TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 11 aprile 2021

Leonardo Sciascia da giovane. Fra fascismo, Democrazia cristiana e Partito comunista

 



Giorgio Amico

Leonardo Sciascia da giovane. Fra fascismo, Democrazia cristiana e Partito comunista*

Nel 1951 si sviluppò su alcuni organi di stampa una polemica fra un non meglio identificato “Ex” e Leonardo Sciascia. L'ancora semisconosciuto scrittore aveva pubblicato su un giornale (democristiano) siciliano un articolo irridente Mussolini e dalle colonne del fascistissimo “Meridiano d'Italia” un anonimo firmatosi “Ex” gli aveva risposto con una dura lettera che terminava con un “è ridicolo che oggi fai l' antifascista, perché in tanti ricordano bene quando eri fascista”.

La lettera da immediatamente il via ad una serie di precisazioni e repliche da una parte e dall'altra. Al primo “Ex” se ne aggiunge presto un secondo che ricalca la dose ricordando come Sciascia avesse tenuto comizi per il Partito fascista ricavandone citazioni e premi. Al che Sciascia replicherà irridente che i suoi discorsi erano stati in realtà delle beffe in cui utilizzando le riunioni del regime si era fatta propaganda antifascista per conto del Partito comunista clandestino:

“I due "ex" ci accusano di avere, tra il ' 40 e il ' 43, parlato in qualità di iscritti al Guf, da fascisti e a pubblico fascista. Verissimo il fatto di avere una o due volte, e poi in un convegno di universitari, parlato in luoghi e su temi "fascisti". Ma c' è un piccolo dettaglio: nel 1938, a Caltanissetta, noi entrammo nelle file del Partito comunista clandestino. I fascisti erano stupidi - continua - e ne approfittavamo. Segnaliamo agli ex il quindicinale "di Guardia" della federazione fascista: troveranno degli articoli che potremmo oggi ripubblicare senza arrossire. Ma naturalmente i fascisti non capirebbero ancora, come non capirono allora. Una volta a un convegno abbiamo persino (parlando male del fascismo) ricevuto un premio in denaro che immediatamente abbiamo trasformato in sigarette imparzialmente divise tra tutti gli "amici". Fu un tempo di divertenti beffe, e lo ricordiamo con quel piacere che accompagna sempre le cose della prima gioventù”.»

Della cosa non si parlò più e fu dimenticata. Sciascia stesso si guardò bene dal parlarne, finché uno studioso nei primi anni duemila decise di approfondire il tema degli scritti giovanili di Sciascia di cui nessuno si era mai apparentemente occupato e la cosa non fu senza conseguenze.

Cogliendo l'accenno a “di Guardia!” organo dei Fasci di combattimento di Caltanissetta, da una ricerca sul giornale, assai difficile da trovare come tutti i giornali d'epoca fascista – forse perché qualcuno pensò bene dopo la guerra di far sparire tracce di un passato compromettente – venne fuori che tra il 1940 e il 1941 Leonardo Sciascia aveva effettivamente collaborato al giornale con ben dodici articoli firmati e forse anche con altri contributi rimasti anonimi. Dunque, nel primo anno di guerra Sciascia contribuì stabilmente alla redazione del giornale con articoli di sostegno allo sforzo bellico italo-tedesco, l'esaltazione di Mussolini e la denigrazione sistematica delle democrazie corrotte e plutocratiche angloamericane. Tra gli articoli uno colpisce particolarmente l'attenzione, perché, abbandonato per una volta il tema della guerra e della politica estera, Sciascia riprende e fa suo un argomento tipico della propaganda fascista, quello della donna anglosassone, stupida e vuota, contrapposta alla donna italica, sposa e madre destinata a dar figli alla patria e al Duce.

“Come tutte le macchine stupide la donna borghese è maledettamente complicata di leve di tasti di lubrificazioni e di scatti. Vive in un vuoto pneumatico. Si muove su un binario morto. Teatro cinema libri di fama e variazioni sportive sono per lei un sistema di ventilazione – una cultura pretesto o uno sport pretesto. Tra il tennis e Pearl Buck conserva la sua parvenza di manichino. Anche se va in cerca d’emozioni. Anche se fuma sigarette estere. Anche se legge Caldwell. Sulla sua intelligenza tutto scivola come l’acqua sulla pietra. Importante è il monocolo del signor M. N. o la frase di spirito che il Signor F. S. ha buttata annoiatamente come un mozzicone di sigaretta. Un’eco di pescecanismo è oggi nella loro vita. Io – e basta”. (L[eonardo]. S[sciascia], Cristallizzazione, «di guardia!», 20 gennaio XIX, II, 6, 3.)

Per essere una forma mascherata di propaganda antiregime non c'è male. Così come viene naturale domandarsi come mai il fascismo sia caduto solo il 25 luglio del 1943, visto che tutti gli organi di stampa fascisti, dai più importanti ai più provinciali, erano redatti in larga parte da intellettuali guarda caso concordi nel dichiarare a cose fatte di essere stati “temporibus illis” in realtà tutti convinti comunisti intenti a minare il regime dall'interno. Meglio lasciar perdere, il discorso porterebbe lontano e investirebbe in pieno quel particolare carattere della storia nazionale che è stato ed è il trasformismo.

Comunque sia Emanuele Macaluso, anche lui di Caltanissetta, garantisce per Sciascia che, a suo dire, fu sempre comunista. Nonostante l'autorevolezza e la caratura del personaggio, le perplessità tuttavia restano inalterate. Non pare ad esempio credibile, considerate le rigorosissime regole di clandestinità del PCI, che alle attività di una cellula partecipassero elementi, come Sciascia che per primo ammette di essere stato un comunista non iscritto, dunque nell'ipotesi migliore, un semplice simpatizzante. Ma, anche ammesso che quella cellula sia davvero esistita, colpisce che invece di operare fra i minatori e i contadini, limitasse la sua attività a prendersi gioco sul giornale della federazione fascista dei temi della propaganda del regime. A meno che, come probabile, non si sia trattato molto più realisticamente di un gruppo di studenti che amavano sentirsi comunisti giocando sulle parole per sfidare , come affermò lo stesso Sciascia, la stupidità dei fascisti. Insomma, più una goliardata che cospirazione vera e propria. Sono gli interrogativi,che in forma non direttamente politica e molto raffinata, si pone un illustre studioso dell'opera di Sciascia:

“E tuttavia potremmo definire ‘politica’ un’operazione simile, solo se feticizzassimo al massimo le dichiarazioni d’autore (su Brancati e Savinio maestri di antifascismo, ad esempio): in sé, in effetti, i riferimenti non sono poi molto esplicativi. L’allontanamento dal regime è più che altro comprovato da una torsione nelle letture private, dal ripiegamento in un dialogo con i propri autori. Le allusioni sono talmente complesse da costituire una sorta di gioco intimo e iperletterario più che una testimonianza pubblica. Arriviamo così ad un primo punto importante: il materiale d’impiego dell’operazione di Sciascia in Cristallizzazione è letterario e colto e pur tuttavia non è impiegato in senso allusivo. L’opacità e la non organicità dei rimandi sembrano indicare una volontà di occultamento più che un invito alla scoperta. Il pubblico è del tutto estromesso.messo... Ma allora a chi parla Sciascia? Oltre che a se stesso, è legittimo pensare ad ristretto gruppo di conoscenze con cui condivideva esperienze, opinioni, letture”. (Enrico Fantini, "L’intellettuale ‘rondista’: su alcuni tic retorici nella scrittura di Sciascia". In “I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo”. Atti del XVIII congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Padova, 10-13 settembre 2014), a cura di Guido Baldassarri, Valeria Di Iasio, Giovanni Ferroni, Ester Pietrobon, Roma, Adi editore, 2016, p,5)

L'affermazione è chiara. Se intento antifascista c'era, esso era totalmente incomprensibile al pubblico.Insomma, un gioco colto fra giovani intellettuali moderatamente dissidenti. Ma potrebbe benissimo anche non essere stato un gioco e che l'uso dell'aggettivo “antifascista” a definirlo sia del tutto fuori luogo. Importante, ci pare, a questo proposito il giudizio recentissimo di un altro illustre studioso, questa volta americano, Joseph Francese che già nell'introduzione del suo studio mostra di credere alla natura genuinamente fascista degli scritti di Sciascia:

“In questo articolo prendo in esame, nel loro contesto storico, undici editoriali di Leonardo Sciascia pubblicati nel 1940-41 in di guardia!, la pubblicazione bisettimanale dei Fasci di Combattimento di Caltanissetta. Questi articoli trattano quasi esclusivamente di politica estera. Un'analisi che mi ha fatto comparare e mettere a confronto l'immagine del giovane Sciascia che esce direttamente dalle pagine de In guardia! Con la miriade di affermazioni autobiografiche che lo scrittore fece in supporto di sé e della propria immagine creata e perfezionata per quattro decenni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Pietra angolare di questa immagine è una coscienza antifascista generata dalla Guerra civile spagnola(1936–1939). Ma i contributi di Sciascia a di guardia!—tutti perfettamente allineati con la tipica propaganda di guerra fascista — dipingono il ritratto di un giovane che è davvero molto d'accordo con la politica estera di Mussolini, suggerendo che la conversione dello scrittore all'antifascismo avvenne nel periodo successivo all'attacco giapponese a Pearl Harbor e durante l'occupazione alleata della Sicilia”. (Joseph Francese, "Leonardo Sciascia in the pages of di guardia! Quindicinale della Federazione dei Fasci di Combattimento di Caltanissetta", Forum Italicum: A Journal of Italian Studies , Vol 53, Issue 3, 2019).

Macaluso, si è visto, è categorico tanto da ribadire in diverse occasioni la fede comunista dello scrittore siciliano, pur ammettendo che questi non fu mai iscritto al partito e attraversò anche momenti di forte critica. È quanto nel 2010 ebbe a dichiarare a La Repubblica:

“La vicenda di Sciascia e il PCI fu assai travagliata. Leonardo ebbe momenti di grande critica verso il partito, soprattutto ai tempi del governo Milazzo nel 1958, ma anche periodi di grande adesione. Comunque dal 1946 fino al 1979 votò sempre comunista pur criticando aspramente il partito". ("Vi racconto la verità su Sciascia e il PCI", La repubblica, 12 ottobre 2010)

Ma, a parte che il voto è per definizione segreto e pertanto poco si spiega una affermazione così perentoria, è davvero andata in questo modo?

Macaluso, che quando rilasciò questa intervista aveva già una età rispettabile, ricorda molto male. Perché, se è vero che Sciascia nel dopoguerra fu sempre un rigoroso antifascista, non solo non votò sempre PCI, ma almeno fino al 1951 fiancheggiò attivamente, pur senza prendere la tessera, la DC siciliana e nazionale, scrivendo decine di articoli per giornali locali e addirittura per il Popolo, l'organo centrale del partito. E sono gli anni in cui in Sicilia con l'aiuto della mafia la DC prende saldamente il controllo del potere. Gli anni, per capirci, dell'inizio della Guerra fredda, della cacciata delle sinistre dal governo , dalla sconfitta con l'aiutino di CIA e Vaticano del fronte Popolare nel 1948, dell'attentato nello stesso anno a Togliatti, della repressione durissima del movimento operaio e delle sinistre.

Sull'attività pubblicistica di Sciascia in quegli anni esistono vistosi spazi bianchi, in parte colmati oggi da una voluminosa ricerca di Riccardo Scarpa, apparsa su "Todomodo", prestigiosa rivista di studi sciasciani, organo della Associazione Amici di Leonardo Sciascia e dunque fonte al di sopra di ogni sospetto. Nello studio, “La prova democristiana di Leonardo Sciascia. Una ricerca in corso”, il Prof. Scarpa tratteggia nei dettagli questo percorso con affermazioni che già dalle prime pagine non lasciano adito a dubbi sulla estrema vicinanza dello scrittore alla Dc siciliana della fine degli anni Quaranta:

“Sciascia ha raccontato di sé molto e spesso: ma resta un autore dalla cronologia malcerta e con più di una zona bianca. Gli anni della sua formazione culturale e civile, diciamo tra il 1937 e la prima metà degli anni cinquanta,sono una stratificazione di preistorie: quasi sconosciuta alla paleontologia letteraria, composta di un numero di strati e sottostrati più elevato di quanto si creda. È probabile anzi che il numero effettivo sia maggiore di quanto risulti anche al carotaggio più scrupoloso. Per analizzarli occorrerà il lavoro di più studiosi, ma difficilmente si arriverà a portare in luce ogni cosa. Qui su «Todomodo» presento i materiali più notevoli di una ricerca avviata nel 2009. Mi limiterò ai primi sei-sette anni del dopoguerra, uno spaccato geologico che finora non aveva offerto granché”. (Domenico Scarpa, "La prova democristiana di Leonardo Sciascia. Una ricerca in corso", Todomodo, Rivista internazionale di studi sciasciani, anno IV, 2014).

poco più avanti parla di “un liberalismo in fieri, che nei primi anni del dopoguerra andò svolgendosi per prove ed errori, in un percorso di auto-formazione di cui sappiamo poco”. (ibidem)

Questa costante collaborazione con gli organi della DC, anche se, come si è detto, su posizioni rigorosamente democratiche, antifasciste e antimafiose coinvolse numerose testate. E' il caso di «Sicilia del Popolo», organo regionale della DC con redazione in Palermo, o della rivista “la Prova” nata con la benedizione di Don Sturzo, per terminare poi con “Il Popolo”.

Altro che voto costante al PCI, sulle simpatie politiche di Sciascia in quegli anni il prof. Scarpa non manifesta il minimo dubbio:

“Si può scommettere che Sciascia non abbia mai preso la tessera Dc come d’altronde non prese mai la tessera di nessun partito. Ma è altrettanto inoppugnabile che agì, all’incirca nel periodo 1948-51, come attivista democristiano”. (ibidem)

Collaborazione, durata fino al 1951, e culminata in alcuni articoli sul Popolo, l'organo centrale romano della Dc. La situazione cambierà verso la metà degli anni '50. Da quel momento Sciascia, comunque sempre allergico alle tessere, si collocherà stabilmente a sinistra, ma non farà nulla per impedire che, come per il periodo fascista,  anche la fase democristiana cada nell'oblio. Come si legge nello studio più volte citato del Prof. Scarpa:

“Le Cronache scolastiche erano uscite nel ’55 su «Nuovi Argomenti», rivista fondata da Moravia, e nello stesso anno cominciava la sua collaborazione con «L’Ora» di Palermo. Di lì a poco i suoi editori principali sarebbero stati Laterza e Einaudi. Altri interlocutori, altre tribune di sinistra avrebbero contribuito alla biografia intellettuale successiva”. (ibidem)

Biografia, fondata su una prudente e accorta opera di rimozione, a costruire un mito che solo oggi si inizia a sfatare per restituirci nelle sue inevitabili contraddizioni la storia autentica dell'uomo, ché la grandezza dello scrittore non è mai stata in discussione.

* Un grazie particolare a Paolo Casciola, studioso raffinato dell'opera e della vita di Sciascia, che in pigre conversazioni telefoniche da tempi di pandemia ci aprì le porte di un mondo che non conoscevamo.

(In copertina il libro che lo stesso Sciascia considerava più autobiografico, un compendio di tutti i temi che avrebbe poi trattato nella sua opera)