TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 1 gennaio 2011

"Bisognerebbe avere un vocabolario nuovo..." Francesco Biamonti e il mistero del mare


Francesco Biamonti e il mare, un binomio inscindibile. Quella che segue è la nostra trascrizione di una riflessione sul mare, contenuta in un video, realizzato nel 1996 dalla classe Terza C dell'Istituto Statale d'Arte di Imperia, in cui lo scrittore dialoga con se stesso, ascoltando gli echi che la grande letteratura ha suscitato nel suo cuore. Pochi minuti, ma di altissima intensità espressiva e di grande poesia.


Francesco Biamonti

Bisognerebbe avere un vocabolario nuovo....



A voi che siete in picciolette barche desiderosi d’ascoltare seguiti
dietro al mio regno che cantando varco tornate a riveder li vostri liti
non vi mettete in pelago che forse perdendo me rimarreste smarriti

Per me il mare è questo contraltare luminoso alla terra, questa poetica della lontananza e della luce. Però non so... non sta a me dire che cos’è il mio mare. E' un mare di diamanti estremi, dell’ora che passa coi suoi diamanti estremi, estremo limite dell’umano, dove l’umano si perde e naufraga. Per un ligure credo sia sempre stato un elemento del paesaggio. E’ il varco, ma è anche il deserto. Certamente il più vicino a noi è Mario Novaro, specialmente nei momenti di grande dolore, il mare di dolore, dolcezza e delirio. Quando muore il padre e ascolta il mare "a pié della collina". Il mare come grande consolazione.

E Sbarbaro, come soprassalto del cuore "la trama delle lucciole ricordi sul mare di Nervi, mia dolcezza prima, trasognato paese dove fui e che più non riconosce il cuore”. Queste levate di sole sul mare sono tipiche di Sbarbaro. Poi c’è il mare di Montale, che tutti conoscono, il cui delirio sale agli astri, a cui vorrebbe strappare la pagina rombante. C’è il mare di Valery, del cimitero marino. Il mare che è la vita rispetto alle tombe, l’infinito rispetto al finito della terra. Mare “puro lavoro di fini lampi consuma nuovi diamanti di impercettibile schiuma e che pace sembra concepirsi quando un sole sull’abisso si riposa, opera pura dell’eterna causa, il tempo è scintilla, il sogno è sapere”. E’ questo mare di mezzogiorno la cui luce tutto divora e porta al trasognamento.
Poi c’è il mare naturalmente... affascinantissimo degli scrittori della Bretagna, Tristan Corbière, ma lì è l’oceano. E’ l’oceano che è quasi una sfida. Sono tutti mozzi o figli di marinai che hanno perso il padre in mare, le cui donne stanno sempre a vegliare in attesa dei ritorni, per paura dei naufragi. E’ tutta un’altra mitologia del mare, è una mitologia di paura, di sfida del pericolo, di messa a prova dell’animo umano davanti alla sventura. E' tutta un'altra cosa. Non ha questa lievitazione metafisica e sognante.

Poi c'è il mare, mi dimenticavo, di Saint -John Perse, un poeta che ha abitato sulla penisola di Giens di fronte a Hyères, però è di origine della Guadalupa accanto all'Oceano. Per lui il mare è un grande tetrarca che leva la testa alle colline di calce, all’oriente degli uomini, come una pasqua d’erba verde. Ha profumo di fosforo e di viscere femminili. Il mare è madre, perché in certi scrittori il mare è madre, in certi altri il mare è padre. In Lautremont l’oceano è padre, in Michelet il mare è madre. D’altra parte mare, madre e morte in sanscrito pare siano la stessa parola. Per Montale è padre perché dice: “Provo sempre la rancura che ogni figliolo mare ha per il padre”. Davanti al mare ha una specie di rancore, scatta in lui il conflitto delle generazioni. Per Montale è padre.

Noi in dialetto diciamo la marina , quindi per noi è quasi madre. Ma d'altra parte anche Dante: “E vidi il tremolar della marina”. Comunque Montale è fondamentale per il mare, cerca di trarre dal mare la lezione delle parole, recarpirne il suono, i rimorsi, l’opera di purificazione che fa il mare quando getta sulla riva le alghe e le asterie del suo abisso. Adesso però il mare non ce la fa più a purificarsi.

"L'acqua che io prendo giammai non si corse, Minerva spira e conducemi Apollo e nove Muse mi dimostran l'Orse". Quindi la barca come flottiglia dell’ingegno e il mare come il mondo sconosciuto, e invita coloro che non hanno un naviglio intellettuale sufficiente a tornare a riva prima di perdersi. E questo ha creato una metafora che poi si è sempre conservata nella letteratura: la memoria come flottiglia, l’ingegno come navigazione. E’ la tradizione dell'Odissea, è Ulisse, l’ingegno umano col suo capitale di memoria. Però io sostengo, nel mio romanzo, che per navigare occorre un pò alleggerire la memoria Se no il naviglio non fluttua, si affonda sotto il cumulo dei ricordi e delle rovine. Quindi il mare come purificazione dei cuori. "O Venice, purifiez nos coeurs!" L'invocazione di Ezra Pound.

Ecco, bisognerebbe adoperare una grande dolcezza, rendere la frase liquida come le onde del mare, cosa che ha tentato di fare Hermann Broch nella Morte di Virgilio, un libro stupefacente, in cui la frase muore e poi rinasce riagganciandosi alla frase precedente, come se fosse l’onda della frase che spinge la successiva e in questo modo descrive l’agonia di Virgilio sulla spiaggia dopo il viaggio in Grecia. L’agonia con una dolcezza marina infinita e tutta la sua vita gli ripassa davanti, i problemi dell’eros, l’amore, la gloria, la morte, il potere, i rapporti dell’arte col potere, vorrebbe distruggere l’Eneide, per affidarsi a questa infinita dolcezza delle onde che lo cullano nell’agonia. Ci sono dei rimandi luminosi che sollecitano l’immaginazione e l’immaginazione è quella che riscatta in fondo la condizione umana, il trasferimento del sogno nello spettacolo stesso della realtà .

D’altra parte la mobilità delle onde ha l’andamento del sogno. Infatti, se tu dormi con la finestra aperta sul mare, ti senti cullare come se fosse un sogno sotterraneo che ti porta.

E’ difficile parlare del mare, è difficile inventare metafore nuove sul mare. Ho cercato adesso di inventarle trasferendone i riflessi nel cielo, un mare che compone a poco a poco un’immagine del morire, ma che ha dei varchi diafani che fanno intravedere anche un certo aldilà. Parlare del mare è quasi impossibile, bisognerebbe avere un vocabolario nuovo, parlandone lo si tradisce, è da ascoltare in silenzio.


(http://www.youtube.com/watch?v=WubDzON1Vx4)