TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 8 gennaio 2024

1974. Il referendum sul divorzio e la Massoneria

 


Proponiamo un'altra pagina dalle bozze della ricerca in corso sulla storia della Massoneria nell'Italia repubblicana.

Il referendum sul divorzio e la Massoneria


Il 1974 fu l'anno del referendum sul divorzio, previsto per il 12 e 13 maggio. Un referendum fortemente voluto dal Vaticano che non aveva mai accettato la legge del 1970.

Pur di evitare quella scadenza , che metteva a rischio i rapporti intessuti con la DC e le gerarchie ecclesiastiche, il PCI cercò in ogni modo di trovare una soluzione parlamentare, proponendo una revisione al ribasso della legge, già molto moderata. Tentativi vanificati dai partiti antidivorzisti (DC, MSI e SVP), che erano in maggioranza alla Camera.

Il segretario della DC Fanfani pensò che il referendum potesse rilanciare una maggioranza moderata e spostare a destra l'asse politico e trasformò il referendum in una aspra battaglia politica, pro o contro la DC, contando su una mobilitazione totale della Chiesa e delle organizzazioni cattoliche che invece non ci fu. Si dichiararono infatti per il "No" le ACLI, il cosiddetto movimento dei cattolici democratici, oltre che l'area del dissenso il cui esponente più noto, l'abate dom Franzoni, fu sospeso a divinis.

Inoltre, secondo Fanfani, caricare di significati politici quello che sarebbe dovuto rimanere una semplice consultazione referendaria sul tema dei diritti civili, avrebbe portato una parte significativa dell'area laica moderata (PSDI-PRI-PLI) a pronunciarsi per l'abolizione della legge in nome del pregiudizio anticomunista.

Fu un fallimento totale. I "No" furono il 59,26%. I partiti antidivorzisti persero complessivamente, rispetto alle lezioni politiche precedenti, oltre l'8% dei voti. La credibilità politica di Fanfani ne uscì irrimediabilmente compromessa. E, nonostante le sue incertezze iniziali e una campagna elettorale sostanzialmente sottotono, il PCI ne uscì come il vero vincitore.

Da sempre il Grande Oriente era stato, in nome della totale laicità dello Stato, il principale fautore dell'introduzione anche in Italia del divorzio. Fin dal 1966 la « Rivista Massonica » aveva dato ampio spazio alla questione, auspicando l'introduzione, nella legislazione italiana, di una normativa che fosse al passo con quella degli altri paesi dell'Occidente. Ci si sarebbe dovuto dunque aspettare una decisa  discesa in campo della Massoneria a sostegno del campo divorzista ed invece il Grande Oriente d'Italia decise di tenere una posizione sottotono, di fatto, come il PCI, auspicando una soluzione di compromesso che non portasse ad uno scontro aperto con la Chiesa. A questo scopo ogni mezzo fu attivato, compresa la mobilitazione dei suoi membri presenti in parlamento soprattutto nei partiti laici moderati. Poi una volta chiaro che il referendum si sarebbe comunque tenuto, la scelta fu quella di mantenersi defilati, al di fuori della competizione, nonostante la storia stessa dell'Istituzione facesse pensare ad un suo attivo coinvolgimento. Posizione chiaramente enunciata alla vigilia della votazione referendaria con un discorso del Gran Maestro in carica:

«Noi – affermò Salvini il giorno antecedente il referendum in occasione dell'inaugurazione di due nuove logge in Umbria - abbiamo sentito il dovere di cercare di tutelare la pace nel nostro Paese non facendo politica, non prendendo e non imponendo soluzioni di parte, rifuggendo dalla politica in senso stretto.

Poiché molti nostri Fratelli svolgono direttamente questa attività, spesso con funzioni di responsabilità prevalente [sottolineatura nostra], ho potuto avvalermi del loro aiuto per avvicinare gli uomini cui è affidata la guida del nostro Paese, nel tentativo di ricercare le vie per evitare questo referendum. Dubbioso non del risultato per sé medesimo quanto del pericolo per quella pace religiosa che noi desideriamo, nella prospettiva che gli uomini possano essere uguali, liberi e fratelli a qualunque religione o fede appartengano. Eravamo incoraggiati nella speranza della constatazione che nelle dichiarazioni conciliari sempre più rara era apparsa la logica del potere temporale.

Ma il referendum è stato voluto. E di fronte a noi si è parato il problema della scelta della via da seguire: da un lato quella tradizionale per il nostro Paese, caratterizzata da manifesti, da prese di posizione sul giornale, da affermazioni pubbliche, dall'altro la via che è più consona alla nostra essenza e che si estrinseca nell'alimento morale di coloro che sono preposti a certe battaglie. E ci siamo detti che prima di tutto noi rappresentiamo un'élite e non una massa capace ad influenzare il risultato con la quantità dei voti; abbiamo considerato che se è già difficile per il massone comprendere il significato della Massoneria, è ancora più arduo per i profani comprendere il senso della firma della Massoneria italiana su di un manifesto.

E quanti sono nel nostro Paese coloro che non sanno assolutamente nulla della libera Muratoria e quelli che ne hanno una visione distorta dalla propaganda degli avversari? Sicché i nostri eventuali interventi avrebbero potuto avere risultati contrari all'intenzione. Nella nostra azione di Magistero abbiamo raccomandato ai Fratelli, che operano e vivono nel mondo politico, di tenere un atteggiamento consono alla preparazione avuta nel Tempio, di essere conseguenti ma tolleranti, di non assumere posizioni che potessero in qualche modo turbare l'animo del popolo italiano, affinché questo potesse esprimere il proprio convincimento in piena serenità. Essi non dovevano lasciarsi provocare da coloro che volevano trasportare il referendum sul piano politico al fine di distrarre l'elettore dalla logica di una scelta etica sul piano della libertà. Domani l'altro sapremo l'esito. Io credo però che la Massoneria italiana sorte da questo episodio a testa alta, con la dignità di essere stata al di sopra del dibattito, convinta di aver fatto tutto ciò che è possibile per facilitare lo sviluppo dell'Umanità, convinta di aver fatto tutto ciò che è possibile affinché gli uomini non si dividano fra di loro per motivi di religione». (Rivista Massonica n.5 maggio 1974)

Una scelta che lasciò interdetti molti fratelli, convinti che la via sarebbe stata quella che lo stesso Salvini ammetteva essere coerente con la tradizione del GOI. Una scelta che, ancora oggi lascia sconcertati, visto il carattere risibile degli argomenti avanzati dal Gran Maestro, sia l'inesistente peso elettorale, come se l'influenza "politica" della Massoneria fosse misurabile in termini di voti, sia il non voler fornire argomenti alla propaganda antidivorzista. Ma quali argomenti avrebbe potuto fornire una netta discesa in campo se non quelli che l'ala più retriva del fronte del SI, ed in particolare i cattolici integralisti e i neofascisti del MSI, utilizzavano già a piene mani rispolverando i vecchi temi del complotto massonico e dell'odio anticristiano?

Più realisticamente viene da pensare che altre e ben più prosaiche fossero le motivazioni di questa decisione inaspettata. Prima di tutto evitare, a due anni dal riconoscimento da parte della Gran Loggia Unita d'Inghilterra, di riproporre l'immagine di una Massoneria italiana anticlericale ed eccessivamente impegnata in campo politico. Immagine che aveva impedito per oltre un secolo il riconoscimento inglese. E poi che non si volesse turbare il lavoro della commissione mista sui rapporti con la Chiesa cattolica, voluta da Gamberini e confermata da Salvini, in un momento in cui si pensava di essere finalmente alle soglie di una soluzione definitiva della questione e ad una svolta radicale del Vaticano. Augusto Comba, allora ancora influente membro del vertice del GOI, afferma esplicitamente come « i componenti del gruppo di lavoro ebbero l'impressione che la soppressione dell'antica scomunica comminata ai fedeli ascritti alla Libera Muratoria fosse imminente» (Augusto Comba, I volti della Massoneria del secondo dopoguerra, in: Zeffiro Ciuffoletti-Sergio Moravia (a cura di), La Massoneria, Oscar Mondadori, Milano 2004, p. 284) Sensazione rafforzata dalla pubblicazione sul numero di novembre 1974 di «Civiltà Cattolica» della lettera inviata il 16 luglio dal cardinale Seper, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, al cardinal Krol, presidente della Conferenza episcopale nordamericana in cui si diceva che il canone 2335 del Codice di diritto canonico, quello riguardante la scomunica, toccava «soltanto quei cattolici iscritti ad associazioni che veramente cospirano contro la Chiesa». Una sensazione che, come vedremo meglio più avanti, si sarebbe rivelata del tutto illusoria.

Anche Gelli, ma siamo nel campo grigio delle ipotesi, probabilmente influì su questa decisione, nella prospettiva propria dei circoli atlantici che prioritario fosse far argine all'avanzata del PCI. La campagna referendaria si accompagnò infatti ad un avvertibile tintinnar di sciabole. L'anno 1974 fu l'ultimo anno della cosiddetta strategia della tensione iniziata con la strage di Piazza Fontana del dicembre 1969 e culminata a Brescia nell'altrettanto sanguinosa strage di Piazza della Loggia, a due settimane dall'esito del referendum, quando, come sottolinea Aldo Giannuli in un suo recentissimo lavoro su Giulio Andreotti, «la spinta ad associare il PCI alla maggioranza [di governo. Aggiunta nostra] diventava irresistibile». (Aldo Giannuli, Andreotti. Il grande regista, Ponte alle Grazie, Milano 2023, p.289). Ma anche di questo tratteremo meglio più avanti.