TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 6 ottobre 2020

L'incontro mancato di Livio Maitan con la Resistenza


 

Giorgio Amico

L'incontro mancato di Livio Maitan con la Resistenza

Nato nel 1923, nel giugno 1940 Maitan finisce il liceo a soli 17 anni e tre mesi dopo si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova e subito dopo ai GUF, a cui risulta iscritto anche negli anni successivi almeno fino al 1942.

Il giovane è ancora convintamente fascista. Lo riconosce, anche se in termini molto sfumati, nelle primissime pagine della sua autobiografia: “All'inizio della guerra molti erano ancora sensibili ai motivi patriottico-populistici della propaganda ufficiale” , scrive ed è evidente che sta parlando di sé. Ma l'andamento stesso delle operazioni belliche, il prolungarsi di una guerra che si pensava già vinta con la resa della Francia determinano un primo ripensamento. Già tra la metà del 1941 e gli inizi del 1942, dopo le prime sconfitte in Africa e il trauma della campagna di Grecia dove gli alpini sono stati mandati al macello, iniziano “le prime riflessioni, seguite da vere e proprie crisi di coscienza”. Ancora una volta, pur parlando della sua generazione, Livio ci dice che in realtà è a se che fa riferimento. Qualche pagina più avanti egli riconoscerà la gradualità con cui questo cambiamento è avvenuto, più per l'influsso degli avvenimenti bellici che per una maturazione politica personale che restava “ ancora generica, non definita in termini politici e ancora meno di partito”.

Agli inizi, scrive, la sua è una riconfermata adesione al regime: “Reagivo in un primo tempo come altri coetanei, influenzati ancora dalla manipolazione patriottica-nazionalista: era dovere di tutti fare qualche cosa per salvare il Paese, magari rinunciando, noi studenti universitari, alla proroga del servizio militare. […] Ma era una reazione di breve durata. Già pochi mesi dopo la decisione era presa. […] Abbandonavo la vecchia «fede» […] E rinunciavo con una scusa al modesto compito che avevo assolti sino ad allora nell'organizzazione giovanile ufficiale di quartiere.”

Il modesto compito, su cui Maitan non si diffonde in particolari, pare fosse il tenere corsi di mistica fascista per la GIL (la Gioventù Italiana del Littorio). Compito svolto, almeno per un certo periodo con impegno se, come documentato, nell'immediato dopoguerra Maitan fu sottoposto dallo PSIUP ad un procedimento disciplinare interno a causa della segnalazione dei metodi eccessivamente solerti usati dal giovane istruttore. A onor del vero, la cosa finì in nulla grazie all'intervento di autorevoli compagni che garantirono dell'antifascismo sincero di Maitan, tanto è vero che subito dopo egli fu eletto alla carica di segretario della sezione giovanile del partito di Venezia.

È in quel periodo che si forma il gruppo del quartiere Sant'Elena, formato tra gli altri da Gianmario Vianello e Cesco Chinello e in qualche modo gestito da Mario Ferrari Bravo, di un decina di anni più vecchio, già istruttore ai corsi obbligatori di preparazione premilitare.

Nella sua “Autobiografia resistenziale” Cesco Chinello, negli anni '60 segretario della Federazione comunista di Venezia e poi deputato e senatore del PCI, racconta così la nascita del gruppo:

Una sera, in vaporino fine 41 o inizio 42 io e Livio Maitan discutevamo, a voce alta e molto criticamente, sui commenti che Mario Appelius faceva alla sera alla radio sulle vicende della guerra e sugli inserimenti a viva voce di Radio Londra per cui ne nascevano delle situazioni paradossali in cui i due nemici si controbattevano e in cui, di solito l'Appellius soccombeva, oltre che per i fatti incontrevertibili, anche perché senza verve. [Radio Londra in realtà non c'entra. Il riferimento è al fatto che nell’ottobre 1941 il comunista Luigi Polano riuscì a inserirsi nella trasmissione radio che Appelius conduceva per l’EIAR fascista e a obbligarlo a una discussione pubblica. Nota nostra]  Scendendo dal vaporino a S. Elena un tizio ho saputo dopo che si chiamava Zinoni, un fascista di antica data che abitava vicino a casa mia ci si è avvicinato invitandoci per le spicce a seguirlo nella vicina sede del fascio. Lì ci ha chiesto le generalità, ci ha contestato duramente le nostre critiche all Appellius dandoci dei disfattisti e minacciando severissime punizioni. Poi gli hanno detto che eravamo figli di mutilati di guerra, che il padre di Maitan era stato volontario in Abissinia e non so che altro e alla fine ci ha lasciati andare solo perché ha commentato eravamo figli, anche se indegni, di gente che aveva dato tutto alla patria. Piccole storie ma che segnano le esperienze individuali e incentivano la critica e l'iniziativa contrapposta. Con questi giovani di S. Elena ci conoscevamo sin da bambini, talvolta abbiamo anche giocato insieme dipendeva dalla differenza di età che contava molto, anche se era solo di qualche anno e ci eravamo ritrovati obbligatoriamente nel premilitare che ci facevano fare marciando su e giù per il viale di S. Elena: una cosa insopportabile, penosa, goffa e che ci infastidiva molto per la perdita di tempo e per il modo d essere pagliaccesco, con quella divisa addosso che puzzava di lana straccia e il finto pugnale di latta. Sono avvenuti proprio in questi sabato pomeriggio del premilitare i nostri primi incontri, i primi ammiccamenti”.

Il gruppo svolge comunque una attività “di modesta portata”, secondo quanto scrive lo stesso Maitan, consistente nell'affissione di qualche volantino e poco più. Come la distribuzione di alcune copie de l'Unità clandestina che sarebbero state consegnate personalmente a Maitan da Concetto Marchesi suo professore all'Università di Padova. Episodio peraltro non ricordato da nessuno di coloro che a vario titolo ha trattato del gruppo di giovani cospiratori del rione Sant'Elena.

Il 25 luglio 1943, mentre presta servizio come aspirante allievo ufficiale nei pressi di Vittorio Veneto, attività organizzata dalla Milizia e rivolta ai membri della Milizia Universitaria a cui pare Maitan avesse aderito nel 1942, è raggiunto dalla notizia della caduta del fascismo.Tornato a Venezia, con gli amici del gruppo di Sant'Elena prende i primi contatti con esponenti dei partiti operai, PCI e PSIUP. Da quel momento egli si considererà un militante socialista. Ma la situazione si fa presto difficile, l'occupazione tedesca inizia a far sentire i suoi effetti e occorre decidere cosa concretamente fare.

A differenza di alcuni suoi compagni, come Cesco Chinello o Cesare Dal Palù, che iniziano immediatamente una attività clandestina che li porterà in carcere o a raggiungere le formazioni partigiane che da mesi ormai combattono sui monti, Maitan si rifugia a Trieste a casa della nonna dove resta cinque mesi, abbandonando di fatto ogni impegno politico per dedicarsi interamente agli studi.

Il precipitare della situazione lo costringe comunque a decidere cosa fare. Informato di essere ricercato come renitente alla leva, invece che raggiungere le bande partigiane, Maitan decide di rifugiarsi in Svizzera. Una decisione difficile da capire anche perché nella sua autobiografia egli non fornisce alcuna motivazione di un gesto che, confrontato con la scelta di migliaia di giovani anche di scarsa cultura o di nessuna formazione politica di salire in montagna e unirsi alle formazioni partigiane, colpisce in un intellettuale politicamente cosciente come appare già allora il giovane Maitan.

Grazie all'aiuto, anche economico, di uno zio molto benestante che abita sopra il lago di Como a poca distanza dal confine, Maitan il primo aprile 1944 passa in Svizzera dove viene internato in un campo per stranieri. E in Svizzera Maitan resterà fino alla Liberazione, stringendo contatti con importanti dirigenti socialisti. Uno di questi fu il luganese Guglielmo Canevascini, allora ministro degli interni del Canton Ticino, che nel dopoguerra sarà il tramite attraverso cui giungeranno a Faravelli e a Critica sociale i finanziamenti americani destinati a rafforzare la componente autonomista del PSIUP. 

Nella sua autobiografia Maitan accennerà di sfuggita di aver progettato di rientrare in Italia per «riprendere» l'attività nella resistenza, ma di esserne stato dissuaso dal dirigente socialista Fernando Santi. Ancora una volta l'affermazione lascia stupiti, anche perché da quanto da lui stesso   precedentemente raccontato, Maitan non aveva mai avuto alcuna parte nella lotta partigiana, né a Venezia né in montagna, e dunque non c'era proprio alcuna attività da riprendere. Semmai, proprio volendo, di un inizio si sarebbe trattato. E comunque era tardi: si era nella primavera 1945 e i giochi praticamente erano fatti. 

Maitan ritornerà in Italia e nella sua Venezia solo dopo il 25 Aprile, a Liberazione ormai avvenuta ,  e dovette almeno per i primi mesi consacrarsi essenzialmente agli studi universitari, visto che si laureò nel novembre 1945. Quello di Maitan con la Resistenza fu dunque un incontro mancato, anche se, ma è appena una notazione minima, questo non ha impedito all'ANPI di Venezia di inserirlo, non sappiamo a quale titolo, in una lista online di partigiani illustri. Stranezze della storia.

Riflettendo su queste vicende, ampiamente riportate nelle prime pagine della sua autobiografia, ci è venuto di pensare che la mancata partecipazione alla lotta partigiana e la fuga in Svizzera, perché in sostanza a non voler essere ipocriti di quello si trattò, abbia lasciato un segno indelebile sulla personalità di Maitan condizionandone fortemente la futura attività di dirigente della Quarta Internazionale. Quel mancato impegno giovanile,probabilmente vissuto inconsciamente come un tradimento o un atto di viltà, più di cento ragionamenti teorici può aiutarci a comprendere perché negli anni '60 proprio Maitan fosse il principale artefice della svolta guerriglierista del movimento trotskista soprattutto in America Latina. Una sorta di riscatto postumo che però avrebbe portato a una sconfitta di proporzioni storiche segnata dall'annientamento anche fisico di intere sezioni, a partire dal PRT argentino, della Quarta Internazionale e di una intera generazione di militanti.

(Le citazioni, in corsivo e virgolettate, sono tratte da: Livio Maitan, La strada percorsa, Bolsena, Massari Editore, 2002; e da: Cesco Chinello, La mia “educazione sentimentale”. Autobiografia resistenziale, in Nella resistenza. Vecchi e giovani a Venezia sessant’anni dopo, a cura di G. Albanese e M. Borghi, Portogruaro, Nuova Dimensione, 2004 )