TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 24 marzo 2020

Togliatti, Stalin e la politica italiana (1944-1947)




Lo stalinismo nella sinistra italiana

Riprendiamo un articolo apparso nel 1988 su Bandiera rossa, organo della sezione italiana della Quarta Internazionale.

Giorgio Amico

Togliatti, Stalin e la politica italiana (1944-1947)
Prima parte

Sfrondato dalle contingenti motivazioni di bassa cucina politica tipiche del partito craxiano, l'odierno dibattito sul ruolo di Togliatti rievoca sostanzialmente i termini di una querelle ormai più che quarantennale.
È dal marzo 1944, da quando il segretario del PCI appena rientrato in Italia dall'Unione Sovietica decide, rinunciando alla pregiudiziale repubblicana e a ogni opzione sul futuro assetto politico e sociale del paese, di sostenere il vacillante governo Badoglio e contemporaneamente di operare, con il lancio del "partito nuovo", una sostanziale rottura con ciò che restava del partito nato a Livorno ventitrè anni prima, che periodicamente ci si accapiglia a sinistra su,il perché di una decisione tanto gravida di conseguenze. A intervalli regolari accade così che qualcuno scopra in aperta polemica con gli storici comunisti sostenitori dell'origine autonoma e nazionale della scelta togliattiana, che la svolta è stata soltanto l'applicazione di una linea decisa a Mosca e che ciò svaluta irrimediabilmente l'intero corso della politica comunista nel dopoguerra, anche se da più parti si riconosce che il PCI togliattiano rappresentò "un elemento oggettivo di modernità e di stabilità politica in un paese altrimenti incline al ribellismo e all'anarchismo". (1)
Già all'inizio degli anni cinquanta lo stesso Togliatti aveva sprezzantemente negato che la svolta di Salerno fosse da mettere in rapporto con l'attività della diplomazia sovietica, escludendo decisamente l'idea stessa che di una svolta si fosse trattato:

"La politica da me seguita a Napoli allora non fu nient'altro che l'applicazione concreta di una linea tracciata e battuta dal PCI, nei confronti dei gruppi monarchici, molto prima del 1944 (...). per essere ancora più precisi, noi dicevamo chiaramente che avremmo appoggiato anche un movimento monarchico il quale, eliminando a tempo Mussolini dal potere, evitasse l'entrata in guerra dell'Italia oppure, dopo il giugno 1940, facesse uscire l'Italia dalla guerra in cui era entrata (...). E non riesco nemmeno a capire come potessero attendersi da noi una politica diversa coloro i quali avessero seguito con un po' di attenzione la nostra agitazione negli anni precedenti". (2)

In realtà le cose stanno diversamente. Certo, la linea di collaborazione di classe propugnata dal segretario del PCI aveva radici lontani, risalenti alla svolta, questa si autentica, del VII Congresso dell'Internazionale comunista e alla politica dei fronti popolari, compresa l'infausta e controrivoluzionaria applicazione sperimentata dallo stesso Togliatti, allora fedele esecutore delle direttive staliniane, nel corso dei tragici eventi della guerra civile spagnola.
Ma già nel 1939, con il patto di non aggressione tra la Russia di Stalin e la Germania di Hitler, la situazione era tanto profondamente mutata da portare alla denuncia delle corresponsabilità delle democrazie borghesi (francia e Inghilterra) nello scatenamento di una guerra di cui, riscoprendo per l'occasione accenti leninisti, veniva a gran voce denunciato il carattere imperialista e l'estraneità agli interessi del proletariato. Nonostante Amendola, ancora nei primi anni sessanta, si ostinasse a sostenere che la politica comunista dopo Salerno era "la necessaria conclusione di una linea strategica che già a Parigi, nel marzo del 1940, Togliatti aveva indicata al partito" (3), il primo documento del centro parigino dopo l'inizio delle ostilità attribuisce la responsabilità della guerra sia "all'aggressività degli Stati fascisti" sia all'imperialismo anglo-francese, difende la validità del patto russo-tedesco, nega che "questa guerra sia una guerra democratica e antifascista" ed esorta al sabotaggio, al lavoro disfattista nelle forze armate e ad azioni di massa "per trasformare la guerra imperialista in guerra civile". (4)
L'aggressione nazista alla Russia sovietica muta radicalmente questo quadro: Stalin che, nonostante le affermazioni successive sulla necessità di guadagnare tempo per preparare la macchina bellica sovietica, aveva fino all'ultimo rifiutato, contro ogni evidenza, di prendere in considerazione la possibilità di un attacco tedesco, è costretto a ripensare radicalmente la sua politica. La sconfitta militare del fascismo diventa l'obiettivo principale; la guerra perde il suo carattere imperialistico, mentre si idealizza la democrazia borghese e si esalta lo sforzo bellico degli Alleati.
Togliatti "capo unico di Komintern, ormai ridotto a un esercito di propagandisti" (5), è come al solito il più attento e abile esecutore della nuova linea staliniana ed esalta dai microfoni di Radio Mosca le "grandi idee" che stanno alla base dell'alleanza antifascista:

"Se vincesse Hitler non ci sarebbe più posto in europa e nel mondo né per la democrazia, né per il cattolicesimo, né per gli esperimenti di trasformazione sociale di cui la Russia ha dato e dà un esempio grandioso. per questo nessuno può e deve stupirsi che l'Inghilterra liberale e l'America democratica aiutino la Russia sovietica. E i cattolici non possono essere contro questo aiuto, anzi lo debbono augurare e sollecitare. Sconfiggere la Germania e distruggere la barbarie hitleriana non significa altra cosa che continuare l'opera di civilizzazione dell'umanità che si iniziò nel momento in cui spuntò sul mondo pagano l'aurora del cristianesimo". (6)

La via staliniana parallela di Togliatti

Inizia fare capolino l'atteggiamento di riguardo verso le masse cattoliche che diverrà col tempo sempre più una costante della visione politica di un Togliatti che tende progressivamente a trovare una sua propria "via staliniana", parallela, ma non sempre coincidente con quella ufficiale. Scrive a questo proposito Fernando Claudin:

"La incondizionabilità del PCI nella sua inevitabile subordinazione a Mosca non era stata tanto incondizionale come quella del PCF nel suo periodo thoreziano (...). malgrado Togliatti avesse alla fine inquadrato il Partito comunista nell'ordine cominterniano (...) l'impronta gramsciana non si era del tutto perduta (...). Con la sua particolare capacità al compromesso e alla manovra politica, e approfittando del suo alto incarico, Togliatti cercò di mantenere un difficile equilibrio tra la subordinazione alla direzione sovietica e le esigenze - come egli le interpretava - della realtà italiana. nel periodo che stiamo considerando, la salvaguardia 'dell'equilibrio' era stata facilita perché tra la strategia staliniana e la visione togliattiana dei problemi italiani esisteva una coincidenza di fondo". (7)

Lo scioglimento del Comintern nel giugno del 1943 rappresenta un esempio illuminante di questa coincidenza di interessi tra le scelte sovietiche, sempre più sganciate anche da un punto di vista meramente formale da ogni preoccupazione internazionalista, e il progetto che sta gradualmente maturando in Togliatti di una vera e propria rifondazione su basi nuove, sostanzialmente interclassiste e nazionali, del Partito comunista italiano. Ciò che interessa Stalin è rimuovere ogni impedimento che possa ostacolare in qualche modo la collaborazione con gli Alleati. Il Comintern, anche se da anni in agonia, rappresenta ancora agli occhi della borghesia internazionale e delle masse proletarie del mondo intero, il simbolo stesso della rivoluzione proletaria e il legame diretto con l'Ottobre bolscevico. È un simbolo pericoloso, che va rimosso al più presto, come osserva Stalin, per porre fine alla "calunnia" che l'URSS voglia "ingerirsi nella vita delle altre nazioni per bolscevizzarle" (8).
Tale decisione non è tuttavia rapportabile soltanto alle esigenze del momento: Stalin pensa già ad un dopoguerra di coesistenza pacifica delle sfere di influenza che verrà sanzionato inseguito dagli accordi di Yalta. In uno schema simile non c'è posto per la rivoluzione. Come nota Spriano in un testo sostanzialmente più problematico rispetto alle sue opere precedenti:

"Ogni paese a sé preso diventa l'oggetto ma anche il confine del campo d'azione dei partiti comunisti. internazionalmente, l'orizzonte è dominato dagli interessi delle grandi potenze e dalla possibilità di trovare un durevole equilibrio di pace all'ombra di un accordo fra di esse" (9).
È proprio in questo momento cruciale che vanno ricercate le origini di quella "via nazionale al socialismo" che, da sempre presentata dal PCI come il frutto principale del radicale e sofferto ripensamento togliattiano dell'intera esperienza staliniana, rappresenta invece paradossalmente il frutto più maturo di quella concezione del socialismo in un solo paese, affermatosi progressivamente con la liquidazione dell'Opposizione di sinistra nel partito stesso e nell'Internazionale e con le tragiche sconfitte in Cina, in Germania e in Spagna. Anche il linguaggio muta: cadono i riferimenti all'autonoma azione del proletariato, all'internazionalismo, alla stessa contraddizione tra capitale e lavoro. Il tasto su cui ossessivamente si batte è quello dell'unità nazionale, della comunanza di interessi fra la classe operaia e una nazione intesa come concetto metastorico, privo di ogni concreta valenza di classe.
Nel dare l'annuncio dell'avvenuto scioglimento dell'Internazionale, l'Unità commenta:

"Il Partito comunista d'Italia approva pienamente questa proposta perché lo scioglimento dell'Internazionale comunista è una misura che ha un significato politico e storico nettamente positivo per la classe operaia e per i partiti comunisti di tutti i paesi. Essa ha lo scopo fondamentale di consacrare, anche formalmente, l'indipendenza politica dei partiti comunisti e d'incoraggiarli ad adeguare sempre di più la loro politica, con spirito di iniziativa e di indipendenza, ai problemi e alle situazioni nazionali dei loro paesi. essa esprime in modo inequivocabile il fatto che la classe operaia, di cui i partiti comunisti sono l'espressione organizzata e cosciente, è assurta in modo definitivo alla funzione di classe nazionale dirigente, di classe cioè che deve e può affrontare e risolvere in modo positivo tutti i problemi inerenti alla vita e al progresso della nazione" (10).

Questo linguaggio, tuttavia, non significa necessariamente una rottura con lo stalinismo, né una maggiore autonomia da Mosca. Come testimonia uno dei protagonisti di quell'epoca, quella svolta, pur tanto carica di valenze liberatorie e di stimoli positivi per il partito italiano, non rappresentò assolutamente l'inizio di un'epoca e di un metodo nuovi per quanto atteneva ai rapporti fra partiti nell'ambito del movimento comunista internazionale:

"Il PC dell'URSS restava il punto di riferimento, la 'gerarchia' da rispettare anche nella nuova dinamica del movimento comunista" (11).

E ciò vale anche a livello ideologico, se si considera come la visione sostanzialmente menscevica della rivoluzione a tappe, che sta alla base di gran parte della concezione staliniana, rappresenti il brodo di cultura in cui fermentano i primi germi di quella deviazione gradualistica e nazionale del marxismo che, via via, per trasformazioni progressive, verrà a costituire l'essenza del corpus teorico togliattiano. Così se la riflessione di Togliatti a partire dalla svolta di Salerno fino a giungere al Memoriale di Yalta, passando per il periodo dei governi di unità nazionale e per il trauma del XX Congresso, è qualcosa che via via diventa radicalmente altro dallo stalinismo, essa non può essere compresa e neppure pensata a prescindere da questo.
Di qui un giudizio decisamente negativo sull'operazione, opportunistica e di scarso respiro politico, con cui un PCI sempre più privo di identità, che si presenta ora di fronte all'attacco craxiano come continuista esaltando la scelta nazionale e democratica operata da Togliatti nel 1944, ma depurandola accuratamente delle sue oggettive connotazioni staliniane, si lancia ora in una "radicale ricollocazione storica della Rivoluzione di Ottobre e di tutto il complesso movimento che da quella rivoluzione ha preso le mosse" coinvolgendo in un tutto indistinto bolscevismo e stalinismo" (12).

La svolta di Salerno e la liquidazione dei gruppi rivoluzionari

Il 27 marzo 1944 Togliatti giunge a Napoli e immediatamente orienta i quadri del partito in merito alla nuova linea da adottare:

"Ci mise in guardia - ricorda uno di loro - contro una schematica immaginazione dei compiti del partito (...). Dalle conversazioni di Togliatti (...) emergeva chiaramente una cosa: per il nostro paese non si poneva immediatamente il problema del socialismo" (13).

Togliatti afferma a chiare lettere che il PCI deve entrare a far parte del governo e dare il suo apporto a prescindere da ogni pregiudiziale sul futuro assetto istituzionale del paese. La politica comunista deve radicalmente mutare: non ispirarsi più a "ristretti interessi" di classe, ma farsi carico dei supremi interessi della nazione. Pochi giorni prima il governo sovietico aveva riconosciuto ufficialmente il governo Badoglio e presentato un memorandum agli alleati perché premessero sui partiti antifascisti, concordi nella pregiudiziale antimonarchica, in modo di "fare dei grossi passi verso la possibile unione di tutte le forze democratiche e antifasciste dell'Italia liberata".
Coincidenza sospetta, portata sempre come prova da chi, soprattutto a destra, ha presentato il segretario comunista come un mero esecutore della politica di Mosca.In realtà, come si è visto, le cose hanno contorni ben più articolati. Lo ammette un autore in questo caso non sospetto come Giorgio Bocca:
"La svolta di Salerno è tale solo per coloro che ignorano la storia del partito e dell'Internazionale dopo il VII Congresso. La via d'uscita, di cui parla Togliatti, è per i comunisti una via obbligata: se sono stati per il fronte popolare nella guerra di Spagna, non possono essere che per il fronte nazionale in Italia dove le condizioni sono più favorevoli, mancando ogni pericolo a sinistra e combattendosi una guerra di liberazione". (14)
Togliatti è dunque risolutamente contrario non solo a una accelerazione in senso rivoluzionario della situazione italiana, ma anche a una immediata soluzione della crisi istituzionale attraversata dal paese. Egli ritiene che a ogni costo vada evitato anche il minimo contrasto con le autorità militari angloamericane e con monarchici e cattolici. Obiettivo prioritario, a cui tutto va sacrificato, diventa l'inserimento del partito nella legalità e nel governo. Tale in sintesi era stato il contenuto del discorso tenuto ai dirigenti comunisti italiani a Mosca, pronunciato il 26 novembre 1943 nella sala delle colonne della Casa dei sindacati.
"Sarebbe assurdo - aveva concluso allora - in un paese il quale ha fatto la tragica esperienza di vent'anni di fascismo (...) pensare al governo di un solo partito e al dominio di una sola classe. L'unità e la stretta collaborazione di tutte le forze democratiche popolari dovranno essere l'asse della politica italiana". (15)
E se ciò scontenta socialisti e azionisti che considerano la "svolta" un cedimento pericoloso, pazienza! L'importante è mantenere il controllo del partito, isolando le formazioni rivoluzionarie che in modo confuso e contraddittorio stanno sorgendo alla sua sinistra.
Il compito si rivelerà più facile del previsto, agevolato dalla mancanza in Italia di una organizzazione marxista-rivoluzionaria dotata di un minimo di quadri sperimentati e di un'analisi complessiva dei problemi interni e internazionali. Vista da tale angolazione, la situazione è desolante e le posizioni trotskiste quasi sconosciute. L'esperienza della Nuova Opposizione Italiana di Leonetti, Tresso e Ravazzoli si era tutta giocata nell'emigrazione ed era rapidamente declinata senza sedimentare in Italia nulla di organizzato. Quanto ai gruppi che fanno riferimento a Amadeo Bordiga e alle posizioni della sinistra comunista, il dato che emerge è quello di un sostanziale immobilismo, frutto di una concezione riduttiva e schematica del marxismo. Così ci si limiterà a mettere in luce il carattere imperialistico della guerra in atto, astenendosi di fatto da ogni iniziativa che non sia meramente propagandistica o, dove si tenterà la via dell'organizzazione, come nel caso del Partito comunista internazionalista di Onorato Damen, si ricadrà nel tragico errore, già commesso in Spagna, di estraniarsi dalla lotta antifascista, offrendo il miglior appiglio alle campagne denigratorie degli stalinisti.
Certo, nascono e si sviluppano, raggiungendo dimensioni anche consistenti, organizzazioni come Stella Rossa a Torino o il Movimento Comunista d'Italia (Bandiera Rossa) a Roma, ma caratterizzandosi per uno stalinismo ancora più esasperato che condurrà inevitabilmente alla confluenza nel PCI (Stella Rossa) o al disperato tentativo di separare le responsabilità e la politica di Togliatti da quelle di Stalin. Atteggiamento questo, detto per inciso, ricorrente nella dissidenza comunista come dimostrerà anni più tardi l'esperienza di Azione comunista e nella seconda metà degli anni Sessanta dei gruppi m-l "storici".
Che compromesso istituzionale e lotta al "trotskismo" venissero lucidamente visti dal gruppo dirigente comunista come inscindibili, è testimoniato chiaramente, qualora ce ne fosse bisogno, dal futuro leader dei togliattiani di sinistra Pietro Ingrao:
"Attraverso quel dibattito - afferma su Rinascita già negli anni della destalinizzazione - fu condotta e vinta la lotta contro i gruppi trotskisti, contro il massimalismo parolaio, l'anarchismo e il settarismo e contro i residui della loro influenza nel movimento operaio; furono gettate le basi del partito nuovo e fu affermata la ricerca di una via italiana al socialismo". (16)

1. E. Scalfari, De Gasperi e Togliatti laici per forza,in La Repubblica, 22 agosto 1984.
2. P. Togliatti, I comunisti italiani e la monarchia, in Belfagor, n.2, 1950.
3. G. Amendola, Introduzione a Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, Editori Riuniti, Roma 1963, p. XXXVI.
4. P. Spriano, Storia del PCI, vol. III, Einaudi, Torino 1970, pp. 327-28.
5. G. Cerreti, Con Togliatti e Thorez, Feltrinelli, Milano 1973, p. 276.
6. P. Togliatti, Opere, Vol. IV.2, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 156.
7. F. Claudin, La crisi del movimento comunista, Feltrinelli, Milano 1974, p. 274.
8. Intervista di Stalin al corrispondente dell'Agenzia Reuter a Mosca, in Claudin, cit., p.25.
9. P. Spriano, i comunisti europei e Stalin, Einaudi, Torino 1983, p. 190.
10. L'Unità clandestina, n.8, 10 giugno 1943. Citato in D. Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia, Edizioni quaderni Piacentini, Piacenza 1976, p. 24.
11. L. Longo, Opinione sulla Cina, La Pietra, Milano 1977, pp- 196-99.
12. A. Occhetto, Il passato è sepolto, in La Repubblica, 10 marzo 1988.
13. P. Robotti, La prova, Editori Riuniti, Roma 1965, pp. 307-08.
14. G. Bocca, Palmiro Togliatti, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 363-64.
15. P. Togliatti, Rinascita, 23 aprile 1966.
16. Rinascita, maggio-giugno 1956, p. 315.

continua

(Bandiera Rossa, n.6. giugno 1988)