TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 31 ottobre 2020

Breve storia del dissenso comunista in Italia (1923-1969)

 


Giorgio Amico

Breve storia del dissenso comunista in Italia (1923-1969)


Dopo l'ultimo post su Leonetti in cui si accennava a una ricerca in corso sulle dissidenze comuniste, qualche lettore curioso ha chiesto maggiori dettagli in merito. Ed in effetti l'argomento è poco conosciuto al di fuori di una ristretta cerchia di ricercatori o di “vecchi credenti” che ancora a quelle dissidenze fanno riferimento, tanto che il PCI è ricordato come partito monolitico e compatto, mentre in realtà la sua storia è anche una storia di rotture individuali e di scissioni, il più delle volte determinate da fattori internazionali.

Lasciando da parte i casi individuali che, per la rilevanza dei personaggi coinvolti (Tasca e Silone, tanto per citare i più noti), sono stati materia di ricerche e di scoop giornalistici più o meno seri, la ricerca di cui si parlava tratta invece delle dissidenze organizzate e del loro tentativo di rappresentare una alternativa credibile alla politica del PCI.

Già nel 1923, mentre in Italia iniziava la “bolscevizzazione” del Pcd'I che avrebbe nell'arco di quattro anni portato al totale allineamento del partito alla politica sovietica e allo stalinismo, Michelangelo Pappalardi (1895-1940), espatriato per sfuggire alla repressione fascista prima in Belgio e poi in Germania e in Francia, entra in stretto contatto con l'estrema sinistra del partito comunista tedesco ed in particolare con Karl Korsch di cui riprende le tesi sulla natura controrivoluzionaria dello Stato sovietico. Da questi contatti nascerà il “Gruppo autonomo comunista”, poi “Gruppi d'avanguardia comunista” e infine “Gruppi operai comunisti” che pubblicheranno i giornali “Le Réveil communiste “ e poi “L'ouvrier communiste”. Il gruppo si scioglierà nel 1931 e Pappalardi, isolato e malato, dopo essersi trasferito in Argentina nel 1939 per sfuggire ai nazisti, morirà a Buenos Aires nel 1940.



Di portata estremente più ampia sia sul piano delle dimensioni organizzative che della profondità delle analisi politiche è l'esperienza della Frazione italiana all'estero della sinistra comunista italiana.

Formata dai seguaci di Bordiga, anche se questi di fatto ritiratosi dalla politica dopo il 1930 rifiutò sempre ogni coinvolgimento preferendo rimanere in Italia, in larghissima parte operai costretti ad emigrare per motivi politici, nel 1928 ad opera soprattutto di Ottorino Perrone (Vercesi), la Frazione iniziò ad operare in Francia e in Belgio (e poi anche negli Stati Uniti e in Messico) come gruppo organizzato, pubblicando le riviste “Prometeo” e “Bilan”. Fortemente antistalinista, la Frazione cercò prima di collegarsi all'Opposizione internazionale animata da Trotsky, per rompere poi ogni rapporto e proseguire come realtà del tutto autonoma. Dopo la caduta del fascismo molti militanti della Frazione rientrarono in Italia e parteciparono alla costituzione nel 1943/44 del Partito Comunista Internazionalista, meglio conosciuto come “Battaglia comunista” dal nome del giornale, che esiste tutt'ora.

Nel 1930 la politica fortemente avventurista e settaria dell'Internazionale comunista ormai saldamente controllata da Stalin causa quella che Togliatti definirà ”la lotta interna più aspra che mai si sia combattuta all'interno del partito comunista italiano”. Metà della Direzione del partito verrà espulsa per aver criticato la tesi di Longo, fatta sua da Togliatti, che il fascismo era ormai agli sgoccioli e che in Italia i tempi erano maturi per la rivoluzione. Tesi che portò al rientro in Italia di decine di militanti, anche di primo piano, per organizzare l'insurrezione e che in poco tempo finirono a riempire le galere fasciste. Gli espulsi, Pietro Tresso (Blasco), Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli, i “Tre” come con intenti derisori li definiva la stampa stalinista, aderirono all'Opposizione di sinistra internazionale dopo aver preso contatto direttamente con Trotsky allora in esilio nell'isola di Prinkipo in Turchia.

Nacque così la NOI, la Nuova Opposizione Italiana, destinata a vita breve e travagliata per i contrasti interni e per le lotte di frazione e personali che dividevano il movimento trotskista. Dei suoi fondatori Pietro Tresso, diventato un dirigente della sezione francese della Quarta Internazionale, finirà assassinato dagli stalinisti nel 1944, Paolo Ravazzoli rientrerà nel Partito socialista da cui era uscito al congresso di Livorno del 1921 e Alfonso Leonetti inizierà una lunga marcia di riavvicinamento al PCI che lo porterà nel 1962 ad essere riammesso nel partito non senza un'umiliante autocritica.



La caduta del fascismo nel 1943 e la guerra di Liberazione portarono alla nascita di numerose formazioni politiche alla sinistra del PCI di cui non condividevano la politica di unità nazionale derivata dalla svolta di Salerno. Si formarono così nel Sud liberato dagli alleati, la Frazione di sinistra dei comunisti e dei socialisti italiani, molto attiva in Campania e in Calabria che nel 1945 confluirà in maggioranza nel Partito comunista internazionalista e in Puglia il POC, Partito Operaio Comunista, diretto da un ambiguo personaggio, Romeo Mangano, già dirigente del Pcd'I ai tempi della direzione bordighiana e che si scoprirà poi essere stato durante il fascismo un attivissimo informatore dell'OVRA. Il POC, che si dichiara trotskista anche se in realtà porta avanti un confuso programma fortemente influenzato dalle tesi di Bordiga, aderirà alla Quarta Internazionale per poi esserne espulso nel 1948 e infine per sciogliersi alla metà degli anni '50. Verrà rimpiazzato nel 1949 dai GCR, Gruppi Comunisti rivoluzionari, fondati da Livio Maitan e da un gruppo di giovani provenienti dalla Federazione Giovanile del PSLI, il partito di Saragat, che editeranno il giornale Bandiera Rossa e fino al 1968 opereranno in segreto nel PCI, la politica cosiddetta dell' "entrismo". Trasformatisi poi in LCR, Lega comunista rivoluzionaria, i trotskisti italiani aderiranno come tendenza organizzata prima a Democrazia Proletaria e poi, dopo l'implosione del PCI, al Partito della Rifondazione comunista.

Ritornando agli anni '40, nelle zone occupate nascono movimenti dissidenti comunisti che portano avanti con estrema determinazione un'azione politico-militare. Caratterizzati da una critica al “democraticismo” del PCI che ha abbandonato la via rivoluzionaria e sostenitori di una idea mitizzata di Stalin e dell'Armata Rossa, questi gruppi svolgono un ruolo importante nella Resistenza antinazista che vedono come il prologo della rivoluzione proletaria. Il Movimento comunista d'Italia, meglio conosciuto come “Bandiera Rossa” dal nome del suo giornale, è il cuore della Resistenza romana tanto da avere fra i fucilati delle Ardeatine più caduti che il PCI. Dopo la guerra cercherà di darsi carattere nazionale per poi sciogliersi agli inizi degli anni '50. A Torino ruolo analogo è svolto dal Partito comunista integrale e dal giornale “Stella Rossa”, fortemente radicato nelle fabbriche e su posizioni molto simili a quelle di Bandiera Rossa. Il gruppo confluirà poi nel Partito comunista dopo il misterioso assassinio del suo principale esponente, Temistocle Vaccarella, ucciso in circostanze mai chiarite il 19 giugno 1944 a Milano dove si era recato per incontrarsi con rappresentanti del PCI.

A Milano opera invece il gruppo de “Il lavoratore” animato dai fratelli Venegoni, su posizioni analoghe a quelle dei romani e dei torinesi. Anche questo gruppo, dopo una lunga trattativa con Secchia, rientrerà nel PCI integrandosi nella attività politico-militare del partito.

Come si diceva, gran parte delle scissioni del PCI sono dovute a fattori internazionali più che interni. È il caso nel 1951 della scissione cosiddetta dei “Magnacucchi”, epiteto derisorio coniato da Togliatti. Valdo Magnani e Aldo Cucchi, già coraggiosi comandanti partigiani e ora deputati del PCI, Magnani è anche segretario dell'importante federazione di Reggio Emilia, rompono con il partito schierandosi decisamente a fianco della Jugoslavia di Tito allora in piena rottura con Stalin, presentata come esempio da seguire nella costruzione del socialismo. Nascerà così il movimento Lavoratori italiani, diventato presto Unione Socialista indipendente (USI) portavoce in Italia delle posizioni scismatiche dei comunisti jugoslavi. Fortemente osteggiata dal PCI, l'USI non avrà vita facile, tanto da confluire nel 1957, anche per effetto dei fatti d'Ungheria, nel PSI. Quanto a Valdo Magnani, questi nel 1962 rientrerà nel PCI per diventare poi nel 1977 presidente della Lega delle Cooperative.



Nel 1954 è la volta di Giulio Seniga, braccio destro di Secchia e capo dell'apparato “riservato” del partito a rompere con Togliatti e a fuggire con la cassa dei fondi segreti di provenienza sovietica. La rottura non resta un fatto individuale, già dal 1955 Seniga fonda il giornale Azione Comunista. Nel 1957 Azione Comunista e i GAAP, organizzazione di origine anarchica fondata nel 1951 da Pier Carlo Masini e Arrigo Cervetto, si fondono a formare il Movimento della sinistra comunista. Nel 1964 il gruppo implode e la componente leninista di Cervetto e Parodi darà vita al gruppo “Lotta comunista” che rappresenta oggi a livello mondiale con sezioni in diversi paesi (Russia compresa) probabilmente la più consistente organizzazione rivoluzionaria leninista al di fuori dei partiti comunisti.

All'inizio degli anni '60 la rottura fra i comunisti cinesi e quelli sovietici porta alla nascita all'interno del PCI di gruppi di dissidenti, legati soprattutto alla componente stalinista di Secchia, che riprendono le accuse cinesi a Togliatti e al PCUS “destalinizzato” di revisionismo. Nasce il Movimento di Nuova Unità che raccoglie, con l'appoggio e il finanziamento cinese, questo dissenso in larga parte composto di vecchi quadri stalinisti emarginati nel partito dopo il 1956. Il Movimento si fraziona presto in una quantità di gruppetti, il più consistente dei quali nell'Ottobre 1966 fonda a Livorno il Partito comunista d'Italia (marxista-leninista), immediatamente riconosciuto dai partiti “fratelli” cinese e albanese. Anche il PCd'I subirà a partire dal 1968 una serie di scissioni che daranno origine ad altri micropartitini maoisti, per confluire a sua volta agli inizi degli anni '90 in Rifondazione. Unico sopravvissuto di quell'epoca resta il minuscolo Partito Marxista Leninista Italiano con il giornale “Il bolscevico” frutto della scissione nel 1969 della Federazione fiorentina del PCd'I (m-l).

L'ultimo atto di questo storia, perché i gruppi e i partitini post 68 sono un'altra cosa e non derivano da rotture del PCI ma in larga parte dalla politicizzazione del Movimento Studentesco, è rappresentata dalla radiazione nel novembre 1969 dal PCI del gruppo dissidente del Manifesto rappresentato da Lucio Magri, Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Luciana Castellina e Luigi Pintor. Il Manifesto rappresenta il caso più conosciuto di dissenso comunista, grazie anche al giornale che pur con molte peripezie e mutamenti di linea, continua tutt'ora ad uscire. Anche in questo caso, più che fattori interni rappresentati dalla disfatta all'XI Congresso del PCI della componente ingraiana, giocarono fattori internazionali ed in particolare la Rivoluzione culturale cinese di cui il gruppo del Manifesto fu sempre aperto sostenitore, anche quando il Partito comunista cinese stesso ne denunciò gli orrori, e , causa scatenante, l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche nel 1968 e la riflessione ritenuta insufficiente del PCI su quei fatti e più in generale sulla politica sovietica.