TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 29 gennaio 2024

Fin dove arrivano i nostri ricordi

 


Fin dove arrivano i nostri ricordi?


Fin dove arrivano i nostri ricordi? Parlo ovviamente dei ricordi della gente comune e non di chi appartiene a famiglie che da generazioni si tramandano aziende, palazzi, patrimoni. I miei arrivano al giugno 1883, data annotata dietro questa foto di mio bisnonno Giorgio Carli, allora di 15 anni.

Aveva preso il nome del nonno. Suo padre di chiamava Giuseppe ed era censito al Comune di Piani come "proprietario" detto in termini non burocratici una persona in grado di far vivere la sua famiglia con qualche fascia coltivata a ulivi. Un passo appena sopra la povertà.

Diventato adulto, Giorgio Carli, sposatosi con Francesca (Cecchina) Corradi, sempre di Piani, avrà tre figli, due femmine e un maschio, nato nel 1891, a cui darà il nome di suo padre, Giuseppe, ma per tutti Pippo. In suo ricordo e per continuare una tradizione di famiglia, alla mia nascita nel 1949 mi fu dato il nome Giorgio.

Da giovane guardavo al futuro e di queste cose non mi curavo, Oggi da nonno, so con certezza che la nostra vita inizia molto prima della nascita biologica e continuerà dopo nei figli e nei nipoti che porteranno dentro qualcosa di noi, come io porto dentro qualcosa di Giuseppe, Giorgio, Pippo Carli.


Vento largo, 29 gennaio 2024

domenica 28 gennaio 2024

In ricordo di Bruno Segre, partigiano, pacifista, difensore della libertà, massone.

 









Questa mattina ho trovato nella posta una bella lettera di Roberto Massari sulla figura di Bruno Segre, che si chiudeva con l'invito di dedicargli un articolo su Vento largo. Lo faccio ben volentieri, usando le sue stesse parole. Io non saprei usarne di migliori e più adatte.

Caro Giorgio,

leggo sul Corriere di oggi che è morto Bruno Segre, alla bella età di 105 anni.

Ne avevo perso memoria, pur avendo mantenuto una corrispondenza con lui per alcuni anni e pur essendo stato lettore del suo Incontro finché il giornale è esistito. Non immagini quanti pezzi di articoli da conservare ho ritagliato da quel giornaletto vecchio stile, stampato come Bandiera rossa degli anni ’60.
Ricordo ancora che in ogni numero c’era la pubblicità ai francobolli Bolaffi, che era chiaramente un modo per finanziare il giornale da parte di qualcuno che gli voleva bene. Segre infatti era massone e fiero di esserlo. E sul giornale questo si vedeva a ogni numero.
Ebbene, nella colonna che oggi il Corriere gli ha dedicato non si accenna minimamente a questa sua militanza massonica che invece fu per lui molto importante. È una sciocca autocensura.
Il giornale era anticlericale in maniera nettissima, era in prima linea per i diritti civili (Segre era stato una punta della lotta per il divorzio), per la memoria dell’Olocausto (Segre era ebreo) e per le libertà democratiche (il comandante «Elio» era stato partigiano).
Insomma un ex partigiano ebreo, massone, anticlericale e veramente democratico che ci ha lasciato senza che la cultura italiana gli renda l’onore che si sarebbe meritato.
La buona notizia è che è campato 105 anni (come Levy-Strauss).
Fossi in te gli dedicherei un articolo in Vento Largo (e se vuoi puoi anche usare queste mi parole).

Cosa altro aggiungere? Noto solo che, come Il Corriere , anche altri giornali, vista la levatura culturale e morale del personaggio, hanno dedicato grande spazio alla notizia della morte di Segre. La Repubblica ne parla con un denso articolo nelle pagine della cultura, mettendone in luce le doti di rigoroso intellettuale, di esponente di punta delle grandi battaglie laiche come quella del divorzio. Ricordandone la militanza partigiana, lo definisce già nel titolo "Un simbolo dell'antifascismo"- Toni analoghi usa Il Manifesto che insiste particolarmente sul grande impegno pacifista di Segre.. Peccato che, oltre che concordi nell'elogio, le tre autorevoli testate siano egualmente concordi nel tacere che Bruno Segre oltre che partigiano, antifascista, difensore accanito delle libertà, fosse massone, membro autorevole del Grande Oriente d'Italia che lo commemora sulla sua pagina web ricordando come nel 2020 fosse stato insignito della massima onorificenza massonica proprio per il suo instancabile costante impegno in difesa della libertà e dei diritti dei cittadini.

Non è comunque una novità. Dei massoni sulla stampa italiana si parla solo se il nome dell'interessato è accompagnato da un avviso di garanzia. Allora quella appartenenza, anche se non c'entra nulla con gli eventuali addebiti, non solo non viene taciuta, ma enfatizzata, scritta a lettere cubitali nel titolo dell'articolo. Un segno di come profondo resti il pregiudizio antimassonico nel nostro paese. D'altronde perché stupirsi ? Fino agli anni Sessanta e al Concilio Vaticano Secondo nelle prediche domenicali e sulle pagine delle riviste cattoliche la Massoneria era definita "Sinagoga di Satana" a sottolineare il legame diretto con quei "perfidi giudei" il popolo deicida che non poteva essere perdonato. Bruno Segre, ebreo e massone, si è battuto per tutta la sua lunga vita contro questi pregiudizi, essendo stato in gioventù testimone diretto di quali orrori potesse provocare l'odio ideologico e il fanatismo.

Bruno Segre se ne è andato nella giornata dedicata alla Memoria. Lo salutiamo con affetto fraterno, ricordando come negli anni bui del terrore nazista in tutta Europa si svolse una feroce caccia ai massoni che a decine di migliaia, trentamila solo dalla Francia occupata, furono deportati e uccisi nei campi di sterminio.

sabato 27 gennaio 2024

Nazismo, stalinismo e l'attuale antisemitismo "di sinistra"

 


Solo chi non conosce la storia del Novecento può stupirsi di trovare oggi insieme a manifestare per la distruzione dello Stato di Israele uno schieramento che va  da Forza Nuova al Partito comunista dei lavoratori. Nel 1939 la seconda guerra mondiale fu la diretta conseguenza dell'accordo fra il regime nazista e quello  sovietico per la spartizione della Polonia. Che ciò comportasse lo sterminio per mano tedesca degli ebrei polacchi a Stalin non importava, L'importante era riconquistare, come oggi cerca di fare Putin, Polonia e paesi baltici. E d'altronde, mentre le SS liquidavano gli ebrei a Ovest, nella Polonia occupata dai sovietici venivano massacrati a Katyn quasi 30 mila prigionieri di guerra polacchi, mentre altre centinaia di migliaia venivano deportati nei lager siberiani a morire di fame, di fatica e di stenti. Fu solo dopo che Hitler ruppe l'alleanza e attaccò la Russia che Stalin si riscoperse antinazista. Fino ad allora l'URSS e i partiti comunisti avevano di fatto appoggiato la guerra nazista contro le odiate democrazie "borghesi" occidentali. Il fatto che oggi in prima linea fra i fascio-islamisti troviamo anche dei trotskisti dimostra solo che, come la critica storica ha ormai ampiamente dimostrato, lo stalinismo è stato non una controrivoluzione ma uno degli sviluppi possibili del bolscevismo. Anzi per certi aspetti il più coerente, tanto che fu Stalin e non Trotsky a trionfare nella lotta per il potere iniziata già prima che Lenin morisse nel gennaio 1924. per questo riprendiamo  il saggio di Roberto Massari scritto in occasione della giornata della Memoria.

Nazismo, stalinismo e l'attuale antisemitismo "di sinistra"

di Roberto Massari


(27 gennaio 2024, Giornata della Memoria)


Il primo hitlerocomunismo

Per «hitlerocomunismo» deve intendersi la corrente di pensiero politico che sorse nell’estate/autunno 1939, quando i totalitarismi nazista e sovietico si allearono per invadere la Polonia e annettere vari paesi dell’Europa orientale, scatenando così la Seconda guerra mondiale. Gli adepti dell’hitlerocomunismo (in Russia e nel resto del mondo) hanno poi approvato tutte le successive invasioni russe (Paesi Baltici, Finlandia, Cecoslovacchia, Afghanistan ecc.) fino a quella odierna dell’Ucraina. Alla base dell’hitlerocomunismo, vecchio e nuovo, vi è l’idea premoderna (per non dire medievale) che la Russia fosse e sia ancora legittimata nel compiere tali annessioni perché eserciterebbe un suo diritto storico riprendendosi i territori appartenuti all’Impero zarista. Questa posizione - reazionaria nel più pieno senso del termine - la si ritrova espressa più o meno inconsapevolmente nelle giustificazioni attuali per l’aggressione putiniana all’Ucraina e varrà ancora per eventuali possibili future aggressioni (a cominciare dai Paesi baltici).

L’alleanza sovietica col nazismo durò da agosto 1939 a giugno 1941: sono i quasi due anni che videro prendere forma definitiva al progetto di sterminio antiebraico, avviato ancor prima del Patto e che sfocerà nella cosiddetta «soluzione finale», sistematizzata nella Conferenza di Wannsee di gennaio 1942. Una delle «necessità» alle quali rispondeva questa scelta estrema del nazismo fu che nella parte di Polonia assegnata al Terzo Reich dal Patto con Stalin vivevano circa 1.700.000 ebrei: una massa di popolazione ebraica che il nazismo intendeva sterminare, secondo progetti e linee guida messe in opera già da tempo, e ben note a Stalin e al gruppo dirigente sovietico.

Per fissare delle date: il primo dei Konzentrationslager di Auschwitz divenne operativo dal giugno 1940, cioè nel pieno della collaborazione tra nazisti e sovietici; quello di Chełmno (considerato il primo lager di sterminio) nel dicembre 1941, cioè sei mesi dopo la rottura del Patto da parte nazista. Questi e altri campi di sterminio polacchi (come Treblinka, Sobibór, Bełżec) cominciarono a operare «tardi» (cioè nel 1942, «Aktion Reinhard») perché la loro progettazione fu possibile solo dopo l’invasione congiunta della Polonia nel settembre 1939; ma la loro costruzione si realizzò nel quasi biennio dell’alleanza con l’Urss: anzi, fu proprio quell’alleanza che li rese possibili. Sarebbe, però, un grave errore di prospettiva storica datare di lì l’inizio dell’Olocausto perché le persecuzioni antiebraiche erano iniziate in Germania negli anni ‘30: il lager di Buchenwald, per es., situato nella Turingia tedesca, era operativo dal luglio 1937.

Insomma, rispetto alla politica di sterminio antiebraico del nazismo, almeno tre cose furono subito chiare a chi voleva vederle allora (o che speriamo voglia cominciare a vederle chiare oggi): 1) Nello stringere il Patto con Hitler, ai sovietici non interessò minimamente il destino degli ebrei in Germania e nel resto d’Europa: delle persecuzoni antiebraiche non parlarono in documenti, atti ufficiali e sulla stampa. 2) I sovietici non ebbero la benché minima esitazione ad abbandonare quasi due milioni di ebrei polacchi nelle mani di chi intendeva sterminarli. 3) La fraternizzazione staliniana col Terzo Reich richiese che anche sull’Olocausto polacco calasse il silenzio stampa (oltre all’avvio della collaborazione delle rispettive polizie nelle consegne reciproche di prigionieri o nelle deportazioni di interi gruppi etnici).

Dopo l’aggressione nazista all’Urss

Si tenga conto che gli ebrei dell’Urss nel loro insieme non furono uccisi nei lager, ma con esecuzioni e fucilazioni di massa, seguite da seppellimenti in grandi fosse comuni. Ma ciò che normalmente si ignora è che dopo l’aggressione tedesca alla Russia (giugno 1941), il silenzio sovietico sulla Shoah non ebbe termine. Esso continuò negli anni del dopoguerra e il regime di Stalin addirittura ostacolò i tentativi ebraici di far luce sia sull’Olocausto in generale, sia sugli sterminî nei territori sovietici occupati dalla Wehrmacht e dalla Gestapo. 

Confrontiamo alcune macabre cifre: in Italia furono uccisi dal nazismo (alleato col fascismo della Repubblica sociale) circa 7.500 ebrei (in quanto ebrei e non perché comunisti o antifascisti). Ed è innegabile che dal dopoguerra ad oggi in Italia è stato fatto molto (e in misura per fortuna crescente) perché non si dimentichi l’orrore dell’accaduto - ivi comprese le responsabilità anche italiane - e si conservi e sviluppi la memoria dell’Olocausto: la cultura, il cinema, le istituzioni, i partiti, la scuola hanno contribuito a far sì che di questa immane tragedia si conservi la Memoria e non vi si pensi solo il 27 gennaio di ogni anno. [Sto scrivendo alla vigilia della giornata della Memoria 2024 e non posso non fremere d’indignazione alla vista di come quest’anno si è tentato d’infangare la Giornata commemorativa da parte di un risorgente hitlerocomunismo italiano, come tra breve dirò.]

In Urss, nelle parti di territorio occupate dai nazisti dopo il giugno 1941 furono uccisi tra i 2,5 e i 3,3 milioni di ebrei. Dati difficili da elaborare e che possono oscillare all’interno di quelle cifre. (Al riguardo vedi tra gli altri l’ottimo libro di Antonella Salomoni, L’Unione Sovietica e la Shoah, il Mulino 2007.) Ciò significa che nell’Urss fu uccisa circa la metà delle vittime ebraiche dell’intero Olocausto e più della metà della popolazione ebraica complessiva residente in territori sovietici.


Il silenzio staliniano sull’Olocausto sovietico

Ci si sarebbe quindi attesi uno sforzo culturale e istituzionale da parte del regime sovietico per salvare la Memoria di questo immane Olocausto che in Russia fu circa 400 volte più grande di quello avvenuto in Italia. Ma non fu così: i fumi amari dell’hitlerocomunismo - che avevano portato lo stalinismo a fraternizzare col nazismo, nella convinzione che l’alleanza tra i due imperialismi fosse ormai saldamente consacrata dal sangue dei polacchi e degli altri popoli sottomessi - continuarono ad ammorbare l’atmosfera sovietica per molti anni a venire.

«Lo sterminio degli ebrei non fu oggetto di alcuna speciale pubblicazione. Venne largamente ignorato dalle  monografie sulla Seconda guerra mondiale e ampiamente trascurato nelle sillogi di fonti, così come non trovò quasi posto nei libri di testo per le scuole o nei tradizionali repertori» (A. Salomoni, op. cit., p. 9).

Il primo accenno ufficiale allo sterminio antiebraico che comparve in un documento sovietico è del 19 dicembre 1942, cioè circa 18 mesi (!) dopo l’aggressione nazista all’Urss e nonostante il massiccio afflusso di combattenti ebrei nelle file dell’esercito sovietico che si era verificato nel frattempo.

Dopo quella modesta interruzione, il silenzio ufficiale riprese a dominare e anzi il regime staliniano fece di tutto per ostacolare le iniziative che gli ebrei sovietici tentarono di intraprendere per denunciare le dimensioni e l’efferatezza dell’Olocausto nei territori dell’Urss. Funzione di un così assordante silenzio era di impedire il sorgere di una nuova coscienza identitaria da parte degli ebrei sovietici, del tutto incompatibile con lo sciovinismo grande-russo del regime staliniano e con la sua politica repressiva di qualsiasi iniziativa che avesse un odore anche alla lontana di extranazionalismo o cosmopolitismo.


La memoria degli ebrei sovietici

Il 24 agosto 1941 c’era già stato l’incontro dell’intellighenzia ebraica sovietica che nel comunicato finale aveva denunciato lo sterminio avvenuto e ancora in corso nei territori occupati. Nella primavera del 1942 - su iniziativa di Solomon M. Michoels (che verrà assassinato su ordine di Stalin nel 1948, a Minsk) e Šachno Epštejn - fu creato il Comitato antifascista ebraico (Eak) col preciso intento di partecipare attivamente alla guerra antinazista come componente etnica riconosciuta, alla pari degli eserciti formati su base etnica da altre nazionalità sovietiche. Ad esso però s’impose d’essere composto solo da ebrei sovietici. Ragion per cui i due dirigenti del Bund polacco (Partito operaio ebraico) - Henryk Erlich e Wiktor Alter - che avrebbero voluto dargli invece una veste ebraica internazionale, furono arrestati e fatti scomparire tra il 1942 e il 1943. Nemmeno l’Eak, del resto, ebbe vita facile proprio perché tendeva inevitabilmente a diventare uno strumento di riscoperta dell’identità ebraica: le sue disavventure meriterebbero un libro a parte.

Un altro libro a parte (ma per fortuna ne sono stati scritti vari) lo meriterebbe la storia del Libro Nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945 (Чёрная Кнuга, [Čërnaja Kniga], Mondadori). Nacque da un’idea di Albert Einstein e fu compilato per iniziativa di due grandi e celebri scrittori, entrambi ebrei ucraini: Vasilij S. Grossman (1905-1964) e Il’ja G. Ėrenburg (1891-1967). Grazie alla collaborazione con l’Eak, il volume, di oltre 500 pagine, poté ricostruire una gran parte degli eccidi ebraici compiuti dal nazismo in territori sovietici. Esso rimane una testimonianza storica preziosa e insostituibile.

Il manoscritto ottenne il visto della censura nel 1945 e ciò permise di inviarlo in vari Paesi all’estero (compresa l’Italia), ma in Russia non ottenne mai l’autorizzazione alla stampa. Questo perché il regime stava ormai facendo di tutto per impedire che l’Olocausto in Urss si considerasse una tragedia specifica del popolo ebraico e non parte della più generale aggressione nazista ai popoli sovietici. Insomma, il regime ebbe paura e capì che il Libro nero avrebbe dato alimento alle crescenti tendenze identitarie degli ebrei sovietici.


L’antisemitismo sovietico nell’epoca di Stalin

Il tentativo di cancellare i tratti caratteristici dell’ebraismo (sua storia e cultura nei Paesi del blocco sovietico), si inseriva nella più generale lotta alle influenze straniere e al cosiddetto «cosmopolitismo». Tale lotta era stata avviata da Andrej A. Ždanov con la celeberrima risoluzione approvata dal Cc del Pcus il 14 agosto 1946. Uno dei primi effetti che essa ebbe fu il passaggio del controllo dell’Eak al Dipartimento di politica estera del Cc del Pcus, diretto dal grande epuratore Michail A. Suslov. (Questi, entrato nel Pc russo nel 1921, ne uscirà solo da morto, nel 1982, dopo essersi reso corresponsabile di tutte le nefandezze dello stalinismo di Stalin e dei suoi successori).

Un ruolo non secondario nel fomentare la crescente ostilità del regime staliniano verso l’ebraismo - anche se non esplicitamente dichiarata - lo ebbe anche la paura che emergesse alla luce del sole il fenomeno storico rappresentato dalla collaborazione di ampi settori dei popoli sovietici (soprattutto in Ucraina) che erano passati dalla parte del nazismo sperando in tal modo di liberarsi del regime staliniano. Scelte disastrose e represse nel sangue dall’Armata Rossa, che mostravano però quanto odio si fosse accumulato nei popoli sottoposti al giogo sovietico dopo l’illusione di essersi liberati da quello zarista. La verità non doveva emergere nemmeno a questo riguardo.

C’era poi il problema rappresentato dall’esistenza di una sorta di repubblica sovietica ebraica in Crimea e dal fallimento pratico del tentativo di creare un’Oblast’ autonoma ebraica nel Birobidžan, quasi ai confini con la Cina. Tutte pagine di storia molto complesse che furono manipolate a uso e consumo del regime di allora, ma che in rapporto alla questione ucraina sono ancora utilizzate dalla propaganda russa attuale.

Resta il fatto che in Russia fu vietata la pubblicazione del Libro Nero. Se ne ordinò il sequestro, ma alcune copie si salvarono (contenenti, tra l’altro, la prefazione di Albert Einstein che era stata eliminata). Ne uscirono versioni incomplete all’estero e solo nel 1980 a Gerusalemme fu pubblicata la prima edizione in lingua russa, seguita dall’edizione del 1991 a Kiev. L’edizione del 1994 si deve all’impegno di Irina Ėrenburg, figlia di Il’ja, e nel 2014 il libro è stato ripubblicato in Russia dalle Edizioni Corpus.

Stiamo parlando di un libro che ricostruiva la memoria della morte orrenda di quasi tre milioni di ebrei...


La storia dell’antisemitismo negli ultimi anni della dittatura di Stalin è stata ricostruita più volte ed è talmente documentata che qui non si deve far altro che ricordare alcune tappe. [Tra i lavori migliori, quelli curati da Shimon Redlich, War, Holocaust and Stalinism, Routledge 1995, e da Joshua Rubenstein-Vladimir P. Naumov, Stalin’s secret pogrom, Yale 2001.] Con una premessa riguardo allo storico voto dell’Urss - il 29 novembre 1947 - a favore della risoluzione n. 181 con cui l’Assemblea delle Nazioni Unite decideva la nascita dello Stato d’Israele. Quando il 14 maggio 1948 fu proclamato lo Stato d’Israele, tre giorni dopo l’Urss fu il secondo Stato a riconoscerlo, dopo gli Usa. E quando la Lega Araba iniziò l’aggressione contro Israele, l’Urss aiutò il neo-Stato con armi inviate tramite la Cecoslovacchia.

Si conciliava un simile comportamento con la crescente ondata di antisemitismo staliniano?

Sì, indubbiamente. A parte l’illusione politica di Stalin di poter indebolire in questo modo la presenza ingombrante del colonialismo britannico nella regione mediorientale - e magari attrarre a sé il nuovo Stato, all’epoca ancora attraversato da forti pulsioni socialistiche - c’era anche se non soprattutto la volontà di liberarsi del maggior numero possibile di ebrei in territori sovietici. Si spalancò momentaneamente la porta per l’emigrazione e tutti gli ebrei che vollero recarsi a vivere in Israele furono incoraggiati a farlo. Fu un esodo «biblico-staliniano», animato dal proposito di liberarsi di cittadini sovietici difficili da controllare (come effettivamente si vedrà in tutta la storia della dissidenza sovietica negli anni dopo Stalin), difficili da assimilare e soprattutto da irreggimentare nei nuovi schemi repressivi richiesti dall’inizio della Guerra fredda. Un segnale di questi pericoli per il regime fu dato dall’inaspettato successo della visita della delegazione israeliana condotta da Golda Meyerson (Meyer) nell’autunno del 1948.


La repressione antiebraica

Abbiamo già ricordato l’uccisione di S.M. Michoels il 12 gennaio 1948. A novembre dello stesso anno furono chiusi il giornale dell’Eak in yiddish (Eynikayt) e l’unica  editrice ebraica sopravvissuta (Der Emes). Si cominciarono a chiudere le sezioni ebraiche dell’Unione degli scrittori, mentre esponenti ebraici della cultura (universitaria, scientifica, culturale ecc.) venivano gradualmente allontanati dai loro incarichi. L’Eak fu sciolto il 20 novembre 1948, mentre iniziavano gli arresti degli scrittori di nazionalità ebraica: la lista è lunga e ormai la si può leggere in libri di seria documentazione e in alcuni siti on-line.

Nell’agosto 1952 - cioè tredici anni esatti dopo il Patto con Hitler - furono processati a porte chiuse dal Collegio militare del Tribunale supremo tutti i dirigenti dell’ex Eak: 15 imputati e 13 condanne a morte. Fu condannata al carcere solo una donna (Lina Štern) e fu trattato a parte il caso di Solomon Bregman, colpito da collasso e morto in prigione nel gennaio 1953. Nonostante la segretezza delle procedure, si seppe che gli imputati erano stati sottoposti al consueto trattamento riservato a chi doveva confessare colpe inesistenti: interrogatori brutali, torture.

Nell’ottobre 1952 cominciarono gli arresti dei cosiddetti «camici bianchi», cioè il «complotto dei medici» accusati di voler uccidere vari esponenti del regime. E poiché molti di costoro erano ebrei, si è sempre pensato che fosse solo il primo passo per una nuova ondata di repressioni antisemitiche. Non se ne hanno prove certe e nessuno è poi riuscito a decifrare cosa avesse in testa «il magnifico georgiano». E questo perché il 5 marzo 1953 il più grande e più longevo dittatore della storia moderna chiuse finalmente gli occhi. Si disse poi che il «complotto» era stato una provocazione dei servizi segreti e alcune vittime del disciolto Eak furono riabilitate.


L’attuale antisemitismo «di sinistra»

Sono già intervenuto sugli aspetti teorici della questione «legittimità dello Stato d’Israele»: si veda in Utopia Rossa la mia «Risposta ad Albertani» del 26 dicembre 2023. Ad essa rinvio, soprattutto per quanto riguarda la definizione dell’antisemitismo come distinto dall’antisionismo. Per semplificare, definivo «antisemita» chi nega il diritto del popolo ebraico a tenere in vita lo Stato d’Israele che le Nazioni Unite gli hanno assegnato 77 anni fa. E delimitavo il mondo dell’antisionismo a chi, pur riconoscendo il diritto all’esistenza di uno Stato democratico israeliano, si oppone al suo carattere confessionale, ai suoi regimi di destra sorretti dalle componenti più fanatiche dell’ebraismo, ai provvedimenti antipalestinesi, al furto di terre in Cisgiordania e tutto il resto. Di questo antisionismo mi sento parte da sempre, avendo anche compiuto una delle esperienze più istruttive della mia vita trascorrendo nel 1966 un periodo di studio e lavoro in uno dei più avanzati kibbutzim dell’epoca (il kibbutz Lahav).

Le questioni teoriche sono più che chiare, per chi vuole studiare, capire e giungere a delle conclusioni compatibili con la realtà attuale dell’esistenza irreversibile di Israele: una democrazia imperfetta (soprattutto perché confessionale) che vede la sua esistenza in continuazione minacciata dalla volontà sterminatrice di alcune entità o Paesi islamici, con l’orrenda dittatura iraniana in prima fila. Nel testo citato definivo il regime dell’Iran un’autentica «vergogna per l’umanità».

Alla chiarezza delle questioni teoriche non corrisponde però altrettanta chiarezza nelle questioni politiche, anche per ragioni emotive: ci sono di mezzo popoli che soffrono, bambini vittime innocenti, bombardamenti di popolazioni palestinesi, missili su popolazioni israeliane, stupri e pogrom antiebraici, dichiarazioni di guerra unilaterali. Mi riferisco all’azione di Hamas compiuta proprio allo scopo di provocare la grave rappresaglia, incurante del male che avrebbe causato al suo stesso popolo.

Ma soprattutto ci sono tanti giovani italiani, europei, nordamericani ecc. che scendono in piazza con passione a manifestare il loro sostegno all’islamismo sterminatore di Hamas, dell’Iran, del Qatar, di Hezbollah e ora anche degli Houti. Non sanno nulla o quasi nulla della questione palestinese, della questione ebraica e del perché si è giunti a tale situazione drammatica. Reagiscono emotivamente alla tragedia di un popolo che soffre, senza stare a chiedersi se ci siano responsabilità della vecchia Lega Araba con la sua prima aggressione nel 1948; se non ci sia stato un cinico gioco da parte del governo sovietico nell’alimentare la politica fallimentare e suicida di Al Fatah/Olp; se gli Stati arabi più ricchi non abbiano altrettanto cinicamente usato la causa palestinese come arma diplomatica o di ricatto commerciale; se sia stato giusto da parte di questi stessi Stati tenere per decenni i profughi palestinesi in campi-ghetto, invece di assimilarli nelle proprie strutture sociali (come invece è avvenuto sia per i 7-800.000 ebrei espulsi dai Paesi arabi, sia per gli arabi rimasti in Israele).

Non si può non vedere, però - soprattutto nel caso italiano, ma non solo - che questi movimenti di giovani manifestanti o membri di gruppi di presunta «estrema sinistra» sono animati per lo più dagli stessi hitlerocomunisti che rifiutano di solidarizzare col popolo ucraino. Hitlerocomunisti - dichiarati o inconsapevoli - che, nella richiesta di arrendersi (camuffata da «pace» o «tregua») rivolta all’Ucraina fin dal primo momento, si schierano inevitabilmente dalla parte degli aggressori, cioè dell’invasione neocolonialistica di Putin. Ora però non chiedono ad Hamas di arrendersi e consegnare gli ostaggi.

Giovani che non fanno più alcuna differenza tra democrazie e dittature, ma anzi sembrano a volte prediligere proprio quest ultime a scapito della loro stessa esperienza di vita, che invece si svolge in paesi imperfettamente democratici o postdemocratici, nei quali essi non accetterebbero nemmeno la più microscopica riduzione dei loro diritti (ignorando tuttavia il come e il quando questi loro diritti sono stati conquistati). C’è una componente razzistica in questo ritenere che la democrazia vada difesa in Italia o in Occidente, quindi per noi stessi, e sia invece superflua per gli altri, i popoli poveri e oppressi. Come è tendenzialmente razzistico approvare gli atti di terrorismo di Hamas e Hezbollah, giustificandoli con la loro arretratezza politica e culturale, mentre in patria si difende - giustamente - fino all’ultimo comma del diritto di sciopero.

Insomma, tra ignoranza e rifiuto della democrazia (per gli altri, insisto) emerge l’immagine di un mondo antisraeliano culturalmente confuso e teoricamente disarmato. Un mondo in cui la lotta contro lo Stato d’Israele diventa un’entità astratta, visto che non si sa che fine dovrebbero fare le israeliane e gli israeliani (ebrei, non ebrei, vari tipi di ebrei, arabi, cristiani, protestanti, atei ecc.).

La lotta a favore dei movimenti palestinesi che vogliono distruggere Israele e sterminare il suo popolo (come recita la Carta costituzionale di Hamas del 1988, ma viene in continuazione ripetuto in tutti i comunicati, anche i più recenti), significa negare al popolo ebraico il diritto di essere nazione e il diritto di avere un proprio Stato. E questo è antisemitismo, addirittura genocida nelle intenzioni, anche se nessuno di questi giovani ha chiaro cosa sia il genocidio o quale storia stia dietro questa definizione giuridica, autentica conquista dell’umanità pagata con le vite di sei milioni di esseri umani.

Hamas in continuazione dichiara intenzioni genocide verso il popolo ebraico, in genere facendo appello anche al martirio dei poveri palestinesi ed evocando la volontà d’Allah. Lo stesso fanno l’Iran e Hezbollah. L’Arabia Saudita e l’Egitto hanno smesso da un po’ di tempo di farlo, ma anche in questi paesi esistono correnti mussulmane fanatiche, antisemitiche che continuano a invocare Allah perché si decida finalmente a far scomparire gli ebrei dalla faccia della terra.

Ma questo antisemitismo si può considerare anche razzista? La risposta è no e mi avvio a conclusione, tornando anche al tema iniziale dell’antisemitismo staliniano.

L’antisemitismo hitleriano fu certamente razzista, giacché il suo disprezzo per gli ebrei si fondava anche su teorie pseudoscientifiche, pseudoantropologiche, pseudodemografiche, pseudobiologiche ecc.: razziali in questo senso del termine. Il loro massimo punto di riferimento teorico poteva essere il conte Joseph Arthur de Gobineau (1816-1882) che nel suo Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane (1853-54) aveva posto le basi di tutte le moderne teorie razzistiche, sviluppate poi in ambienti positivisti (Lombroso, Le Bon ecc.) e altrove. Ebbene l’antisemitismo nazista (come quello dei segregazionisti negli Usa o degli attuali suprematisti, «potere bianco» ecc.) era pienamente razzista per la sua adesione a teorie razziali. Non sembri un gioco di parole.

Non si può però dire lo stesso dell’antisemitismo staliniano o sovietico, che non accennarono mai, neanche inconsapevolmente, a caratteristiche biologiche o razziali nelle loro campagne antiebraiche. E se per caso lo avessero voluto fare, avrebbero dovuto scomodare Trofim D. Lysenko (1898-1976) e le sue pseudoteorie genetiche che Stalin fece diventare un dogma ad agosto 1948, nonostante gli effetti disastrosi che avevano avuto sulla già tanto disastrata agricoltura sovietica.

L’hitlerocomunismo staliniano fu antisemita in senso politico e non razziale. E tali sono oggi i giovani che in preda a isteria antiebraica, inneggiano ad Hamas e più o meno inconsapevolmente chiedono la distruzione d’Israele e lo sterminio dei suoi popoli (Non si rendono conto, infatti, che proprio questo accadrebbe se Hamas e l’Iran per disgrazia riuscissero a prevalere, con conseguenze devastanti come la crescita delle componenti più barbare dell’islamismo, già in piena crescita per conto loro.)

Insomma, questi giovani politicamente antisemiti - non razzisti, ma sostenitori delle dittature purché in casa altrui, filoputiniani senza accorgersene, molti anche no-Vax (e ciò non è da sottovalutare perché dice molto sul loro rapporto col sapere e con la scienza), mobilitabili oggigiorno tramite i social e i telefonini (altro che noi del Vietnam con i volantini e le riviste teoriche!) - questi giovani, dicevo, stanno vivendo un loro rito giovanile di iniziazione collettiva.

Dove approderanno? L’antisemitismo, il fioloputinismo, l’antidemocrazia e il disprezzo per la scienza potrebbero far prevedere il peggio. Ma poi, trattandosi di una fase transitoria, per l’appunto giovanile e da rito di iniziazione, non è detto che vadano a finire peggio delle decine o centinaia di migliaia di giovani che «hanno ballato una sola estate» (nel ‘68) e poi rientrarono nei ranghi del sistema, scoprendo troppo tardi che quei ranghi erano pessimi e che avrebbero fatto molto meglio a continuare a lottare, ma soprattutto a studiare il funzionamento del sistema contro il quale avevano tentato da giovani di combattere.

Shalom e buona giornata della Memoria.


www.utopiarossa.blogspot.com



giovedì 25 gennaio 2024

Nuove ipotesi sul Priamar prima della distruzione genovese.


 Da qualche tempo, grazie al lavoro meritorio di associazioni fra cui il Rotary, è avvertibile una ripresa di interesse per il Priamar, vero simbolo identitario di Savona troppo a lungo trascurato, come altre eccellenze savonesi (vedi Palazzo Santa Chiara) da chi per vocazione istituzionale dovrebbe farsene più carico, ma preferisce seguire la più comoda via della politica spettacolo. Diffondiamo con piacere quanto ricevuto in merito dalla Società Savonese di Storia Patria.

sabato 20 gennaio 2024

Antonio Gramsci, Discorso contro la messa fuorilegge della Massoneria

 


Con questo discorso, pronunciato alla Camera il 16 maggio 1925, Gramsci intervenne contro il disegno di legge Mussolini-Rocco rivolto contro la Massoneria. Quella di Gramsci fu l'unica voce che si alzò coraggiosamente contro un progetto di legge liberticida che intendeva colpire la Massoneria, accusata di essere una associazione segreta antinazionale e asservita allo straniero, ma in realtà poneva le premesse di una futura messa al bando di ogni associazione considerata nemica del regime. Come lucidamente preannunciato da Gramsci, più volto interrotto da Mussolini, la messa fuori legge della Massoneria avrebbe segnato di fatto la fine della democrazia in Italia. Da notare nell'intervento del dirigente comunista il tentativo di una prima approssimativa definizione della natura sociale e del ruolo storico svolto dalla Massoneria in Italia nel Risorgimento e poi nella costruzione dello Stato unitario. Tentativo che avrà poi la sua definitiva sistemazione nei Quaderni del carcere.

G.A.

Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu

venerdì 19 gennaio 2024

Il trionfo dell'ipocrisia: celebrare il Giorno della Memoria parteggiando per Hamas

 














Il trionfo dell'ipocrisia: celebrare il Giorno della Memoria parteggiando per Hamas


Se i fatti del 7 ottobre rappresentano con i loro orrori il ritorno delle mostruosità della Shoah, la reazione pro-palestinese, se non apertamente filo-Hamas, di larga parte della sinistra, in Italia e non solo, dimostra il fallimento totale della convinzione che il Giorno della Memoria sia un argine efficace a che tali eventi si ripetano ancora. Spacciato per antisionismo il vecchio antisemitismo è tornato alla luce alla prima vera verifica, confermando di essere profondamente radicato nel modo di pensare anche di quella parte del mondo occidentale che pure annualmente piange su ciò che accadde ottanta anni fa in Europa. Lo dimostra l'equiparazione degli integralisti islamici di Hamas ai partigiani, gridata nei cortei e sui media e non solo da gruppi deliranti della sinistra estrema, così come l'indifferenza totale mostrata il 25 novembre nei cortei "fucsia" nei confronti delle donne israeliane stuprate, rapite, uccise nei modi più orribili.

Un antisemitismo che è prima di tutto rifiuto dell'ebraismo, dell'ostinata volontà degli ebrei di voler restare sé stessi, che li fa percepire ancora oggi a molti come estranei e dunque potenzialmente pericolosi. I "perfidi giudei" assassini di Cristo, come si predicava ogni domenica nelle chiese fino al Concilio Vaticano Secondo. I nemici dell'ordine costituito, come rivelato dai Protocolli dei savi di Sion, ispiratori della rivoluzione francese e di quella russa, mediante l'azione di Massoneria e bolscevismo entrambe longa manus dell'ebraismo internazionale. Gli avidi prestatori di soldi ad usura, diventati oggi per la propaganda sovranista registi occulti di una Europa dei banchieri acerrima nemica dei diritti e dell'autentica volontà dei popoli.

E allora quest'anno meglio tacere, evitare discorsi retorici, pianti ipocriti sulla Shoah e magari dedicare un paio d'ore a leggere un libriccino come Nietzsche e gli ebrei, uscito nel 2011 per Giuntina.

Vi troveremo passo dopo passo attraverso scritti e brani di lettere a parenti e amici l'evoluzione del filosofo tedesco da un giovanile e rozzo atteggiamento antisemita, alimentato dalla cultura wagneriana e dal culto del nazionalismo bismarckiano, ad una matura visione dell'ebraismo che lo rese, come scrive Jacob Golomb in un intervento molto bello, "alla fine della sue breve vita uno dei più fedeli amici del popolo ebraico che sia mai vissuto tra i Gentili".




venerdì 12 gennaio 2024

Chiesa cattolica e Massoneria negli anni della Ricostruzione (1945-1949)

 


È disponibile sul sito www.academia.edu l'ultimo dei quaderni dedicati alla storia della Massoneria. Ne proponiamo l'introduzione. 


Quale fosse il clima esistente in Italia negli anni della Ricostruzione emerge con grande chiarezza dalla ricerca dello storico cattolico Andrea Riccardi sui rapporti fra il Vaticano e la Democrazia Cristiana (A. Riccardi, Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, Laterza, RomaBari , 2023).

Nel libro Riccardi pubblica per la prima volta i verbali degli incontri, tenuti rigorosamente segreti, fra Alcide De Gasperi e monsignor Pietro Pavan (delegato dal cardinal Tardini prosegretario della Segreteria di Stato della Santa Sede). Dai documenti si evince come il Pontefice rimproverasse alla DC e in particolare al suo leader De Gasperi di mantenere un impegno insufficiente contro il PCI nonostante il rischio che questi, sfruttando i meccanismi della riconquistata democrazia, potesse arrivare al potere per vie legali. Pericolo che andava ad ogni costo scongiurato, aprendo a destra a monarchici e missini, limitando per legge la libertà di stampa e riducendo il peso dei partiti laici di governo, soprattutto di quel Partito Repubblicano, considerato anticlericale e strettamente legato alla Massoneria.

Se questa era la posizione del vertice della Chiesa, non può stupire che nel Paese si andasse via via sviluppando una accesa campagna antimassonica con pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche locali che in alcuni casi non esitavano a riprendere e rilanciare il tema caro alla propaganda fascista della Massoneria come forza antinazionale, responsabile di non aver permesso al Congresso di Versailles che l'Italia potesse godere a pieno dei frutti della vittoria. Insomma l'antica polemica sulla "vittoria tradita" per colpa di una Massoneria asservita alla grande finanza internazionale.

Argomenti - va detto - destinati a riapparire decenni più tardi, in un'Italia completamente trasformata, ma dove il pregiudizio antimassonico persiste inalterato, nelle tesi di forze politiche come la Lega, Fratelli d'Italia o Movimento 5 Stelle contro l'Europa dell'alta finanza, ovviamente espressione della Massoneria internazionale, o nei deliri da tastiera sul "caso Soros", versione aggiornata del complotto "pluto-giudaico-massonico" di mussoliniana memoria.

Tornando al tema del presente quaderno, abbiamo creduto di un qualche interesse storico riprendere alcuni fra i più significativi interventi delle gerarchie ecclesiastiche del tempo, come la circolare del vescovo di Marsica e Potenza del febbraio 1945, il pronunciamento dell'episcopato ligure della seconda metà del 1947 e di quello calabrese del gennaio 1949. Il tutto non per rinfocolare polemiche, ma a dimostrazione di una continuità di posizioni e atteggiamenti destinata a durare almeno fino ai primi anni Sessanta e al Concilio Vaticano II. Conclude il quaderno un discorso tenuto nell'autunno 1947 dal Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Guido Laj, che testimonia efficacemente delle posizioni della Massoneria in una Italia che, faticosamente e con grandi contraddizioni, cercava, nonostante le ingerenze ecclesiastiche, di superare il passato fascista e di allinearsi alle grandi democrazie laiche occidentali.

G.A.

lunedì 8 gennaio 2024

1974. Il referendum sul divorzio e la Massoneria

 


Proponiamo un'altra pagina dalle bozze della ricerca in corso sulla storia della Massoneria nell'Italia repubblicana.

Il referendum sul divorzio e la Massoneria


Il 1974 fu l'anno del referendum sul divorzio, previsto per il 12 e 13 maggio. Un referendum fortemente voluto dal Vaticano che non aveva mai accettato la legge del 1970.

Pur di evitare quella scadenza , che metteva a rischio i rapporti intessuti con la DC e le gerarchie ecclesiastiche, il PCI cercò in ogni modo di trovare una soluzione parlamentare, proponendo una revisione al ribasso della legge, già molto moderata. Tentativi vanificati dai partiti antidivorzisti (DC, MSI e SVP), che erano in maggioranza alla Camera.

Il segretario della DC Fanfani pensò che il referendum potesse rilanciare una maggioranza moderata e spostare a destra l'asse politico e trasformò il referendum in una aspra battaglia politica, pro o contro la DC, contando su una mobilitazione totale della Chiesa e delle organizzazioni cattoliche che invece non ci fu. Si dichiararono infatti per il "No" le ACLI, il cosiddetto movimento dei cattolici democratici, oltre che l'area del dissenso il cui esponente più noto, l'abate dom Franzoni, fu sospeso a divinis.

Inoltre, secondo Fanfani, caricare di significati politici quello che sarebbe dovuto rimanere una semplice consultazione referendaria sul tema dei diritti civili, avrebbe portato una parte significativa dell'area laica moderata (PSDI-PRI-PLI) a pronunciarsi per l'abolizione della legge in nome del pregiudizio anticomunista.

Fu un fallimento totale. I "No" furono il 59,26%. I partiti antidivorzisti persero complessivamente, rispetto alle lezioni politiche precedenti, oltre l'8% dei voti. La credibilità politica di Fanfani ne uscì irrimediabilmente compromessa. E, nonostante le sue incertezze iniziali e una campagna elettorale sostanzialmente sottotono, il PCI ne uscì come il vero vincitore.

Da sempre il Grande Oriente era stato, in nome della totale laicità dello Stato, il principale fautore dell'introduzione anche in Italia del divorzio. Fin dal 1966 la « Rivista Massonica » aveva dato ampio spazio alla questione, auspicando l'introduzione, nella legislazione italiana, di una normativa che fosse al passo con quella degli altri paesi dell'Occidente. Ci si sarebbe dovuto dunque aspettare una decisa  discesa in campo della Massoneria a sostegno del campo divorzista ed invece il Grande Oriente d'Italia decise di tenere una posizione sottotono, di fatto, come il PCI, auspicando una soluzione di compromesso che non portasse ad uno scontro aperto con la Chiesa. A questo scopo ogni mezzo fu attivato, compresa la mobilitazione dei suoi membri presenti in parlamento soprattutto nei partiti laici moderati. Poi una volta chiaro che il referendum si sarebbe comunque tenuto, la scelta fu quella di mantenersi defilati, al di fuori della competizione, nonostante la storia stessa dell'Istituzione facesse pensare ad un suo attivo coinvolgimento. Posizione chiaramente enunciata alla vigilia della votazione referendaria con un discorso del Gran Maestro in carica:

«Noi – affermò Salvini il giorno antecedente il referendum in occasione dell'inaugurazione di due nuove logge in Umbria - abbiamo sentito il dovere di cercare di tutelare la pace nel nostro Paese non facendo politica, non prendendo e non imponendo soluzioni di parte, rifuggendo dalla politica in senso stretto.

Poiché molti nostri Fratelli svolgono direttamente questa attività, spesso con funzioni di responsabilità prevalente [sottolineatura nostra], ho potuto avvalermi del loro aiuto per avvicinare gli uomini cui è affidata la guida del nostro Paese, nel tentativo di ricercare le vie per evitare questo referendum. Dubbioso non del risultato per sé medesimo quanto del pericolo per quella pace religiosa che noi desideriamo, nella prospettiva che gli uomini possano essere uguali, liberi e fratelli a qualunque religione o fede appartengano. Eravamo incoraggiati nella speranza della constatazione che nelle dichiarazioni conciliari sempre più rara era apparsa la logica del potere temporale.

Ma il referendum è stato voluto. E di fronte a noi si è parato il problema della scelta della via da seguire: da un lato quella tradizionale per il nostro Paese, caratterizzata da manifesti, da prese di posizione sul giornale, da affermazioni pubbliche, dall'altro la via che è più consona alla nostra essenza e che si estrinseca nell'alimento morale di coloro che sono preposti a certe battaglie. E ci siamo detti che prima di tutto noi rappresentiamo un'élite e non una massa capace ad influenzare il risultato con la quantità dei voti; abbiamo considerato che se è già difficile per il massone comprendere il significato della Massoneria, è ancora più arduo per i profani comprendere il senso della firma della Massoneria italiana su di un manifesto.

E quanti sono nel nostro Paese coloro che non sanno assolutamente nulla della libera Muratoria e quelli che ne hanno una visione distorta dalla propaganda degli avversari? Sicché i nostri eventuali interventi avrebbero potuto avere risultati contrari all'intenzione. Nella nostra azione di Magistero abbiamo raccomandato ai Fratelli, che operano e vivono nel mondo politico, di tenere un atteggiamento consono alla preparazione avuta nel Tempio, di essere conseguenti ma tolleranti, di non assumere posizioni che potessero in qualche modo turbare l'animo del popolo italiano, affinché questo potesse esprimere il proprio convincimento in piena serenità. Essi non dovevano lasciarsi provocare da coloro che volevano trasportare il referendum sul piano politico al fine di distrarre l'elettore dalla logica di una scelta etica sul piano della libertà. Domani l'altro sapremo l'esito. Io credo però che la Massoneria italiana sorte da questo episodio a testa alta, con la dignità di essere stata al di sopra del dibattito, convinta di aver fatto tutto ciò che è possibile per facilitare lo sviluppo dell'Umanità, convinta di aver fatto tutto ciò che è possibile affinché gli uomini non si dividano fra di loro per motivi di religione». (Rivista Massonica n.5 maggio 1974)

Una scelta che lasciò interdetti molti fratelli, convinti che la via sarebbe stata quella che lo stesso Salvini ammetteva essere coerente con la tradizione del GOI. Una scelta che, ancora oggi lascia sconcertati, visto il carattere risibile degli argomenti avanzati dal Gran Maestro, sia l'inesistente peso elettorale, come se l'influenza "politica" della Massoneria fosse misurabile in termini di voti, sia il non voler fornire argomenti alla propaganda antidivorzista. Ma quali argomenti avrebbe potuto fornire una netta discesa in campo se non quelli che l'ala più retriva del fronte del SI, ed in particolare i cattolici integralisti e i neofascisti del MSI, utilizzavano già a piene mani rispolverando i vecchi temi del complotto massonico e dell'odio anticristiano?

Più realisticamente viene da pensare che altre e ben più prosaiche fossero le motivazioni di questa decisione inaspettata. Prima di tutto evitare, a due anni dal riconoscimento da parte della Gran Loggia Unita d'Inghilterra, di riproporre l'immagine di una Massoneria italiana anticlericale ed eccessivamente impegnata in campo politico. Immagine che aveva impedito per oltre un secolo il riconoscimento inglese. E poi che non si volesse turbare il lavoro della commissione mista sui rapporti con la Chiesa cattolica, voluta da Gamberini e confermata da Salvini, in un momento in cui si pensava di essere finalmente alle soglie di una soluzione definitiva della questione e ad una svolta radicale del Vaticano. Augusto Comba, allora ancora influente membro del vertice del GOI, afferma esplicitamente come « i componenti del gruppo di lavoro ebbero l'impressione che la soppressione dell'antica scomunica comminata ai fedeli ascritti alla Libera Muratoria fosse imminente» (Augusto Comba, I volti della Massoneria del secondo dopoguerra, in: Zeffiro Ciuffoletti-Sergio Moravia (a cura di), La Massoneria, Oscar Mondadori, Milano 2004, p. 284) Sensazione rafforzata dalla pubblicazione sul numero di novembre 1974 di «Civiltà Cattolica» della lettera inviata il 16 luglio dal cardinale Seper, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, al cardinal Krol, presidente della Conferenza episcopale nordamericana in cui si diceva che il canone 2335 del Codice di diritto canonico, quello riguardante la scomunica, toccava «soltanto quei cattolici iscritti ad associazioni che veramente cospirano contro la Chiesa». Una sensazione che, come vedremo meglio più avanti, si sarebbe rivelata del tutto illusoria.

Anche Gelli, ma siamo nel campo grigio delle ipotesi, probabilmente influì su questa decisione, nella prospettiva propria dei circoli atlantici che prioritario fosse far argine all'avanzata del PCI. La campagna referendaria si accompagnò infatti ad un avvertibile tintinnar di sciabole. L'anno 1974 fu l'ultimo anno della cosiddetta strategia della tensione iniziata con la strage di Piazza Fontana del dicembre 1969 e culminata a Brescia nell'altrettanto sanguinosa strage di Piazza della Loggia, a due settimane dall'esito del referendum, quando, come sottolinea Aldo Giannuli in un suo recentissimo lavoro su Giulio Andreotti, «la spinta ad associare il PCI alla maggioranza [di governo. Aggiunta nostra] diventava irresistibile». (Aldo Giannuli, Andreotti. Il grande regista, Ponte alle Grazie, Milano 2023, p.289). Ma anche di questo tratteremo meglio più avanti.