giovedì 30 novembre 2023
giovedì 23 novembre 2023
Scritture operaie. L'esperienza genovese 1970-2020
SCRITTURE OPERAIE
L'esperienza genovese 1970-2020: Pippo Carrubba, Francesco Currà, Vincenzo Guerrazzi, Giuliano Naria.
Con un'antologia di testi.
A cura di Marco Codebò e Giorgio Moroni.
Introduzione di Giuliano Galletta.
Testi di Giuliano Galletta, Marco Codebò, Giorgio Moroni, Ignazio Pizzo, Marino Fermo, Rosella Simone, Antonio Gibelli, Claudio Gambaro, Stefano A. Bigazzi, Giovanna Lo Monaco, Sandro Ricaldone, Liliana Lanzardo, Augusta Molinari
Il libro, a partire dai quattro autori analizzati riflette, in una prospettiva nazionale e internazionale, sul rapporto tra la vita di fabbrica e la comunicazione letteraria.
Nella Genova degli anni Settanta del Novecento, Pippo Carrubba (1938-2020), Fancesco Currà (1947-2016), Vincenzo Guerrazzi (1940-2012) Giuliano Naria (1947-1997), operai dell’Ansaldo Meccanico e dell’Italcantieri, iniziano a scrivere testi letterari. Continueranno a farlo per tutta la vita. Con modi e tempi diversi, legati alle particolari curve delle loro esistenze, produrranno romanzi, inchieste giornalistiche, favole, racconti, memoirs. Questo volume affronta l’esperienza di
questi scrittori attraverso l’analisi del contesto storico e culturale in cui hanno operato, la ricostruzione delle loro biografie, e la presentazione di un’antologia dei loro scritti.
Il contesto storico, nel senso più largo del termine, coincide con l’esistenza stessa della classe operaia. Già dopo la rivoluzione del luglio 1830, come spiega Jacques Rancière nella “Nuit des prolétaires. Archives du rêve ouvrier” (1981), appaiono operai parigini che decidono “di non sopportare più l’insopportabile”, vale a dire “il dolore del tempo rubato ogni giorno per lavorare il legno e il ferro”, e dedicano le notti a discutere, progettare, scrivere. All’altro capo della storia, Xu Lizhi, operaio della Foxconn di Shenzhen, un’azienda che conta sulle commesse di giganti come Apple, Motorola, Samsung e Microsoft, traduce la sua storia nelle poesie pubblicate in "Mangime per le macchine" (tradotte e pubblicate online in Italia a cura dell’Istituto Onorato Damen nel 2010). Fra questi due estremi temporali, altre esperienze di scrittura operaia emergono in contesti storici e culturali molto diversi. Adelheid Popp racconta la sua vita di giovane operaia in “Jugend einer Arbeiterin” (1909), mentre in “Tea Rooms. Mujeres Obreras” (1934), Luisa Carnés Caballeros narra la sua storia di cameriera nelle sale da the della Puerta del Sol; “A la ligne”, infine, è una testimonianza di sofferenza operaia scritta da Joseph Ponthus nel 2018. Questi tre casi sono solo un campione minimo della scrittura operaia in un quadro internazionale. Davanti ad un contesto così ampio e variegato, si tratta di individuare alcune costanti nel rapporto fra scrittura e lavoro operaio e verificarne la loro presenza nei testi prodotti dai quattro operai genovesi di cui si occupa il libro.
Per quel che riguarda il contesto italiano si tratta da una parte di considerare il percorso della narrativa italiana nel trattare la condizione operaia e dall’altra di indagare le spinte culturali e politiche che nella situazione degli anni Sessanta indirizzano ricercatori, sociologi e militanti verso la raccolta di testimonianze operaie. Il quadro letterario è caratterizzato dal ritardo del romanzo italiano nel mettere al centro della rappresentazione il lavoro e la vita di operai e operaie. Renzo e Lucia lavorano tutti e due in filanda ma di quel che fanno là non se ne sa niente nei “Promessi sposi”. La situazione rimane tale fino agli anni Trenta, quando esce “Tre operai” (1934) di Carlo Bernari e soprattutto fino al secondo dopoguerra quando la narrativa neorealista, come anche il cinema, sceglie l’ambiente proletario come il suo terreno d’azione privilegiato. Gli anni Sessanta aggiungono a questo quadro d’insieme l’interesse politico verso la condizione operaia, con le inchieste in cui ricercatori come Danilo Montaldi, Raniero Panzieri, Romano Alquati vanno a scoprire la fabbrica attraverso la partecipazione attiva dei soggetti operai, la cui voce inizia così a depositarsi sulla pagina. In fondo a questo percorso c’è Nanni Balestrini: “Vogliamo tutto” (1971) è un romanzo a due voci, quella dello scrittore affiancata da quella del protagonista Alfonso Natella, operaio della Fiat. Natella diventerà poi scrittore in proprio scrivendo, alcuni anni dopo,
“Come pesci nell’acqua inquinata “(1978). Ma qui siamo ormai quasi arrivati ai nostri scrittori. L’ultimo elemento da inserire nella miscela di fattori che stanno alla base della loro pratica è proprio il protagonismo operaio nelle lotte di fabbrica e di territorio iniziate nell’autunno del 1969; quelle lotte che Balestrini e Natella raccontano in “Vogliamo tutto”.
Come entra la miscela di elementi appena accennati nei testi dei quattro scrittori operai al centro del volume? Il libro risponde scrittore per scrittore e testo per testo, scoprendo sia i fattori comuni sia i tratti espressivi e culturali che invece appartengono solo all’individualità di chi scrive. Com’è ovvio, si è cercato anche di evidenziare i momenti di superamento del contesto, quando la scrittura trascende le condizioni della propria produzione e sia avvia in direzioni originali. Ultimo, ma non meno importante, compito è stato la raccolta di dati e documenti – che diventeranno patrimonio dell'Archivio e fonti per nuove ricerche – attraverso l’inchiesta sulle singole biografie, intorno alle esperienze scolastiche, le pratiche di lettura, le biblioteche personali e le abitudini di scrittura di ognuno dei tre scrittori.
mercoledì 22 novembre 2023
martedì 21 novembre 2023
Enrico Bignami sulla guerra di Libia e l'espulsione dei massoni dal partito socialista
Giorgio Amico
Enrico Bignami sulla guerra di Libia e l'espulsione dei massoni dal partito socialista
Nel 1912 si era aperta nel Partito socialista italiano una accesa discussione sulla compatibilità fra appartenenza al partito e alla Massoneria. La questione fu definitivamente risolta nel corso dei lavori del congresso di Ancona che su proposta del direttore dell' "Avanti!" Benito Mussolini proibì la doppia appartenenza ed espulse i massoni dal partito. Da notare come Amadeo Bordiga, futuro fondatore del Partito comunista e allora esponente di primo piano della Federazione giovanile socialista, fosse stato il principale sostenitore di Mussolini in questa battaglia. Cosa che non mancò di ripetutamente ricordare alle autorità di polizia negli anni Trenta per allontanare da sé il sospetto di svolgere attività antiregime (cfr. Il nostro Bordiga, il fascismo e la guerra (1926-1944), Massari Editore 2021).
Nel vivo di questa battaglia, che vide non pochi esponenti illustri del socialismo italiano abbandonare il partito, si colloca una lettera di Enrico Bignami, uno dei padri del movimento operaio e socialista italiano, fondatore della rivsta "La Plebe" e poi della sezione italiana dell'Internazionale socialista.
Da Lugano, dove risiedeva e dirigeva la rivista "Coenobium", terreno di incontro di figure importanti della cultura di allora come, solo per citare le più illustri, Miguel de Unamuno e andré Gide, in una lettera datata 10 maggio 1913 (che riproduciamo in copertina riprendendola da un vecchio numero di Hiram del marzo 1989), dopo aver rivendicato con orgoglio il suo essere massone, il vecchio internazionalista esprime la sua sdegnata condanna del sostegno dato dal Grande Oriente alla guerra di conquista coloniale della Libia:
"Io non metterò più piede in una loggia italiana, se non sarà fatto sicurodi trovarsi in una accolta di fratelli che, almeno nella loro maggioranza, non aderito alla nefasta impresa di rapina e di sterminio che disonora e dissangua la patria".
La lettera è occasione anche di pronunciarsi sul dibattito in corso nel Psi. In una breve annotazione in appendice alla lettera, indirizzata al Maestro Venerabile della Loggia "Carlo Cattaneo" di Milano, Bignami interviene infatti sul tema della incompatibilità fra iscrizione al Partito socialista e appartenenza alla Massoneria, ricordando come proprio grazie al sostegno delle logge il movimento operaio si fosse potuto organizzare politicamente e difendere dalla repressione governativa:
"Lanciai il manifesto della Plebe repubblicano-socialista da Lodi nel nov. 1867, reduce appena da Mentana. Fu al coperto di una volta stellata di un Tempio che potei costituire la prima sez. Italiana dell'Internazionale. I denigratori socialisti della Massoneria potrebbero ricordarsi di cento altri fatti come questo".
domenica 19 novembre 2023
La rinascita della Massoneria italiana dopo la caduta del fascismo: una realtà complessa
Giorgio Amico
La rinascita della Massoneria italiana dopo la caduta del fascismo: una realtà complessa
Quello in cui la Massoneria rinasce a quasi vent'anni dalla messa fuori legge è un momento estremamente complesso: il regime fascista è caduto, ma la guerra continua con la lenta avanzata delle truppe alleate a cui si contrappone una accanita resistenza tedesca. Il paese è diviso in due, da una parte la monarchia detentrice di un potere poco più che nominale, dall'altra la neocostituita Repubblica Sociale Italiana dalle caratteristiche ancora più effimere. Nei territori occupati opera un forte movimento di resistenza che combatte una guerra nella guerra dalle caratteristiche complesse, al contempo guerra di liberazione nazionale, guerra civile e guerra di classe.
Allo stato di estrema precarietà della situazione politica e sociale del paese si accompagnano a complicare ulteriormente le cose per i "Fratelli" i frutti avvelenati dello scisma del 1908. Quando già alla fine del 1942, alla luce della avvertibile crisi del regime, i superstiti quadri dirigenti della Massoneria prefascista cominciarono a intensificare i loro sforzi per ricostruire legami stabili che andassero al di là dei rapporti, più o meno forti, mantenuti a livello personale per tutta la durata degli anni della clandestinità, il problema che si pose fu immediatamente se ricostituire le due vecchie Obbedienze di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù o, considerato il cambiamento epocale avvenuto nel frattempo, una Massoneria completamente diversa, rinnovata e riunificata.
Il risultato fu una notevole confusione di sigle e di personaggi. Una situazione caotica non priva di ambiguità, anche per il pullulare di avventurieri pronti ad ogni tipo di operazioni e di elementi già pesantemente compromessi con il regime fascista e ora all'affannosa ricerca di una riabilitazione democratica.
A ciò si univano sia i contrasti fra le potenze alleate che avrebbero presto portato alla fine dell'unità antifascista e allo scoppio della guerra fredda, sia le diverse valutazioni e prospettive con cui Americani e Inglesi guardavano all'Italia del dopoguerra. La ricostituzione della Massoneria fu fin dagli inizi uno dei campi di intervento negli affari interni italiani dei Servizi di intelligence occidentali e in particolare di quelli americani. Prima l'OSS e poi la CIA si mossero attivamente e con spregiudicatezza nell'ambito del confuso processo di decantazione che vide coinvolti decine di gruppi massonici o paramassonici, ciascuno rivendicante l'eredità della massoneria prefascista. Lo scopo era erigere una solida barriera che proteggesse la neonata e fragilissima democrazia repubblicana dal pericolo del comunismo o comunque di un'avanzata significativa delle sinistre. Un sorta di "grande gioco" cui partecipò una pluralità di attori, non ultimi il Vaticano e nello specifico siciliano la mafia e il movimento separatista.
Ci vollero anni perché tutti questi nodi venissero sciolti. Le elezioni politiche del 1948 e la netta scelta di campo atlantica e filoamericana segnarono un punto fermo non solo per la rinascita del Paese dopo il periodo travagliato della ricostruzione, ma anche per gli assetti definitivi della Massoneria del dopoguerra.