TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 20 agosto 2012

Alfredo



Giorgio Amico

Alfredo

Città ventosa Savona, battuta dal Maestrale, dal Libeccio e dalla Tramontana. E il vento produce effetti strani. Può fare uscire di testa, almeno così diceva Cesco, il partigiano, che aggiungeva: guardatevi intorno, ragazzi, vedrete se non ho ragione.

E in effetti, bastava guardarsi attorno. C'era Moto Gilera, spericolato acrobata su due ruote e mistico bestemmiatore compulsivo e Madonna degli Angeli, dalla stinta tuta blu da ginnasta coperta di medaglie di latta e dai gambali di gomma e Mercedes con gonne svolazzanti e treccine di bimba  a contornare un volto rugoso di vecchia.

Ma il più grande di tutti era Alfredo, l'uomo-cavallo. Nessuno sapeva chi fosse davvero e da dove venisse. Su di lui correvano leggende. Trauma da bombardamento, si diceva. Forse era andata così e forse no. Per tutti era Alfredo e questo bastava.

Attaccato alle stanghe di un carretto, percorreva le vie di Savona dal mercato all'ingrosso di Corso Ricci al Mercato Civico al Porto. Trascinava carichi incredibili, montagne di cassette di frutta e verdura, dall'alba a mezzogiorno. Man mano che il mattino avanzava aumentavano le soste davanti alle osterie e si alzava il tono della sua voce.

Lo sentivamo arrivare. Lo precedevano le sue urla, frasi gridate al cielo. Quando arrivava davanti al Liceo si fermava, mollava le stanghe e guardava in alto verso le finestre di quel palazzo austero. Sapeva che lo aspettavamo. 

Una testa faceva capolino seguita da molte altre. E poi le grida di incitamento: Alfredo! Alfredo! discorso! discorso!

E Alfredo non ci tradiva mai. Portava le mani ai fianchi, assumeva una posa marziale, alzava il mento e gridava: Iddio ha creato il mondo e io dichiaro la guerra.

Duce! Duce! - gridavamo in coro.

Afredo scattava sull'attenti, il braccio levato nel saluto romano. Poi si attaccava di nuovo alle stanghe di quel carretto stracarico e riprendeva il suo cammino.

Povero, vecchio Alfredo, uomo-cavallo bastonato dagli uomini e dalla vita, che non aveva mai incontrato un Nietzsche capace di condividere nell'attimo di un abbraccio la sua disperazione. Solo noi ragazzi, irridenti e sguaiati, troppo giovani per capire che di noi si trattava. Che anche noi avremmo tirato la vita fra le stanghe di quel carro gridando per farci coraggio la nostra verità a un cielo vuoto.