TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 13 gennaio 2011

Primum vivere




Confessiamo che il testo, che presentiamo oggi, ci ha suscitato non poche perplessità, più sulla forma che sul contenuto che comunque condividiamo solo parzialmente. Pensiamo che alcuni passaggi, chiari per chi già si colloca all'interno del quadro teorico a cui il testo fa riferimento, andrebbero maggiormente sviluppati se ci si rivolge a un pubblico più vasto e indifferenziato come quello di Vento largo. Abbiamo comunque deciso di pubblicarlo sperando che questa intelligente "provocazione" susciti altri interventi. A tal fine pubblicheremo nei prossimi giorni il testo del gruppo di lavoro della Libreria delle donne di Milano a cui l'intervento di Betti fa riferimento.


Betti Briano

Primum vivere



L’attuale contesa sul lavoro ed il discorso pubblico che è cresciuto intorno alla ‘questione Fiat’ mi appare persino più straniante – e temo che in questo caso non sia un bene- delle vicende degli anni ’70, per non parlare degli anni ’80, che, a fronte della presa di coscienza femminista, hanno portato me, come molte altre donne, a ritrarre lo sguardo dalla politica ‘maschile’.
La prima semplicissima domanda che mi viene è: dove stanno le donne in quel contesto e cosa pensano a partire dalla loro condizione? In questi 40 anni esse sono entrate in massa anche nelle fabbriche e ciononostante, a parte i casi in cui costituiscono la totalità della forza lavoro, la loro esperienza stenta a prendere vita in parole e racconti originali. Penso, d’altronde, che non sia per nulla scontato che il loro sentire risulti contenuto ed espresso dalle parole e dagli atti di chi ne detiene la rappresentanza.
Oltre alla generale crisi di tutti i legami di rappresentanza, non si può in questo caso non registrare un ulteriore elemento degenerativo delle dinamiche sociali, una sorta di regressione maschilista, quasi un colpo di coda o un disperato tentativo di restaurazione di perdute certezze patriarcali. La polarizzazione e la violenza del conflitto, mettendo fuori gioco qualunque espressione di intelligenza mediatrice e capacità relazionale e unitiva, comporta l’inevitabile cancellazione della soggettività femminile e l’esaltazione del tradizionale processo di ‘reductio ad unum’ ad opera del discorso maschile.
L’oggetto del contendere e le armi in uso non risultano meno escludenti. Tanto accanimento non si sviluppa intorno alle sorti del pianeta o a progetti di buona vita e di felicità collettiva, ove di solito le donne si trovano ad essere protagoniste e spesso trainanti, ma a causa del Mercato con i suoi classici componenti e derivati ( Pil, produttività, redditività, sviluppo, crescita, ecc..), come se da questi dipendesse necessariamente l’esistenza e il benessere dei viventi sulla terra. Gli argomenti a confronto risultano comunque interni e subalterni a quella ‘cultura del mercato’, tanto quelli di chi scende in campo sotto il segno della rivincita del capitale, quanto quelli di chi si schiera pur in vario modo a favore del lavoro, entrambi brandendo categorie, griglie concettuali e principi che trovano corrispondenza nella nostalgia e nel rimpianto più che alla realtà.
In questa esaltazione edipica, ciò che proprio non entra in scena è intanto il pensiero autentico di chi è coinvolto/a in prima persona, e tra quelli che dibattono almeno un embrione di coscienza critica rispetto alla ‘divinizzazione del mercato’, sia che esso rappresenti un dio/padre amato oppure odiato, e al suo divenire misura delle relazioni sociali e umane.
Tanta prova di ottusità del reale spiazza a fronte dell’evidenza che le donne stanno invece dimostrando con pratiche politiche e soprattutto con le proprie strategie esistenziali che altre sono le misure della civiltà: la qualità della vita dei singoli e della collettività, l’armomia con l’ambiente, l’amore per il passato e la preoccupazione del futuro dei viventi e della natura, la cura dei più deboli, ecc.. Esse contrattando ogni giorno, anche nelle situazioni più orribili e discriminanti, le condizioni dell’esistenza propria, dei figli e delle famiglie, indicano i principi di una differente economia al cui centro non stia la produzione per il profitto ma la produzione e lo scambio per la vita e per tutto ciò che la promuove e la rende felice.

La massima ‘Primum Vivere’ che compare nel titolo racchiude il senso della ‘rivoluzione’ avviata dalla politica delle donne: mettere al centro della scena la vita di uomini e donne in carne ed ossa, proprio in quanto l’essere viventi costituisce imprescindibilmente la prima determinazione dello stare al mondo ed il sapere primario degli esseri umani.
Il motto non è mia invenzione, ma è preso da un eccezionale testo, che, mentre in Italia e anche all’estero, ha riscosso grande interesse, a Savona sarebbe passato completamente inosservato, se le Eredi della Biblioteca delle Donne non ne avessero fatto occasione di discussione nel 2010, tentando anche di informare e coinvolgere donne che per ruolo politico si riteneva potessero essere interessate, ma constatando ancora una volta l’impermeabilità agli stimoli della classe politica savonese di ambo i sessi.
Il testo, scritto dal Gruppo Lavoro della Libreria delle Donne di Milano, è stato pubblicato un anno e mezzo fa, ma risulta quanto mai attuale ed appropriato al contesto cui ho fatto riferimento e in grado di parlare a donne e uomini; è il motivo che mi ha convinta a estrapolare alcuni i punti che mi paiono più significativi e portarli all’attenzione di un pubblico più vasto.
Si tratta di un manifesto politico sul lavoro, ‘Immagina che il lavoro’ è il suo titolo, esce non a caso come numero speciale di Sottosopra ( prendendo il nome di ‘Sottosopra Rosso’), la rivista che negli ultimo quattro decenni ha segnato e indirizzato le più importanti svolte della politica delle donne.
La svolta scaturisce dalla presa d’atto che le politiche di parità e di eguaglianza, non sussistendo un reale desiderio delle donne a rendere la propria vita uguale a quella degli uomini, si sono rivelate inefficaci e non fanno più presa, e che il femminismo, che abbiamo conosciuto finora non è più sufficiente a fronte del cambiamento epocale in atto con la fine del patriarcato.
Nel manifesto si legge “ primum vivere è possibile purchè si riesca a portare sempre più uomini ad agire nella quotidianità della vita”, affinchè anch’essi vengano coinvolti nel processo, già iniziato dalle donne, di presa di coscienza che ‘ l’esperienza e il sapere della quotidianità sono una leva per cambiare il lavoro e l’economia’.
L’esperienza del lavoro che le donne hanno al proprio attivo è sufficiente per portare a concludere che c’è una profonda discrasia tra il mondo del lavoro e le sue regole ( carriera, successo,merito, ecc..) e la possibilità di una libera espressione di sé e delle proprie aspirazioni. Il lavoro retribuito, inoltre, risulta avulso e anche in conflitto con l’altro lavoro non retribuito che ogni donna svolge con grande impiego di energie, ma anche di invenzione e creatività.
Nonostante che le aziende ricerchino nel lavoro femminile la maggiore competenza cognitiva e relazionale, che deriva proprio dall’esperienza del lavoro di cura dell’esistenza, questo di più non trova riconoscimento e non entra in alcun modo nella contrattazione( se non in pochi fortunati casi individuali).
Si pone, pertanto, il problema di far emergere tutta la massa del lavoro ‘necessario per vivere’
e di farlo divenire ‘una leva per il cambiamento dell’economia’. Solo se il mix vita/lavoro diverrà misura e riferimento della contrattazione, la donna potrà far divenire il differente modo di stare nel mercato del lavoro leva e punto di forza per negoziare la propria condizione.
Il discorso paritario di redistribuzione del lavoro di cura tra i sessi, d’altronde, non ha mai fatto presa, perché si scontra con l’ineliminabile realtà rappresentata dalla differenza sessuale e dall’esperienza materna. Le donne, che pure hanno accettato il lavoro fuori casa, non solo per meri motivi economici, ma come realizzazione e proiezione di sé nella società, non intendono rinunciare ad occuparsi in prima persona dei figli in tutte le fasi della loro crescita; ove sono costrette a delegare anche in parte i propri compiti, ciò avviene non senza angoscia e traumi emotivi.
Il mondo del lavoro che conosciamo si è costituito sul presupposto che chi svolge il lavoro produttivo si affida e fa riferimento a chi sta a casa per quello riproduttivo. La possibilità di tenere insieme produzione e riproduzione è invece la sfida del nostro tempo e la competenza femminile nel portare avanti e conciliare lavoro e maternità non solo non deve più costituire un handicap sociale, ma divenire risorsa e ricchezza da portare al mercato.
Il ‘di più’ che le donne oggi possono far emergere e portare a contrattazione rappresenta la risposta nuova alla crisi del mercato e al dissolvimento delle ideologie vecchie e nuove che l’hanno sostenuto e rappresenta anche la ‘radice’ di una economia sociale, nella quale trovino composizione le ragioni della produzione con quelle della vita, ove il mercato non è più il luogo dove si scambiano le merci, ma ove si confrontano risorse e desideri, aspirazioni individuali e progetti collettivi.
La proposta di Sottosopra Rosso parte dalle donne ma , come si è detto, interessa anche gli uomini, già oggi e non in un lontano futuro, poichè la possibilità di negoziare non solo reddito, tutele o diritti ma anche libertà e opportunità, qualità e finalità e non solo quantità della produzione, tempi di vita insieme a tempi di lavoro, costituiscono un guadagno per tutti e indicano una prospettiva di civiltà cui, chiunque oggi abbia percezione del rischio di barbarie che stiamo correndo, dovrebbe guardare.

Per ritornare alla crisi industriale, mi viene da pensare che se le donne potessero dire con proprie parole, anziché attraverso luoghi comuni e schemi altrui, la loro esperienza di vita e di lavoro, potremmo trovarci di fronte a desideri e richieste impensati ed incompresi nei discorsi correnti, che più vengono ripetuti più suonano ‘vuoti’ e ridondanti. Se le donne come gli uomini, da qualunque parte della barricata si trovino in questa fase particolarmente drammatica, assumessero il ‘primum vivere’, a misura delle loro strategie, forse vedremmo in campo proposte che uniscono anziché anatemi e incomunicabilità, forse vedremmo all’opera un barlume di intelligenza creativa al posto della smania distruttiva, che non può non apparire il paradigma dell’agonia del sistema patriarcale.

Betti Briano, rappresenta da sempre il perno centrale su cui ha ruotato l'intera esperienza del movimento femminista a Savona di cui rappresenta anche la memoria storica. Fondatrice della Biblioteca delle Donne, anima oggi il gruppo di lavoro Eredi della Biblioteca delle Donne.