TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 23 gennaio 2011

Antonio Gramsci e lo stalinismo


Il 22 gennaio 1891 nasceva Antonio Gramsci. Lo ricordiamo con questo scritto apparso originalmente in francese nel 1999 sui Cahiers du mouvement ouvrier.

Giorgio Amico

Antonio Gramsci e lo stalinismo

Ancora nel 1958, due anni dopo il XX Congresso, Togliatti non aveva esitazioni a presentare l'immagine di un Gramsci in carcere convinto stalinista; in realtà sono numerose le fonti che testimoniano prima di un radicale dissenso di Gramsci rispetto alla politica della "svolta" con argomentazioni sostanzialmente simili alle tesi della Nuova Opposizione Italiana e poi di una totale ripulsa dello stalinismo come sistema di governo.

Scrive Ercole Piacentini, operaio meccanico, compagno di Gramsci a Turi: "Gramsci batteva particolarmente sul fatto che nel partito non si doveva guardare all'uomo ma alle direttive del CC. Parlava di Stalin come di un despota e diceva di conoscere il testamento di Lenin, dove si sosteneva che Stalin era indatto a diventare il segretario del partito bolscevico. Ci parlava di Rykov, di Kamenev, di Radek e soprattutto di Bucharin, per il quale aveva un'ammirazione particolare. Una volta ci parlò della Rivoluzione francese (...) E a proposito di ciò, accennò anche a un 'termidoro' sovietico".

Ricorda Bruno Tosin, stalinista convinto, dal dicembre 1930 a Turi che Gramsci "si dimostrava molto impensierito per la ripercussione che la lotta all'interno del partito bolscevico aveva avuto nell'Internazionale, la cui opera di direzione collegiale, secondo il suo parere, era paralizzata o indebolita in conseguenza di tali lotte. In questa occasione deplorò anche il fatto che Stalin nel passato non avesse mai avuto occasioni di svolgere una certa vita internazionale, a differenza di altri capi bolscevichi, e ciò restringeva la sua visione del processo generale del movimento mondiale" Tesi ribadita all'ex deputato comunista Ezio Riboldi nella primavera del 1931, una volta appresi con irritazione gli esiti del IV Congresso del PCd'I a Colonia: "Bisogna tener presente che l' habitus mentale di Stalin è ben diverso da quello di Lenin (...) Stalin è rimasto sempre in Russia, conservando la mentalità nazionalista che si esprime nel culto dei Grandi Russi. Anche nell'Internazionale, Stalin è prima russo e poi comunista: bisogna stare attenti". (1)



Ma la testimonianza principale è dello stesso Gramsci: il 13 luglio 1931 questi scrive a Tatiana: "Mi pare che ogni giorno si spezzi un nuovo filo dei miei legami col mondo del passato e che sia sempre più difficile riannodare tanti fili strappati". (2) La lettera non verrà pubblicata nell'edizione Platone-Togliatti del 1947 delle Lettere dal carcere, così come verrà censurata un'analoga considerazione presente nella lettera a Tatiana del 3 agosto dello stesso anno: "Non essendoci da parte mia mutamento di terreno culturale, si tratta di sentirsi isolato nello stesso terreno che di per sé dovrebbe suscitare legami affettivi". (3) Il messaggio è trasparente: Gramsci si considera ancora un comunista, ma non si identifica più nel movimento comunista, così come si è andato via via definendo a seguito dell'affermarsi dello stalinismo. (4)

Ma cosa Gramsci, seppellito da anni in un carcere fascista, è in grado di conoscere di quanto accade fuori, che ragionevole fondamento hanno i suoi giudizi che, come si è visto, sono netti ? A questo proposito illuminante è il seguente passo di una lettera a Tania del 1933: "Sebbene viva in carcere, isolato da ogni fonte di comunicazione, diretta e indiretta, non devi pensare che non mi arrivino ugualmente elementi di giudizio e di riflessione. Arrivano disorganicamente, saltuariamente, a lunghi intervalli, come non può non accadere, dai discorsi ingenui di quelli che sento parlare o faccio parlare e che di tanto in tanto portano l'eco di altri ambienti, di altre voci, di altri giudizi ecc. Non ho ancora perdute tutte le qualità di critica 'filologica': so sceverare, distinguere, smorzare le esagerazioni volute, integrare ecc. Qualche errore nel complesso ci deve essere, sono pronto ad ammetterlo, ma non decisivo, non tale da dare una diversa direzione al corso dei pensieri". (5)

Gramsci, dunque, non solo conosce a grandi linee gli avvenimenti sovietici, ma ci tiene a farlo sapere, quasi fosse preoccupato di controbattere eventuali obiezioni fondate sul suo status di prigioniero. Ad una lettura attenta anche i Quaderni, nella più recente edizione critica, riservano più di una sorpresa rispetto alla tradizionale versione di un Gramsci convinto stalinista che non perderebbe occasione per stigmatizzare dal carcere le colpe di un Trotsky divenuto "puttana del fascismo". (6) "Sta di fatto - scrive Vacca - che, al di là della polemica con Trotsky del 1924-1926, che è il solo tema per cui Stalin viene nominato, di lui nei Quaderni Gramsci non parla se non indirettamente accennando all'URSS in modi critici. Né si può sottovalutare il fatto che tutte le critiche di Gramsci all'URSS staliniana convergano nel sottolineare le conseguenze politiche e statali della rottura dell'alleanza fra operai e contadini". (7)



D'altronde, se Gramsci pare mantenere un costante atteggiamento critico verso le posizioni di Trotsky, come non pensare che nel pieno della politica di industrializzazione forzata e dopo la "svolta" avventurista del '29, questo non cambi di segno e non vada a colpire direttamente quello stesso Stalin che per Gramsci subordina, lo abbiamo appena visto, la rivoluzione mondiale agli interessi nazionali russi. (8) Netta è nei Quaderni, anche se espressa con le cautele dovuta alla particolare situazione della prigione, la messa in guardia nei confronti di una possibile involuzione bonapartista dell'URSS a causa di un'industrializzazione fondata sulla mera coercizione invece che sul consenso. Scrive Gramsci nel Quaderno 22 proprio in riferimento ai pericoli di un industrialismo fine a se stesso: "Il suo contenuto essenziale (...) consisteva nella 'troppo risoluta (quindi non razionalizzata) volontà di dare la supremazia, nella vita nazionale, all'industria e ai metodi industriali, di accelerare, con metodi coercitivi esteriori, la disciplina e l'ordine nella produzione, di adeguare i costumi alle necessità del lavoro. Data l'impostazione generale di tutti i problemi connessi alla tendenza, questa doveva sboccare necessariamente in una forma di bonapartismo..." . (9)

Come già al tempo della polemica antibordighiana del 1924-1926 sono gli interessi del movimento proletario internazionale a fungere da criterio di giudizio. L'abbandono di Stalin della politica leninista di alleanza degli operai e contadini quale base del potere proletario agevola la rivoluzione mondiale ? E l'uso generalizzato di metodi polizieschi dentro e fuori il partito come deve essere valutato dai marxisti senza cadere in un democraticismo fine a se stesso ? L' uso della violenza da parte di un partito politico, anche espressione "di gruppi subalterni", cioè detto in chiaro di un partito comunista al potere, ha carattere comunque reazionario o può avere valenza positiva ? La risposta di Gramsci è netta e coerentemente marxista: "La funzione di polizia di un partito può dunque essere progressiva o regressiva: è progressiva quando essa tende a tenere nell'orbita della legalità le forze reazionarie spodestate e a sollevare al livello della nuova legalità le masse arretrate. E' regressiva quando tende a comprimere le forze vive della storia e a mantenere una legalità sorpassata, antistorica, divenuta estrinseca. Del resto, il funzionamento del partito dato fornisce criteri discriminanti: quando il partito è progressivo esso funziona 'democraticamente' (nel senso di uncentralismo democratico), quando il partito è regressivo esso funziona 'burocraticamente' (nel senso di un centralismo burocratico). Il partito in questo secondo caso è puro esecutore, non deliberante: esso allora è tecnicamente un organo di polizia e il suo nome di 'partito politico' è una pura metafora di carattere mitologico". (10)


Il carcere di Turi

Concetto ripreso, a sostanziare ulteriormente la sua analisi della degenerazione burocratica e autoritaria del modello sovietico, nel Quaderno 15: "Dato che anche nello stesso gruppo esiste la divisione fra governanti e governati, occorre fissare alcuni principi inderogabili, ed è anzi su questo terreno che avvengono gli 'errori' più gravi, che cioè si manifestano le incapacità più criminali, ma più difficili a raddirizzare. Se crede che essendo posto il principio dello stesso gruppo, l'obbedienza debba essere auttomatica, debba avvenire senza bisogno di una dimostrazione di 'necessità' e razionalità non solo, ma sia indiscutibile (qualcuno pensa, e ciò che è peggio, opera secondo questo pensiero, che l'obbedienza 'verrà' senza essere domandata, senza che la via da seguire sia indicata). Così è difficile estirpare dai dirigenti il 'cadornismo', cioè la persuasione che una cosa sarà fatta perchè il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta: se non viene fatta, 'la colpa' viene riversata su chi 'avrebbe dovuto', ecc. Così è difficile estirpare l'abitudine criminale di trascurare di evitare i sacrifizi inutili. Eppure, il senso comune mostra che la maggior parte dei disastri collettivi (politici) avvengono perchè non si è cercato di evitare il sacrificio inutile, o si è mostrato di non tener conto del sacrifizio altrui e si è giocato con la pelle altrui". (11)

E' una condanna senza attenuanti di un modello di sviluppo, industrialistico e statalista, fondato sul più assoluto disprezzo dei costi umani e della volontà delle masse, sull'obbedienza automatica, sul culto del capo ("cadornismo") che non solo ha da tempo perso ogni residua connotazione progressiva, ma che rappresenta il principale ostacolo sulla via della ripresa rivoluzionaria. Posto di fronte alla necessità di "apprendere troppe e troppo tremende cose" (12), messo al bando dal partito, dal profondo del carcere Antonio Gramsci non cessa di combattere con le uniche armi a sua disposizione, la sua mente e la sua penna, contro la controrivoluzione, fiducioso come tutti i grandi rivoluzionari, in un "futuro limpido e luminoso dell'umanità". (13)

NOTE

(1) Ibidem, p. 48.
(2) A. Gramsci, Lettere dal carcere, vol. 1°, Roma 1988, p. 299.
(3) A. Gramsci, Lettere dal carcere, vol. 2°, Roma 1988, p. 18.
(4) Sull'isolamento di Gramsci in carcere cfr. le ricerche di Spriano (Gramsci in carcere e il partito, Roma 1977) e di Fiori ( Gramsci Togliatti Stalin, cit.). E' opportuno comunque ricordare la testimonianza terribile di Terracini relativa alla morte di Gramsci. "Per i compagni detenuti o confinati, Antonio ormai era estraneo al partito. Perciò la notizia della sua morte passò come tante altre, fu accolta senza dolore, non suscitò emozioni" (Terracini, Quando diventammo comunisti, cit., p. 115).
(5) A. Gramsci, Lettere dal carcere, vol. 2°, cit., p. 191.
(6) La citazione, falsa, è dovuta alla penna di uno fra i più raffinati esponenti di quell'area di intellettuali passati tranquillamente dal fascismo al "partito nuovo" di Togliatti (L. Lombardo Radice, Fascismo e anticomunismo, Torino 1947, p. 56). Nel volume vengono a piene mani diffuse calunnie su Bordiga e "la provocazione di tipo trotzkista al soldo dell'Ovra". (ibidem, p. 57).
(7) G. Vacca, L'URSS staliniana nell'analisi dei Quaderni dal carcere, in Gorbacev e la sinistra europea, Roma 1989, p. 75.
(8) Tesi peraltro già avanzata sul finire degli anni Sessanta da Silverio Corvisieri (Trotskij e il comunismo italiano, cit., pp. 95-96).
(9) A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Torino 1975, p. 2164.
(10) Ibidem, p. 1691.
(11) Ibidem, p. 1752.
(12) La frase, rivolta al giovane Gramsci, è di Bordiga. (A. Bordiga, Il rancido problema del Sud italiano, cit., p. 97).
(13) E' un passo della deposizione di Trotsky davanti alla Commissione Dewey nell'aprile 1937 che rappresenta il suo testamento politico e ben si addice a un marxista indomabile e generoso come fu Antonio Gramsci. "L'esperienza della mia vita - scrive Trotsky - in cui non sono mancati successi e fallimenti, non soltanto non ha distrutto la mia fede in un futuro limpido e luminoso dell'umanità, ma anzi l'ha temprata e resa incrollabile. Questa fede nella ragione, nella verità, nella solidarietà umana, che a diciotto anni portai con me nei quartieri operai (...), l'ho conservata piena e intatta. E' diventata più matura, ma non meno ardente...". (Cfr. I. Deutscher, Il profeta esiliato, Milano 1965, p. 483).

(Da: Cahiers du mouvement ouvrier, CERMTRI, Paris, n° 6 Juin 1999)