TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 5 dicembre 2014

Ombre al confine. L'espatrio clandestino degli ebrei stranieri dalla Riviera alla Costa Azzurra




Domenica 7 dicembre 2014
alle ore 16.00
a Ospedaletti presso La Piccola, ex scalo merci (via Cavalieri di Malta)

Paolo Veziano presenta il libro
Ombre al confine
L'espatrio clandestino degli ebrei stranieri dalla Riviera dei Fiori alla Costa Azzurra 1938-1940

Introducono Marino Magliani e Corrado Ramella


Pubblichiamo un estratto del libro in cui si parla di un giovanissimo Francesco Biamonti:

Paolo Veziano

Ombre al confine

«Era uno spettacolo triste dinanzi al quale non si poteva restare indifferenti, faceva male al cuore vederli passare come ombre diretti verso il confine». Queste affermazioni sono state ripetute negli anni centinaia di volte dalla gente della Riviera che le conserva stampate con caratteri ben leggibili ed indelebili nella memoria e nel cuore. Frasi che per la loro incisività sono più che sufficienti a descrivere lo smarrimento e la pervasiva e dolorosa sensazione di una popolazione che assistette sbigottita alla interminabile processione di una umanità dolente.

Parole che dimostrano in maniera eloquente come larga parte della popolazione non fosse stata intossicata – o almeno non ancora – da quella velenosa propaganda antisemita che, servendosi della stampa, aveva ritratto anche i peloti con sembianze demoniache. Il rifiuto di questa immagine, il ripetuto contatto fisico con persone prive di ogni cosa, così lontane dallo stereotipo dispregiativo del ricco ebreo, fecero rinascere nella gente semplice il naturale e mai del tutto sopito slancio a soccorrere le persone in difficoltà.

Tra le voci che circolavano e che tuttora sono presenti in un ambito più ristretto della memoria collettiva, la più vigorosa ed insistente è certamente quella relativa a presunti casi di ebrei derubati, uccisi e gettati in mare. Queste notizie sono da considerarsi, oggi, destituite di ogni fondamento, anche se, visto quel che succede attualmente in prossimità delle coste della Sicilia, non sarebbe del tutto impensabile. È noto, però, come il mare sia un mostro che rapisce e inghiotte le sue vittime, le consuma ma ne restituisce sempre i resti.



Nessuna sua vittima è mai stata depositata dalle correnti sulle spiagge italiane o francesi e, su questa circostanza, nessun particolare emerge dai documenti della polizia francese. La notizia fantasiosa degli omicidi commessi per derubare gli ebrei è stata estratta dal voluminoso e sigillato contenitore della memoria orale e ha trovato giusta collocazione nell’opera di uno dei maggiori scrittori liguri della seconda metà del Novecento: Francesco Biamonti.

Biamonti sapeva bene che questa notizia era infondata, ma in Le parole la notte se ne serve in chiave strettamente narrativa per attribuire una connotazione negativa alle cittadine rivierasche, e a Sanremo in particolare. Biamonti aveva all’epoca poco più di dieci anni, poteva ascoltare dalla voce degli adulti il racconto di quanto stava accadendo sulla costa e di cui quei particolari erano parte integrante. Ricordava dunque perfettamente quella vicenda e amava rievocarla, raccontava inoltre di essere stato, probabilmente nel 1944, all’età di sedici anni, anche involontario protagonista di un curioso episodio.

Recatosi assieme al fratello Giancarlo nell’uliveto di loro proprietà, situato sulle alture del suo paese, San Biagio della Cima, trovò il piccolo casolare occupato da alcuni ebrei che vi si erano momentaneamente rifugiati, nell’attesa della notte più adatta per passare di là. I fratelli, nonostante la giovane età, non si fecero intimorire dalla loro inattesa presenza e ne ascoltarono il racconto. Riuscirono solo dopo insistiti tentativi a far comprendere agli ospiti che le colline, dietro le quali essi sostenevano continuamente si trovasse la Francia, nascondevano in realtà una valle ancora italiana: quella del torrente Nervia.

Fu Francesco ad indicare che la loro pericolosa meta si trovava dietro l’ultima linea di creste, perfettamente riconoscibile anche per via dell’inconfondibile apertura di quel Passo del Cornà che, negli anni, gli sarebbe diventato tanto caro. Francesco Biamonti fu dunque un testimone privilegiato, un profondo conoscitore di questo aspetto della memoria popolare e forse il suo più autorevole cantore.

Passo del Cornà














Dopo la sua morte, ogni risvolto della sua opera letteraria, dalle influenze agli stilemi, è stato studiato a fondo; poco, o per nulla riconosciuto invece – forse perché dato troppo frettolosamente per scontato – è stato questo suo indiscutibile merito.

Nel suo libro forse più bello, Vento largo, i passeur muovono i traffici caratteristici degli anni del dopoguerra. Anche il protagonista, Varì, è costretto quasi controvoglia a continuare il suo dignitoso lavoro in quegli anni difficili ma, per caratteristiche e per vissuto, questo personaggio sembra appartenere, più che al presente, alla non lontana stagione del passaggio degli ebrei.

Si può ritenere invece più verosimile la notizia del presunto arricchimento di un numero ristretto di addetti ai lavori, per effetto dei ripetuti furti di valigie. Più che di furto sarebbe forse più corretto parlare di mancata consegna; in qualche caso poteva effettivamente accadere che, a causa del sovraffollamento delle barche, i bagagli al seguito non potessero essere imbarcati. Si dice che in questi casi i passeggeri ricevessero la falsa rassicurazione che sarebbero stati caricati sul trasporto successivo e consegnati in un secondo momento. Per comprensibili ragioni di riservatezza questa voce non è stata confermata dagli spedizionieri e non ha trovato riscontri nelle carte francesi.

Sembra avere invece maggior credibilità la voce data per certa da più di uno spedizioniere secondo cui alcuni funzionari locali avrebbero regolarmente preteso sia da loro sia dai passeggeri una tangente sui trasporti. La denuncia orale dei concussi trova riscontro oggettivo in una lettera confidenziale scritta da una persona rimasta anonima ma che dimostrava di essere comunque bene informata. La missiva, ricca di particolari in qualche caso inesatti, denunciava l’esistenza di una vera e propria combriccola di speculatori della quale avrebbero fatto parte anche funzionari di polizia, milizia e finanza. Non è da escludere che la lettera possa essere frutto del risentimento di qualche funzionario rimasto escluso dalla spartizione delle tangenti.

Abbiamo visto come il rumore provocato da queste voci avesse costretto Achille Peruzzi ad aprire un’inchiesta. Sappiamo anche che questa si concluse con l’esito che a Roma qualcuno auspicava: le prove della colpevolezza dei concussori non furono trovate.