TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 1 gennaio 2014

Alla ricerca della felicità (Le illusioni d'Itaca, 9)



A Marsiglia per ritrovare il senso della propria vita. (Nono capitolo di Le illusioni d'Itaca)

Giorgio Amico

Le illusioni d'Itaca

9. Alla ricerca della felicità


Quando si svegliò il sole splendeva alto sulla valle. La pioggia della notte aveva ripulito l’aria. Il cielo era una sola macchia di cobalto. Tutto era ormai chiaro dentro e fuori lui. Doveva andare da Giulia. Non poteva più stare lontano da lei. Doveva vederla, parlarle e poi accadesse pure ciò che doveva. Non ci poteva fare nulla. Quella era la cosa da fare. Dalla vecchia credenza lo fissavano polverose le foto ingiallite dei suoi vecchi. Quei volti tristemente sorridenti guardavano verso di lui con l'espressione di chi si era aggrappato alla terra come ad una speranza, di chi aveva fatto del lavoro una preghiera. Parevano dirgli che al proprio destino non si sfugge. Che non esiste evasione possibile dall’angoscia del vivere. Tranne la terra, la casa, una donna, i figli a cui aggrapparsi con tutta la forza possibile.
  • Saggezza antica. Espressione di un mondo definitivamente tramontato. – pensava.
Eppure, più forte di ogni ragionamento, cominciava a farsi strada in lui un confuso sentire: quella era la sua terra, la sua gente, la sua casa. In quella terra di frontiera battuta dal vento egli affondava le sue radici.

All'improvviso il vento si alzò fra gli ulivi. Aprì la finestra: era scirocco. Nel bosco gli alberi tremolavano. In un attimo gli passarono davanti tutti i luoghi che aveva visitato nella sua vita, le città intraviste dal mare nel biancore del primo mattino, i vicoli senza sole di Genova, il rumoroso caos di Marsiglia, le case bianche di Lisbona. Ricordi lontani scacciati da quel pensiero che continuamente gli si presentava, che non riusciva a cancellare, che lentamente prendeva possesso di lui. Giulia e la sua terra erano la stessa cosa. Mai egli si era veramente allontanato da loro. Nei luoghi più lontani, nel deserto sconfinato degli oceani l’aveva sempre portate con sé. Erano la sua anima, il fuoco che gli bruciava dentro. Quel pensiero lo consolava, gli scaldava il cuore. Per la prima volta nella sua vita si sentiva veramente parte di qualcosa.

Lentamente si riscosse. Si voltò verso il tavolo. Schiacciò nel portacenere la sigaretta. Poi, con un pudore nuovo che non si conosceva, aprì l'antina del mobile, estrasse le due vecchie foto e delicatamente con i polpastrelli le deterse dalla polvere. Una commozione forte lo prese. Gli parve di comprendere il senso della vita. Fu la sensazione di un attimo. Quasi con un senso di vergogna ripose le foto e chiuse l'antina a vetri con gli stessi gesti solenni con cui un sacerdote richiude il tabernacolo. In un qualche modo, non sapeva neppure lui come, era come se un mistero profondo gli si fosse per un attimo disvelato. Perso in quell'attimo gli era parso di comprendere il senso del bene e del male, della vita e della morte, della gioia e della sofferenza.

Ancora turbato si avviò giù per il sentiero che conduceva al paese. La pioggia caduta nella notte aveva lasciato sul terreno uno strato fitto di foglie fradice che parevano ricordi caduti dal cielo.

Si ritrovò in città quasi senza accorgersene. Parcheggiò l'auto nel grande spiazzo alberato vicino al porto e si diresse verso il mercato. In un attimo si trovò nella piazzetta assolata. Si accese una sigaretta e aspirando profondamente spinse la porta del piccolo caffè ed entrò. Tutto era esattamente come lo ricordava. Le stesse voci, gli stessi rumori del mercato, gli stessi tavolini, le stesse tovagliette colorate, persino il gatto nero che sonnecchiava nel suo angolo. Solo Giulia non c'era. Da dietro il bancone del bar un volto sconosciuto di donna lo fissava interrogativo.
  • Sono un amico di Giulia, vorrei parlare con lei. È qui?
  • No, Giulia non c'è. Se vuole riprovare in un altro momento.
  • Se non le dispiace, aspetto qui fuori. Mi porti…
  • No! - Lo interruppe bruscamente la donna – e’ inutile che aspetti. Giulia oggi non verrà. È andata via per qualche giorno.
Un senso di gelo lo prese.
  • Come è andata via? Così all'improvviso, poi, non è possibile!
  • Allora non mi sono spiegata. - Riprese la donna ed ora c'era ostilità nella sua voce - Giulia è partita. Glielo assicuro, qui la non troverà.
  • E allora mi dica dove posso trovarla. Avrà pure lasciato un indirizzo, un recapito, un numero di telefono. La prego, è importante.
Senza volerlo la sua voce aveva preso un che di implorante, la donna ne fu colpita.
  • Senta, non so cosa dirle. Giulia mi ha chiamato a casa per informarmi che partiva, che per qualche giorno non sarebbe venuta a lavorare nel bar. Non so dove sia andata Veramente, mi creda. Posso solo dirle che ogni tanto va a Marsiglia a trovare un'amica. Anche lei gestisce un bar, il "Solea", proprio a metà di Cours Julien, vicino alla stazione del metrò di Notre-Dame-du-Mont. Se vuole provare a cercarla lì …
Guidava meccanicamente. Il traffico sulla grande autostrada era come sempre intenso. Una fila ininterrotta di TIR andava in direzione del confine, ma lui, assorto nei suoi pensieri, non se ne curava. Rifletteva su ciò che era accaduto quel giorno.

Era andato da lei per salutarla, per dirle che il giorno dopo sarebbe partito. Che aveva sbrigato le sue faccende e che nulla lo tratteneva ormai lì. Che non l’avrebbe più cercata. Che non voleva arrecarle nuova sofferenza. Era andato dai lei sperando che lei lo fermasse, che gli fornisse un motivo per restare, una ragione per vivere.

Proprio per questo ora sentiva di non poter più partire. Non senza prima averla vista, averle parlato. Aveva bisogno di stare con lei, per capire se la desiderava realmente. Non sapeva che fare. Tutto era accaduto troppo in fretta: il ritorno a casa, l'incontro con Giulia dopo tanto tempo, l'irrompere imprevisto di un passato che pensava dimenticato. Niente più gli appariva uguale a prima.
  • Eppure ci deve essere un modo, - pensava - di ritrovarla.
Non poteva essere scomparsa così, senza lasciare traccia. Ma dove cercarla ? Da dove cominciare ? Doveva parlarne con qualcuno. Da un grill sull'autostrada telefonò a Paolo.
  • Ma perché vuoi trovare Giulia? E' evidente che lei non vuole vederti.
Non seppe cosa rispondere. Si vergognava della risposta che spontanea gli era salita alle labbra. Dopo tanti anni la parola amore era per lui impronunciabile .

Riprese il suo cammino. Il viaggio verso Marsiglia fu penoso. Dalla sua città il percorso era breve, poche ore di strada. Meno di un attimo nella vita di un uomo. Un'eternità per lui che correva sull'autostrada con il cuore gola, sapendo di giocarsi la vita e che il suo tempo stava per scadere. Di una cosa sola era certo mentre guidava disperato lungo una strada che gli pareva non finire mai: voleva Giulia, la voleva disperatamente, come mai gli era capitato prima di desiderare qualcosa.

Accese la radio. Una stazione locale trasmetteva musica folk. Si incantò ad ascoltare Veronique Chalot cantare antiche ballate provenzali e bretoni. Non aveva voglia di pensare, ma la dolcezza struggente delle canzoni lo costringeva a tornare continuamente col pensiero a Giulia.



Erano anni che non tornava a Marsiglia. Quella città gli piaceva. Gli era entrata nel sangue. Gli piacevano le strade che portavano al porto, i vecchi quartieri del centro, i vicoli in salita attorno alla scalinata delle Accoules, le piazzette alberate su cui si aprivano bistrot affollati di puttane stanche e di pensionati che giocavano alla belote, le viuzze del Panier dagli strani nomi: rue du Refuge, rue de la Lorette, rue des Pistoles, rue du Petit-Puits. Gli piacevano anche le spiaggette sassose verso le calanche, quella costa bianca che era ancora città e già aspra solitudine. Ma più di tutto lo aveva sempre colpito la bellezza ambigua di quella città. Una città di sole e di luce, che attirava e respingeva allo stesso tempo. Aveva ragion chi aveva scritto che Marsiglia non è una città per turisti. In effetti, non c'è niente da vedere. Al massimo un traghetto da prendere per Ajaccio, Bastia, Algeri. A Marsiglia si va per vivere.

- O per morire – pensò ricordando i libri di Izzo.

La città gli sembrò molto cambiata. Quei quartieri del centro attorno al Vieux-Port in cui aveva abitato e che ricordava pieni di vita gli apparvero trasformati, quasi irriconoscibili. Da una parte grandi lavori di risanamento urbano, interi isolati in via di ristrutturazione circondati da palizzate ricoperte di graffiti metropolitani. Dall'altra serrande abbassate, facciate cadenti, sporcizia per terra, odore di miseria e di un degrado inarrestabile. Per quelle strade si vedevano ormai quasi solo nordafricani, mentre dai muri delle case i manifesti del Front National vomitavano il loro messaggio d’odio. Da un'edicola i giornali del mattino (Le Provençal, Le Monde, Libération, Le Figarò, Nice Matin) parlavano della difficile situazione economica, della guerra in Medio Oriente, della politica del governo, dell'emigrazione, della criminalità dilagante. Proprio come in Italia, come in Portogallo, come in Spagna. Dappertutto la stessa merda. Roba da vomitare.

Trovò senza difficoltà il Solea. Beffardo, un cartello ricordava dalla serranda abbassata che quello era il giorno di chiusura del locale. Una volta probabilmente avrebbe preso la cosa come un segno del destino. Si sarebbe girato e sarebbe tornato indietro, ma questa volta no! Non aveva scelta. Era tornato a Marsiglia per Giulia. Doveva trovarla. Decise di fermarsi in città. Camminando sulla Canebière vide un bistrot aperto, uno degli ultimi rimasti in una via diventata una ininterrotta sfilata di boutiques, e vi entrò. Rispetto al caldo afoso di fuori nel locale faceva fresco. Si sedette su uno sgabello davanti al bancone e ordinò un pastis. In sottofondo il sax alto di Charlie Parker suonava April in Paris. Riconobbe la versione del '49 con il grande Ray Brown al basso e Stan Freeman al piano.

Si fermò a lungo a bere. Seduto al bancone, fumava e ascoltava la musica. I muri del locale erano ricoperti di fotografie di musicisti. In un angolo vicino all'ingresso una statua a grandezza naturale di un sassofonista nero ricordava agli avventori quale fosse la specialità del locale. Ad un tratto si ritrovò a canticchiare la prima strofa di Done changed my mind:

Babe, you don't want me, whiles I'm loving kind,
Some day you gon' want me, now i be done changed my mind.

(Bambina, tu non mi vuoi, mentre io ti amo con tutto il cuore, / Un giorno mi vorrai, ed io avrò cambiato idea)

Gli parve (o forse erano i troppi pastis) che dalle pareti una folla di volti gli ricordassero ironicamente che "A Marsiglia, anche per perdere bisogna sapersi battere".

Si chiese dove mai Jean-Claude Izzo avesse trovato la forza di scrivere una frase così. Nonostante la malattia, nonostante la sofferenza. Fece uno sforzo per rimandare indietro la malinconia che lo aveva preso.
  • In culo a tutto il mondo - pensò.
Dal muro sopra di lui Duke Ellington e Charlie Mingus gli sorridevano.

Si sentiva la bocca impastata.
  • Un autre, s'il vous plait. - Disse al barista che lo stava fissando senza vederlo.
Poi uscì in cerca di un albergo dove passare la notte.


(continua)