempre vittime, degli slavo-comunisti (foibe e trattato di pace del 10 febbraio 1947) o del “cane pazzo” libico (cacciata degli italiani da Tripoli nel 1969, circa 20.000, poi in parte rientrati o sostituiti da altri nostri connazionali se, nel 1978, gli italiani in Libia erano più di 16.000 -Sensini, pag. 51) (1).



BUGIE...

Grosse bugie hanno alimentato l'intervento in Libia, in un clima politico globale che ha in fretta dimenticato le menzogne statunitensi e britanniche all'origine della Seconda Guerra del Golfo. “...La madre di tutte le bugie, da cui sono derivate per partenogenesi tutte le altre, va situata pochi giorni dopo l'inizio della rivolta, quando la TV satellitare Al Arabiya denuncia il 17 febbraio via Twitter un massacro di 'diecimila morti e almeno cinquantamila feriti in Libia' con bombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi e 'fosse comuni'...” (Sensini, p. 113). Massacri, fosse comuni, e la leggerezza colpevole dei nostri organi di stampa, cupi e servili, a riproporre “verità” non verificate, mai! E poi le smentite, che non servono a niente, dato che i bombardieri sono già partiti dalle basi italiane... Ecco Il Sole-24ore del 18 settembre: “...Il 22 febbraio, pochi giorni dopo la rivolta, la tv Al Arabiya annunciava che c'erano stati già 10mila morti mentre le testimonianze a Bengasi parlavano di 2mila vittime: il bilancio più tardi si rivelò di 75 morti (...). Per non parlare della bufala delle fosse comuni che dovevano evocare le nefandezze di Saddam e gli orrori dei Balcani...” (Alberto Negri, “I martiri sono più dei morti. Scetticismo sulla stima dei ribelli di 30-50mila vittime. Più attendibile il calcolo di mille decessi fatto dalla Croce Rossa. I lealisti: 2mila uccisi dalla NATO”- questo titolo-occhiello-catenaccio meriterebbe un'attenta decostruzione/falsificazione). E poi la brava Marinella Correggia sul Manifesto a smentire, a metà ottobre, le voci acriticamente riportate dalla stampa italiana del ritrovamento di una “fossa comune con 1700 cadaveri di detenuti giustiziati nel 1996”: navigando in rete si scopre che la CNN e lo stesso CNT libico, messo alle strette, parlano di “ossa troppo grosse per essere umane”... Ma l'indignazione è già partita, e gli aerei. In base a bugie, e all'arbitrio più totale delle diplomazie occidentali, interi Paesi possono essere gettati nello sgomento di guerre senza fine e subire punizioni devastanti, senza appello.


...E INTELLETTUALI

Falsità generano guerre, come al solito, oggi come nel 1911. E oggi, come nel 1911, a queste imposture si aggiungono i balli meschini degli intellettuali, e qualche rara luce onesta. Del 1911 si è occupato, tra gli altri, Antonio Schiavulli in Alfabeta2 (n.10, giugno 2011) nell'articolo “Libia 1911: il romanzo coloniale. La grande piccolo-boghese s'è mossa” in cui alle banalità teppistico-imperialiste di Marinetti, Corradini e Pascoli viene opposta la lucidità di Paolo Valera, che scrive: “...E' la civiltà nazionalista che impera nel mondo. I decimatori di nemici sono eroi. E' legge marziale. A fianco delle cataste umane si accendono i fuochi di gioia. Celebrate. Noi non vogliamo amareggiarvi le vittorie. Godete. Il sangue è vostro. Ciò che noi vi contendiamo non è la fatalità storica. E' il massacro degli innocenti”. E' Sensini invece a sottolineare il ruolo oggi svolto dal “vecchio 'nuovo filosofo'” Bernard Henry-Lévy nel convincere Sarkozy a un intervento rapido in Libia (che poi agenti franco-britannici da diversi anni fossero già in Libia è altro discorso...). Riporto la nota a pagina 120, splendida: “Per i suoi indubbi servigi resi alla causa della guerra contro la Libia, il superegocentrico BHL fa carriera nell'Armée francese. Su proposta di Serge Dassault -potente miliardario proprietario dell'omonima industria degli armamenti nonché parlamentare dell'UMP, lo stesso partito del presidente Sarkozy- Lévy è stato insignito il 7 settembre 2011 del titolo di colonnello dell'areonautica francese...”. Il filosofo francese riassume in sé le figure del consigliere politico e del piazzista d'armi: questa è vera grandeur. (2)
Per concludere: Paolo Sensini sostiene che le “vere ragioni della guerra” sono i “duecento milioni di dollari della Libyan Investment Authority, i fondi sovrani libici” che circolano “nelle banche centrali, in particolare in quelle britanniche, statunitensi e francesi” (p.151) su cui le potenze occidentali vorrebbero mettere le mani, nell'attuale crisi di liquidità, impedendo inoltre, con l'occupazione di un Paese strategico, la penetrazione cinese verso l'approvvigionamento di materie prime. Come aveva intuito il subcomandante Marcos (3), la guerra mondiale già c'è, tra mostri tentennanti e perciò sempre più furiosi (gli U.S.A. del più tristo Nobel per la Pace d'ogni tempo, Obama, e la Cina del turbo-capitalismo di Stato). Il volume di Sensini è un ottimo mezzo per capire il presente, in Libia e qui da noi. Gli si può rimproverare qualche cedimento a una certa dietrologia non sempre giustificata (egli sembra accettare la versione alternativa a quella ufficiale sull'11 settembre 2001) e un ritratto di Gheddafi e del suo sistema di potere a tratti acritica e persino agiografica. Tolte queste cadute (non di second'ordine, ma circoscritte), il libro è efficace e solido. Per capire una guerra che non c'è mai stata e che pure morti ne ha fatti, spietata, come quelle realmente avvenute.





(1) A questo proposito segnalo il libro di Luca Marchi, Libia 1911-2011. Gli italiani da colonizzatori a profughi, Udine, Kappavu, 2011, pp.183, ottimamente documentato.
(2) Ricordiamo innanzitutto l'ampia sezione (pp. 50-68) del n° 163-164 di “Guerre&Pace” dedicata al dibattito a sinistra sull'intervento in Libia . Per avere un quadro di altre posizioni (Adriano Sofri, Gino Strada, Michael Walzer, Thomas L. Friedman, Farid Adly, etc.), vedi anche ciaomondoyeswecan.myblog.it/ A Sofri, cui riconosco forza d'analisi e dubbi spesso illuminanti, vorrei solo dire che l'analogia Bengasi-Srebrenica non è valida: già nel 2003 pacifisti sarajevesi innalzavano cartelli con scritto “A Bassora si replica Srebrenica”, con i carnefici occidentali (embargo più bombe più occupazione) a svolgere il ruolo di Mladić nella guerra di Bosnia. E poi la guerra in Libia dovrebbe averlo tranquillizzato: pressoché nessun corteo pacifista. Possiamo dormire sonni definitivi, affidati alla coalizione del Bene.
(3) Subcomandante Marcos, La quarta guerra mondiale è cominciata, ed. italiana Roma, Il Manifesto, 1997, pp. 94.




Gianluca Paciucci è nato a Rieti nel 1960. Laureato in Lettere, è insegnante nelle Scuole medie superiori dal 1985. Come operatore culturale ha lavorato e lavora tra Rieti, Nizza e Ventimiglia; in questa città è stato presidente del Circolo “Pier Paolo Pasolini” dal 1996 al 2001. Dal 2002 al 2006 ha svolto la funzione di Lettore con incarichi extra-accademici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Sarajevo, e presso l’Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina, come Responsabile dell'Ufficio culturale. In questa veste è stato tra i creatori degli Incontri internazionali di Poesia di Sarajevo. Ha pubblicato tre raccolte di versi, Fonte fosca (Rieti, 1990), Omissioni (Banja Luka, 2004), e Erose forze d'eros (Roma, 2009); suoi testi sono usciti nell’ “Almanacco Odradek”. Dal 1998 è redattore del periodico “Guerre&Pace”. Collabora con le case editrici Infinito, Multimedia e con la "Casa della Poesia".