TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 18 giugno 2019

I fuochi di San Giovanni. L'acqua simbolo di purificazione

    J-W. Waterhouse, Gather ye rosebuds-1909

Le feste solstiziali rivestono anche carattere lunare, e dunque assumono anche l'aspetto di feste legate all'acqua. Un aspetto esclusivamente femminile, come si racconta in questo capitolo.

Giorgio Amico

I fuochi di San Giovanni

L'acqua simbolo di fertilità

Abbiamo visto come le feste solstiziali abbiano anche carattere lunare, e dunque debbano considerarsi anche feste acquatiche. Cerchiamo di approfondire la questione:

“Le acque di San Giovanni – afferma Cattabiani – sono omologhe al segno del Cancro., domicilio della luna, al cui inizio cade il solstizio. La relazione dell'astro con le acque è nota e rappresenta il mondo della formazione o l'ambito di elaborazione delle forme nello stato sottile, punto di partenza dell'esistenza nel mondo individuale, ovvero nella caverna cosmica. D'altronde tutto ciò che è connesso alla generazione e alla fruttificazione subisce in quella notte un influsso positivo: «La notte di San Giovanni entra il mosto nel chicco» dice un proverbio diffuso in vari dialetti.” (60)

Che il solstizio d'estate sia anche una festa acquatica ce lo conferma il calendario romano. Il 24 giugno il popolo gremiva i due templi della dea Fors Fortuna posti sulle due rive del Tevere. Il fiume veniva attraversato su barche inghirlandate di fiori e illuminate da fiaccole. Ovidio ci ricorda come festosi banchetti e grandi libagioni fossero associati a quel rito di purificazione:

“Andate e celebrate lieti, o Quiriti la dea felice!
Accorrete a piedi o su celeri barche
e non vi vergognate di tornare poi ebbri a casa.” (61)

Una festa cara ai romani, soprattutto ai plebei e agli schiavi, perché – è sempre Ovidio a ricordarcelo – istituita da Servio Tullio che, secondo la leggenda, pur essendo figlio di un'umile ancella, era riuscito a diventare re di Roma. E' probabilmente da questa antichissima tradizione che deriva l'usanza, ancora oggi vivissima a Roma, di festeggiare San Giovanni con grandi mangiate fuori porta a base di lumache e vino bianco dei castelli. Ma sulle credenze legate al consumo delle lumache avremo modo di soffermarci più avanti, ora ci interessa invece sottolineare l'importanza dei riti acquatici nelle tradizioni religiose.

Da sempre l'attraversamento rituale delle acque o, cosa sostanzialmente simile, l'immersione cela profondi significati simbolici di purificazione o rinascita. Valga per tutti la navigazione sulle acque di Noè o l'attraversamento del Mar Rosso da parte degli ebrei in fuga dalla schiavitù egiziana sotto la guida di Mosè. Per non parlare del bagno purificatore nelle sacre acque del Gange per gli induisti o la simbologia battesimale dei cristiani. E' proprio per questa forte valenza simbolica dell'attraversamento rituale delle acque che la Chiesa continuerà poi, nel momento in cui si accinge a sostituire il paganesimo morente, questa festa romana, dedicandola al Battista, il fondatore del rito battesimale cristiano, connotato dagli stessi simboli dell'acqua e del fuoco.

    La rugiada che scende dalla mano di Dio. Dettaglio da "Mons Magiae Cabalae et Philosophiae" 

Il potere della rugiada

Il solstizio d'estate rappresenta dunque anche la glorificazione dell'acqua, elemento femminile per eccellenza, simbolo di fecondità e di purificazione, strumento di rigenerazione. Da queste caratteristiche trae origine la credenza nei poteri della rugiada della notte di San Giovanni che consacra le erbe e le rende idonee ad un impiego terapeutico o magico. Si credeva infatti (e in molti luoghi ancora oggi si crede) che le erbe e i fiori raccolti all'alba della notte di San Giovanni o lasciati durante la notte in una bacinella all'esterno della casa, acquisissero poteri benefici e protettivi. Rotolarsi nella rugiada guariva dalla rogna, dalle emorroidi, dai calli, dalle malattie degli occhi. Ma soprattutto dalla infertilità "perché di essa si bagnavano il sesso le ragazze in cerca di marito". (62)

Largamente predominante in questi riti acquatici è l'aspetto femminile. Sono sempre giovani donne ad esserne le protagoniste. E' il caso della Sardegna: “In varie altre località (Orune, Orriferi, Orrotelli, ecc.) le ragazze vanno durante la notte a raccogliere in tutta solennità e in silenzio assoluto dell'acqua dai pozzi e sempre in silenzio tornano, spruzzandone tutte le acque del villaggio: l'acqua «muta», così chiamata per il silenzio rituale che caratterizza tutta la cerimonia, ha il potere di fugare animali nocivi e di purificare le case da ogni spirito malefico. Con l'acqua raccolta nella notte si lava anche il viso e la persona, fugando in tal modo malanni e spiriti ossessivi. Accanto ai malanni di casa, , e più di essi, interessa infatti liberare le persone da morbi e impurità.” (63)

La credenza nei poteri taumaturgici della rugiada giovannea è ancora viva in molte parti d'Italia. “La guazza di Santo Gioanno fa guarì da ogni malanno”, si dice ancora oggi in Umbria. Ne troviamo tracce anche in rete, prova evidente di come la cosiddetta «post-modernità» possa inglobare anche elementi mitici, propri di una tradizione plurimillenaria.

“Per festeggiare San Giovanni Battista non scordate di preparare l’acqua di San Giovanni. A casa dei miei, fin da bambina, il giorno della vigilia della festa, con la mamma, ci recavamo in campagna a raccogliere fiori ed erbe di campo poi, al tramonto, immergevamo i fiori in un bacile ricolmo d’acqua che si lasciava fuori della finestra al magico effetto della notte. Mi ricordo con grande emozione la gioia che provavo al risveglio al pensiero di lavarmi con l’acqua profumata. Questa tradizione, che da alcuni anni avevo abbandonato, mi ha sempre profondamente affascinato. Così, sia per il piacere di trasmetterla a mio marito e a mia figlia, sia perché si dice che l’acqua speciale preservi dalle malattie e porti fortuna, amore e felicità, ho pensato di riprenderla.” (64)

Chi parla è una giovane donna che su di un sito web racconta di come abbia appreso dalla madre questa antica usanza e l'intenzione di trasmetterla a sua volta alla figlia bambina. Una testimonianza della forza con cui il mito irrompe ancora nel quotidiano dell'uomo, anche di quello moderno e ultra tecnologico. Una ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della validità delle tesi di Eliade sulla sopravvivenza del pensiero mitico anche nel nostro mondo.



Francesco Petrarca e le fanciulle di Colonia

Testimone d'eccezione di questi riti acquatici fu Francesco Petrarca che racconta anni dopo, ancora meravigliato e stupito, di aver assistito nel 1334 a Colonia ad una folla di ragazze ornate di erbe odorose e di fiori immergersi al tramonto della vigilia di San Giovanni nelle acque del Reno. Il poeta ricorda anche come gli fosse stato spiegato che si trattava di un antichissimo rito popolare, specificatamente femminile, per allontanare le calamità dell'anno e garantirsi un'annata felice.

“Era la vigilia di San Giovanni, e il sole volgeva ormai al tramonto. Su consiglio di amici mi sono recato al fiume [Reno] per vedere uno spettacolo straordinario. Le rive del fiume erano occupate da una folla di donne... Era uno spettacolo incredibile, coronate di erbe profumate, con le maniche rialzate fin sopra il gomito, lavavano le candide mani e le braccia nella corrente del fiume. Stupito, poiché non capivo il senso della cosa, chiesi agli amici che mi accompagnavano. Mi risposero che si trattava di un rito femminile antichissimo, fondato sulla convinzione che quelle abluzioni fluviali in quel giorno purgassero le impurità, proteggessero dalle calamità del fiume e garantissero un'annata felice.” (65)

Nei confronti di questi riti, caratterizzati da una forte promiscuità sessuale e spesso dalla esibizione senza pudori del corpo, la Chiesa ebbe fin dai primi secoli un atteggiamento di estrema diffidenza. Già Sant'Agostino interviene contro l'uso il giorno di San Giovanni di bagnarsi in mare per purificarsi, definendola una superstizione pagana che toglieva valore al battesimo cristiano.

Nel decimo secolo Cesario di Arles denuncia la pratica del «lavacro sacrilego» nelle fonti e nei fiumi in occasione della notte di San Giovanni. Nello stesso periodo Attone di Vercelli condanna in quanto «cose da meretrici» pernottare presso fonti e fiumi, cantare e danzare tutta la notte, predire la sorte, raccogliere erbe e foglie che «battezzate» nelle acque, sono poi religiosamente conservate in casa, appese alle pareti, per tutto l'anno. (66)

E' evidente anche da queste prese di posizione che la dimensione ludico-erotica doveva essere una delle componenti essenziali della festa, festa della fecondità dei campi e della natura, ma anche degli uomini. La carica liberatoria e di conseguenza radicalmente sovversiva di quella magica notte, in cui tutto poteva accadere e dunque tutto era lecito, non poteva che essere avvertita come trasgressiva e pericolosa dal potere ecclesiastico e civile. Una condanna destinata a durare a lungo e a seguire il ripetersi della festa e dei suoi riti nel corso dei secoli fino quasi alle soglie della mostra epoca. Così in un bando del governo pontificio del 19 giugno 1753 riferendosi alla credenza che la rugiada e per estensione l'acqua potesse assicurare la fecondità, si decretava che:

"Con l'autorità del nostro ufficio, a qualsiasi persona dell'uno o dell'altro sesso, proibiamo che in detta notte veruno ardisca accostarsi alle vasche, ai rigagnoli, alle fontane, togliendosi le brache e accucciandosi sull'erba, pena gli uomini tre tratti di corda da darsi in pubblico e scudi 50 di multa, e per le donne tre colpi di frusta a posteriori in pubblico, e sì per gli uni, come per gli altri, senza alcuna remissione."

Pratiche che dovevano essere ben radicate e dunque difficili da estirpare se, solo due anni dopo, il 18 giugno 1755, proprio alla vigilia della festa, il cardinale Marco Antonio Colonna ribadiva il divieto scrivendo: “La Santità di Nostro Signore per impedire gl'inconvenienti, che sotto vano pretesto di prendere la guazza. Sogliono commettersi nella notte precedente alla Festa della Natività del glorioso precursore S. Gio. Battista, ci ha comandato coll'Oracolo della sua viva voce di rinnovare il presente Editto altre volte pubblicato, in cui coll'autorità del Nostro Uffizio non solo in questo, ma in ogni altro Anno avvenire espressamente proibiamo a qualsivoglia persona dell'uno e l'altro sesso di portarsi in detta notte fuori delle porte della Città, o in luoghi disabitati, come a monte Testaccio, alle vigne, e giardini sotto qualsivoglia pretesto che possa recar scandalo (…) E comanda a tutti gli osti e bettolieri, che nella Vigilia di detto santo debbano tenere serrate le loro osterie e bettole.” (67)

Seguiva poi l'elenco delle sanzioni pecuniarie e fisiche per chi avesse ancora trasgredito alla norma. Sulla scarsa efficacia di questi divieti bene testimonia un'opera coeva dedicata al culto di San Giovanni di padre Paolo Maria Paciaudi, primo conservatore della Biblioteca Palatina, che riconosce il fallimento di ogni tentativo ecclesiastico di estirpare queste usanze: “Se si proibiva di andare a bagnarsi al fiume, la gente andava di notte sui prati e si rotolava sull'erba rugiadosa, bagnandosi con l'umore della rugiada.” (68)



60. Alfredo Cattabiani, Calendario, Milano, Mondadori, 2008, p. 235.
61. Ovidio, I Fasti, VI, 771-84.
62. Annamaria Rivera, Il mago, il santo, la morte, la festa: forme religiose nella cultura popolare, Bari, Dedalo, 1988, p. 139.
63. Lanternari, cit., p. 345.
64. http://www.umbriatakeaway.com/la-guazza-di-santo-gioanno-fa-guari-da-ogni-malanno/
65. Francesco Petrarca, Rerum familiarum, I, 5:2-8. Traduzione nostra dell'originale latino.
66. Rivera, cit., p.133.
67. Cattabiani, cit., p. 238.
68. P.M. Paciaudi, De cultu S. Joannis Baptistae antiquitates Christianae, Roma 1755, p. 34, In: Rivera, cit., pp. 132-133.

8. Continua