TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 1 dicembre 2020

Tornare a Manosque. Jean Giono a cinquant'anni dalla morte

 


Giorgio Amico

Tornare a Manosque. Jean Giono a cinquant'anni dalla morte


L'emergenza sanitaria, dovuta al Covid 19, ha fatto annullare gran parte delle iniziative organizzate in Francia in occasione del cinquantenario della morte di Jean Giono. Un peccato davvero, perché alcune erano di grande interesse, soprattutto a Manosque che non è poi così lontana da noi e dove lo scrittore passò gran parte della sua vita. Un'esistenza attiva, attenta ciò che accadeva nel mondo attorno a lui, comprese due guerre mondiali che gli costarono entrambe problemi giudiziari. Per pacifismo la prima, per collaborazionismo, accusa rivelatasi poi del tutto infondata, la seconda. Eppure, fu proprio lui a dichiarare, contro la retorica di una certa critica per la quale la scrittura doveva essere necessariamente “impegnata”: «Se invento dei personaggi e ne scrivo, è semplicemente perché sono alle prese con la grande maledizione dell'universo, a cui nessuno presta mai attenzione: la noia». Affermazione volutamente bugiarda e non priva di una punta di sarcasmo

Un autore, Jean Giono che sentiamo nostro e non solo perché proveniente da una famiglia di origine piemontese, ma in quanto cantore di una Provenza di cui il nostro estremo Ponente, da Bordighera in avanti, rappresenta di fatto un'anticipazione. C'è ancora chi ricorda quando molte ragazze ponentine andavano proprio nella zona di Manosque a raccoglier lavanda per potersi fare un minimo di dote. Biamonti ne parla in uno dei suoi libri più belli. “Campi di lavanda e di vento” li chiama,  tratteggiando una descrizione quasi pittorica che sarebbe piaciuta a Giono:

“Tutto l'altopiano era una zattera del cielo. Un altro vento era cominciato la brezza della «montagne de Lure» . Il deserto della lavanda, terre apriche, adesso era freddo e stellato”.

E a Manosque Giono vive, ispirandosi per i suoi romanzi ai paesaggi e agli abitanti della Provenza. Nei suoi libri, a partire dallo splendido L'uomo che piantava gli alberi, la natura è sempre in primo piano e non un semplice sfondo per le storie dei suoi personaggi. E anche in questo l'influsso sulla scrittura di Biamonti è profondo, La sua è una Provenza, reinventata ma realistica fatta di vento e di sole dove bellezza e tragedia si fondono in maniera inestricabile.

« Il romanziere – si legge nella prefazione all'ultimo volume delle sue opere apparso da poco nelle edizioni de La Pléiade – fa così saltare tutte le frontiere esistenti per creare un «Sud immaginario» di cui non si trovano i contorni su alcuna carta. (…) Queste «Alte Colline», questo «Alto Paese» d’Ennemonde, questi altipiani battuti dai venti, sono una terra immaginaria che deve tanto alla lettura degli autori greci e latini, divorati in gioventù da Jean Giono, che a quella di Whitman o più tardi di Faulkner - un territorio mitico, poetico, spesso tragico Se di Provenza si tratta, Giono presta la massima attenzione a rifiutarne i luoghi comuni”,


Ma non è solo la vicinanza geografica che ci lega a Giono. Nella sua produzione letteraria l'Italia ha un ruolo importante, a partire dal ciclo dell'Ussaro così carico di echi stendhaliani. E proprio L'ussaro sul  tetto è stato da poco ristampato da Guanda che a maggio ha pubblicato, per celebrare il cinquantenario,  la prima traduzione italiana di Melville, una biografia romanzata e in larghissima parte reinventata del grande scrittore americano autore di Moby Dick. Un libro affascinante, nato da una serie infinite di riletture del capolavoro melvilliano. Nel 1936 Giono lavora alla prima traduzione francese dell'opera di cui deve curare anche la prefazione. Prefazione che non uscirà mai perché Giono la trasforma in un romanzo in cui immagina come  lo scrittore americano durante un soggiorno a Londra nel 1849 abbia concepito l'idea del romanzo che lo avrebbe reso immortale. Un Melville che si muove tra la quotidianità della vita, compresa una storia d'amore, e la navigazione sugli sconfinati "campi di lavanda" del mare, simile nel suo tardo romanticismo a Angelo Pardi, l'ussaro innamorato assetato di avventure come il Fabrizio del Dongo de La Certosa di Parma. Una narrazione sospesa tra biografia e invenzione, l'omaggio straordinario di un grande scrittore ad un maestro della letteratura di tutti i tempi.