TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 6 aprile 2021

Victor Serge, testimone del suo tempo

 


È in via di pubblicazione per Massari Editore una nuova traduzione del capolavoro di Victor Serge È mezzanotte nel secolo, romanzo uscito nel pieno della controrivoluzione staliniana. Ne anticipiamo la bozza dell'introduzione. 

Giorgio Amico

Victor Serge, testimone del suo tempo


Militante anarchico, poi bolscevico, protagonista della rivoluzione russa e fra i primi critici della sua involuzione burocratica, vicino all'Opposizione trotskista e poi sostenitore del Poum e per questo scomunicato da un Trotsky insofferente ad ogni tipo di critica, Victor Serge è stato un testimone del tuo tempo. Un testimone scomodo, tormentato, l'esatto contrario del vero credente imbottito di dogmi e di false certezze. Di sicuro, nonostante la sua lunga militanza, non fu un grande politico, gli mancavano il cinismo e il gusto del potere. E neppure un teorico. Semmai un osservatore curioso e critico di ciò che accadeva attorno a lui. La sua fu, fin dagli inizi anarchici, una militanza vissuta con coerenza e determinazione, sorretta da una spinta etica che lo vide sempre, a partire dall'affaire Bonnot, schierato dalla parte dei perdenti, dei senza volto e dei senza storia. Di queste vite trascurate dalla storia Serge volle essere il testimone, perché la memoria delle loro speranze e del loro sacrificio non andasse perduta. Un impegno vissuto come un dovere morale, senza alcuna concessione al proprio ego, tanto da scrivere: «È importante lasciare una testimonianza su questi tempi; il testimone passa, però può succedere che la testimonianza rimanga».

Dunque è la testimonianza che conta e non il testimone. E questo spiega perché la sua opera sia priva di quegli elementi autobiografici che ritroviamo in Koestler o in Solženicyn. Serge non racconta di sé come protagonista e neppure partecipe dei grandi avvenimenti che fanno da sfondo alla sua narrativa. E questo non ha mancato di colpire molti di coloro che hanno scritto su di lui. Egli racconta il dramma vissuto da almeno due generazioni di rivoluzionari travolti dal fallimento del sogno di costruire un mondo di liberi e uguali. In lui non c'è alcun pentitismo e neppure disillusione. Serge non è Koestler e neppure Silone o Orwell. Fino all'ultimo egli rimane convinto della necessità del cambiamento rivoluzionario e della importanza fondamentale dell'Ottobre. È la barbarie stessa della guerra, che osserva dall'esilio messicano, a ricordarglielo. Il problema semmai è capire, non perché il Dio della rivoluzione è fallito, ma perchè gli uomini non siano stati in grado di sviluppare le potenzialità di liberazione che l'Ottobre portava dentro di sé. Osservatore attento degli uomini, Serge non aveva illusioni. La sua non è una visione sentimentale della rivoluzione. Egli sa che gli uomini, messi alla prova della storia, possono esprimere il meglio ma anche il peggio di sé. E dunque l'Ottobre aveva al suo interno anche un cuore di tenebra che avrebbe poi portato all'orrore staliniano. Il rapporto leninismo-stalinismo non è un processo meccanico di causa-effetto. Lo stalinismo per Serge è allo stesso tempo conseguenza di ciò che accade in Russia e nel partito dopo l'Ottobre, ma anche aperta rottura con quella storia. E lo sterminio dei vecchi bolscevichi nelle purghe degli anni Trenta sta a dimostrarlo. Il sogno libertario di una nuova Comune di dimensioni planetarie coabita con la creazione della Ceka e il terrore, la democrazia proletaria con l'autoritarismo di un partito bolscevico sempre più autoreferenziale. Per riprendere lo studio di Roberto Massari sull'Ottobre, rivoluzione e antirivoluzione sono processi complementari. La storia non ha sbocchi prefissati, né è assimilabile ad una corsia d'autostrada. Può avere brusche svolte e anche ritorni all'indietro. E la storia di una rivoluzione non fa eccezione. Passati i primi entusiasmi, Serge già dalla tragedia di Kronstadt è consapevole delle enormi potenzialità, ma anche delle terribili insidie della realtà sovietica, ma soprattutto del suo carattere profondamente contraddittorio. Serge vede gli sviluppi della rivoluzione come conseguenza dell'azione di masse mosse dalla situazione concreta, ma anche come la risultante di scelte individuali. È questa combinazione a renderne complessa l'interpretazione. Da qui l'attenzione all'analisi psicologica delle masse e degli individui e la scelta della letteratura come terreno privilegiato d'impegno. La scrittura viene concepita non come mera narrazione e neanche come una compensazione di un agire politico diventato ormai impossibile nell'URSS staliniana. Scrivere per Serge significa comprendere ciò che sta accadendo e i mutamenti che la nuova realtà produce nelle masse e negli individui, perché solo capire può mantenere viva la speranza e saldi i legami fra chi non vuole cedere al totalitarismo. «Concepisco la letteratura – scrive - come un mezzo di espressione e di comunione tra gli esseri umani: un mezzo particolarmente potente agli occhi di coloro i quali vogliono trasformare la società. Dire ciò che si è, ciò che si vuole, ciò che si vive, ciò per cui si soffre e si lotta, ciò che si conquista. Bisogna dunque far parte di chi lotta, soffre, cade, conquista. »

Serge crede nell'umanità, ma non ha illusioni sugli uomini. Sa che un rivoluzionario sincero e carico di ideali può diventare uno spietato assassino. I suoi personaggi portano appieno nelle loro storie individuali questa ambiguità di fondo. Nei suoi romanzi non ci sono santi e demoni, ma solo uomini travolti da eventi più grandi di loro, spinti avanti nonostante tutto dal vento tempestoso che impedisce all'angelo di Benjamin di fermarsi a piangere sulle macerie della storia.

Scrivere significa testimoniare di questa ambiguità profonda insita nella vita stessa di ogni uomo, descrivere le potenzialità e le contraddizioni di una Storia che altro non è che la sintesi di una pluralità di destini. Un concetto che Serge ha ben chiaro, tanto da scrivere:

«Ricordare, fissare, comprendere, interpretare, ricreare la vita. Non possediamo che una vita, ma questa contiene molti destini possibili. Non è unica nel senso che si confonde con innumerevoli radici, affinità e contaminazioni (la maggior parte delle quali non si possono esprimere razionalmente) con altri uomini, la terra, gli esseri, il Tutto. Scrivere diventa allora la ricerca di una polipersonalità, una maniera di vivere molti destini, di penetrare l’altro, di comunicare con lui.»

L'intera sua opera testimonia di questo tentativo di esplorare l'animo umano, i fili invisibili che legano gli uomini fra loro e che diventano poi la trama vera di quello che chiamiamo Storia, un intreccio inestricabile, una volta si sarebbe detto dialettico, fra individuo e collettività.

La sua è una scrittura solo all'apparenza semplice, e forse proprio per questo poco considerata dai critici letterari. In realtà Serge, per quanto autodidatta, è un grande scrittore e un autore colto. Nelle sue pagine, non c'è nulla di improvvisato, oltre all’influenza della grande scuola del romanzo russo dell'Ottocento, troviamo echi di Joyce, Dos Passos, Proust e fra i russi Boris Pil'njak con cui era stato in grande intimità nella seconda metà degli anni Venti. Così come negli anni dell'esilio manterrà stretti contatti con i surrealisti Breton e Peret e poi in Messico con Octavio Paz. Spesso, si considera solo l'attivista politico e si dimentica che Serge aveva vissuto a Vienna dove aveva avuto stretti contatti con Lukacs e Gramsci, e che, pressoché unico fra i marxisti ortodossi, si era interessato di psicoanalisi approfondendo lo studio di Freud, Adler, Ferenzi. Studi a cui attingerà per descrivere i cambiamenti profondi che vivere in un regime totalitario provoca nei comportamenti individuali e collettivi.

Serge fu un uomo del dubbio e dunque una presenza scomoda prima nell'ambito del Partito russo e poi nelle fila dell'Opposizione. La sua costante volontà di comprendere, il non accettare le versioni correnti, lo esposero a critiche dure e ingiuste anche da parte di Trotsky che lo accusò di essere un intellettuale piccolo borghese prigioniero dei suoi scrupoli. Bolscevico per gli anarchici, anarchico per i bolscevichi, Serge era in realtà un comunista libertario, fautore di un marxismo umanistico che, al pari del giovane Marx, poneva l'uomo al centro di ogni cosa. Centrale per lui restava il fattore umano, e questo sia nel bene che nel male. Esattamente il contrario del rigido determinismo economicistico usato sia da Stalin per giustificare le sue giravolte, che da una opposizione incapace di riflettere sul proprio fallimento e di ripensare il suo stesso modo di stare nel mondo. La sua richiesta alla Quarta Internazionale di essere più tollerante e aperta al dialogo con le altre componenti del campo rivoluzionario viene bollata da Trotsky come un tentativo di dare libertà di parola a confusionari, settari e centristi di ogni sorta. Una visione, autoritaria e centralistica, che spiega l'infinita serie di scissioni che fin dalla sua formazione hanno caratterizzato quella storia.

La sua vita dalla fine degli anni Venti fu, un «viaggio nella disfatta», come scrive, nel Caso Tulaev, il suo romanzo migliore in cui mostra di aver raggiunto una completa maturità espressiva. Una disfatta narrata in È mezzanotte nel secolo attraverso le storie di un piccolo gruppo di rivoluzionari che assistono al progressivo consolidarsi di un nuovo e feroce regime di oppressione che non è però il frutto di una controrivoluzione venuta da fuori, ma è progressivamente lievitato nelle viscere stesse del partito e del regime a partire da elementi già comunque presenti e avvertibili fin dall'inizio. Una disfatta che ha le sue radici anche nelle storie personali e nelle scelte politiche di chi ora è diventato vittima. E proprio in questo sta la tragedia degli uomini e delle donne dell'Opposizione. Assetato di verità, Serge vuol capire come ciò sia stato possibile. Come l'alba radiosa della liberazione si sia trasformata nell'ora più buia del secolo. Non gli basta prendere Stalin a unico responsabile, tanto meno una presunta burocrazia vista come una casta di fatto esterna alla politica. È il partito stesso a essersi progressivamente corrotto proprio a causa di quella politica del terrore indiscriminato, giustificato in nome degli ideali della rivoluzione, diventato poi mera gestione del potere, prassi quotidiana, fino a travolgere gli stessi quadri del partito che lo avevano teorizzato e praticato. Non ci sono innocenti nella Russia di Stalin.

Lo sguardo di Serge sul mondo è quello di un sopravvissuto, di un uomo tornato dal regno dei morti. Uno sconfitto, ma non un vinto: mai egli rinuncerà ad affermare la necessità, prima di tutto morale, di battersi contro un mondo feroce, il nazismo trionfante in Germania, il totalitarismo staliniano nella Russia che doveva essere l'inizio di un nuovo mondo. Per Serge la rivoluzione non ha perso legittimità, il socialismo resta, come per Rosa Luxemburg, l'unica alternativa alle barbarie. Ma, come Rosa Luxemburg, Victor Serge pensa a un socialismo a misura d'uomo, profondamente libertario. Di qui il suo rifiuto netto di continuare a giustificare in nome del fine l'uso di mezzi ignobili, ancora teorizzato da Trotsky in quel testo totalmente inaccettabile che è La nostra morale e la loro. Se si acconsente all'idea che tutto ciò che serve alla rivoluzione è morale e che a decidere cosa serva nelle varie fasi siano solo i vertici del partito, escludendo i lavoratori dalla gestione diretta del Paese, allora davvero lo stalinismo è figlio legittimo dell'Ottobre e del bolscevismo. In questa incomprensione sta proprio il grande errore di Trotsky, ma anche in Italia di Bordiga, che del leninismo colsero e valorizzarono soprattutto l'aspetto centralistico e autoritario.

E allora che fare? Davanti alla reazione crescente egli sceglie la via della letteratura intesa come un dovere di testimonianza. Quando tutto pare perduto, l'attività intellettuale resta la sola possibile. Lo scrive nel gennaio 1942 nei suoi Carnets. Solo così, lavorando sulla memoria, si può andare oltre alla disfatta, continuare la lotta, recuperarne l'originale spinta libertaria. Con lo scopo dichiarato di riuscire a trasmetterne il senso autentico alle generazioni che verranno e impedire che il filo rosso dell'utopia sia definitivamente spezzato, travolto dalle menzogne di un regime che ad ogni tornante politico riscrive la storia, cancellandone chi, come Trotsky, si è trasformato in una presenza scomoda. In una parola, mantenere vive la memoria e la speranza. Per questo egli non sarà mai un pentito, né un transfuga in cerca di nuove certezze atte a sostituire quelle così tragicamente fallite. Per lui la rivoluzione resta un processo aperto, anche se al momento ha subito una dura battuta d'arresto, che però non cancella la validità dell'esperienza dell'Ottobre. « Noi non siamo dei vinti che nell'immediato » scrive nelle sue Memorie. Nonostante l'avvento dei totalitarismi gemelli dello stalinismo e del nazismo, i personaggi di Serge restano, nell'esilio o nei Campi siberiani, ancora in piedi anche se circondati da macerie.

Per Serge prioritaria è la lotta al totalitarismo, mostrarne il carattere disumanizzante, combatterne le menzogne. Una scelta che ne fa un mistico laico, perché come per i mistici deriva da una illuminazione avvenuta in un momento di profonda crisi fisica e spirituale. Il racconto che Serge fa della sua decisione di dedicarsi totalmente alla scrittura è la descrizione di una conversione. Nel 1928 gravemente ammalato, sapendosi in serio pericolo di vita, in uno stato di semidelirio tira un bilancio della propria storia personale: « Pensai che avevo enormemente lavorato, lottato, imparato senza produrre niente di valido e di duraturo. Se per caso dovessi sopravvivere – mi dissi – bisogna che io finisca presto i libri che ho iniziato, scrivere, scrivere... »

Da allora scrivere diventa per lui una missione. Un impegno a cui dedica tutto se stesso, fermamente convinto che, proprio perché tornato da una discesa agli Inferi, il suo dovere è parlare per chi è rimasto là in quel mondo di ombre prive di voce. È per loro che Serge scrive i suoi romanzi. Oltre ad articoli, saggi, traduzioni e perfino un libro di poesie, egli scrive nove romanzi, divisi in due cicli : quello dell'ascesa e del trionfo della rivoluzione e quello della resistenza al totalitarismo. In questo secondo ciclo si colloca È mezzanotte nel secolo, dedicato alla memoria di Kurt Landau, Andrés Nin, Erwin Wolf, tutti assassinati a Barcellona dagli stalinisti. Il romanzo è la storia di un piccolo gruppo di rivoluzionari confinati in Siberia per la loro opposizione al regime. Serge era stato arrestato e deportato a Orenburg, sul fiume Ural, ma il libro non vuole essere una testimonianza autobiografica e neppure un romanzo a tesi. Il romanzo tratta dell'ora più buia del secolo, segnata dal trionfo apparente dei totalitarismi gemelli staliniano e nazista. Siamo in piena controrivoluzione, ma paradossalmente esiste ancora spazio per la speranza, nell'esilio, ma anche nel profondo dell'arcipelago Gulag. Non è per caso che, dopo il capitolo iniziale, la parte del libro ambientata nel confino di Cërnoe si apra con una straordinaria descrizione dell'arrivo della primavera:

« I ghiacci della Cërnaja si aprirono tardi, a metà maggio. In questo periodo la neve si è dileguata, tranne in qualche avvallamento mal esposto ; le acque scintillanti stagnano in pianura. E si vedono gli uccelli svolazzare a stormi. La terra, svanito il suo candore, è conquistata dalle acque, le ali, il cielo. Da dove vengono tutti questi uccelli ? Alcuni, volando, formano dei triangoli. Altri formano dei nugoli che descrivono curve, volteggiano e si sfilacciano come nebulose. Una gioia serena si diffonde tra la terra e il cielo. »

È mezzanotte nel secolo, ma le tenebre non sono destinate a durare, almeno fino a che ci saranno sulla terra uomini ancora capaci di immaginare un mondo diverso, risoluti a non cedere al terrore e all'oscuramento delle menti. Victor Serge crede profondamente in questo futuro positivo, nonostante la solitudine e la povertà dell'esilio. L'Ottobre ha dimostrato che il mondo può essere cambiato, che l'utopia può diventare realtà. A patto però di mantenere salda la fiducia nell'uomo. Si è persa una battaglia, ma la guerra continua. Una lotta in nome dell'uomo, democratica e libertaria, dove non è ammessa alcuna contraddizione fra i fini dichiarati e i mezzi utilizzati per raggiungerli. Proprio in questa profonda visione umanistica, che ci ricorda Erasmo da Rotterdam e il suo tentativo di mantenere viva la ragione nel tempo folle delle guerre di religione, consiste la grandezza dell'uomo e dello scrittore. È questo a renderlo una delle poche autentiche voci libere di un secolo attraversato dal 1917 da un'unica ininterrotta guerra civile, dove la libertà è considerata un lusso che per primi i rivoluzionari non possono permettersi. Un mondo dove, come egli stesso amaramente annota, nessuno dei due due schieramenti cerca ormai di convincere, ma solo di uccidere.

Victor Serge muore all'improvviso di infarto il 17 novembre 1947 in una strada di Città del Messico, vestito poveramente e senza documenti. Il suo corpo viene portato nella camera mortuaria di un ospedale, dove lo trova Julián Gorkin, dirigente del POUM in esilio:

«Lo trovammo a mezzanotte passata, steso in una stanza spoglia dalle pareti grigie. Aveva le scarpe bucate con la suola completamente logora e una camicia da operaio. Un nastro di tela gli chiudeva la bocca, quella bocca che nessun tiranno era riuscito a far tacere. Sembrava un vagabondo raccolto per pietà. E non era forse stato l’eterno vagabondo della vita e di un ideale? Il suo volto esprimeva un’amara ironia, un sentimento di protesta, l’ultima protesta di Victor Serge, l’uomo che per tutta la vita aveva protestato contro le ingiustizie umane.»