TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 31 dicembre 2023

Il grido di Pan

 


Fine anno è da sempre tempo di bilanci. Vale per tutto anche per la lettura. Il libro che proponiamo è uno dei più belli che abbiamo letto in questo 2023 che sta terminando. Una riflessione profonda sulla vita, sulla morte, sulla natura e sull'uomo. Il tutto rifacendosi al linguaggio del mito e al pensiero greco classico. Ne presentiamo l'incipit.


La meraviglia


Al principio è la meraviglia. Tutto suscita meraviglia e stupore. Un’emozione confusa in cui la paura diventa inquietudine. L’emozione di chi non sa dare spiegazione di ciò che ascolta, vede o pensa, e dunque quasi prova un senso di vertigine che lo spinge a mettersi in cerca.

A raccontarlo in maniera perfetta fu Platone in un dialogo molto bello e molto complesso che scrisse verso i sessant’anni e prese il nome dal principale interlocutore di Socrate, un matematico che Platone aveva molto amato: Teeteto. Questo ragazzo che ebbe una vita sfortunata e morí giovane, nella rappresentazione letteraria platonica, a un tratto, seguendo i ragionamenti paradossali di Socrate, dice: «Per gli dèi, Socrate, provo una meraviglia sconvolgente chiedendomi come mai stiano queste cose. A tratti, anzi, a dire il vero, guardandole e riguardandole ho le vertigini».

Al che Socrate gli risponde: «Amico mio, sembra che Teodoro non abbia avanzato congetture scorrette sulla tua natura. E infatti è tipico del filosofo questo stato d’animo: la meraviglia. Non esiste altra origine della filosofia se non questa».

È un passo famosissimo. Aristotele, al principio della Metafisica, riprende l’idea del maestro e spiega che gli uomini hanno cominciato a filosofare proprio perché si meravigliavano delle stranezze che avevano davanti agli occhi, passando poi a indagare fenomeni piú importanti, come «le affezioni della luna, del sole e degli astri, e la genesi del tutto».

Le cose stanno proprio così. Anche se a leggere i due grandi filosofi, e soprattutto Aristotele, si ha l’impressione che ciò di cui gli esseri umani si meravigliarono (e in effetti, continuano sempre a meravigliarsi) sia solo ciò che è fuori di essi, «davanti ai loro occhi», mentre sappiamo benissimo che il primo oggetto di meraviglia di fronte a cui tutti ci troviamo fin dalla nascita siamo proprio noi stessi. Conoscere le cose con cui ci confrontiamo, conoscere il nostro posto nel mondo, dunque conoscere il mondo che abitiamo, ovvero la natura in cui siamo apparsi, noi stessi germogli della natura. Ecco il compito di quella lotta per la sapienza che caratterizza gli esseri umani da sempre e per sempre. Un compito cui solo la meraviglia può spingerci.


Matteo Nucci
Il grido di Pan
Einaudi 2023