TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 29 marzo 2014

Omaggio a Sergio Biancheri e Sergio Gagliolo (ricordando Guido Seborga e Francesco Biamonti)



La mostra è un omaggio a due amici che compiono, a distanza di due soli giorni, gli ottant'anni: Sergio Biancheri (nato il 30 Marzo del 1934) e Sergio Gagliolo (nato il 10 Aprile dello stesso anno). 

Bella coincidenza da festeggiare queste due vite che si possono definire parallele : stesso luogo e data di nascita, stessa passione per la pittura e l' ...arte, stessi maestri (tra i quali Giuseppe Balbo in primis, e anche Enzo Maiolino ), stesse frequentazioni e amicizie ( Seborga, Biamonti, Morlotti, Nico Orengo solo per citarne alcune ), stessi ambiti culturali (Bordighera, Milano, Costa Azzurra). 

Due esistenze dedicate alla pittura, che si incrociano nella vita e in innumerevoli esposizioni. Vogliamo qui ricordare quelle organizzate, nei primissimi anni sessanta alla 'Buca', dall' Unione Culturale Democratica che attesta pubblicamente, con questa mostra, la stima, la riconoscenza e l'affetto per due pittori di meritato successo.

Auguri!


Giorgio Loreti

venerdì 28 marzo 2014

La Rafanhauda. Quale concezione di montagna?




Stampato il nuovo numero della rivista La Rafanhauda. Contiene tra l'altro una interessante riflessione di Alessandro Strano sul concetto di montagna nella attuale società. La montagna, nota l'autore,  viene vista come luogo da conservare intatto o da sfruttare in modo distruttivo. Due visioni che paiono inconciliabili e invece sono complementari, perchè entrambe non tengono conto degli abitanti della montagna, della loro cultura e della loro vita. In entrambi i casi, “paradiso verde” o luogo della speculazione (comunque motivata: Olimpiadi 2000 o TAV) la montagna è ridotta a appendice della città, in un rapporto (diciamo noi) di tipo neocoloniale. Situazione, riteniamo, ancora più oppressiva, là dove (come nelle valli occitane piemontesi o in Sardegna) vivono minoranze nazionali, popoli senza Stato. In questo caso l'alienazione è duplice e riguarda oltre al territorio anche le collettività che lo popolano. Uomini e donne espropriati non solo della loro terra, ma anche della loro identità collettiva.

(G.A.)

Sommario

Alessandro STRANO, Qu’una concepcion de montanha?...
Valerio COLETTO, Countrat d’aprêntissagge á jouar dë la vioulo
Giuliana GAY EYNARD, Valle della Dora Riparia e Pinerolese: viticoltura di montagna?
Valerio COLETTO, Arrantament dë doue péce dë vinnho
Valerio COLETTO e Alessandro STRANO, Le Pielón de Chaumont
Daniele PONSERO, Bram. Atende. Pieroun (pouesie)
Alessandro STRANO, Anotacions linguisticas sus termens chavats de las poesias de Ponsero
Marco JALLIN, Chaumont Chiomonte. Jamais sans toi
Valerio COLETTO, La rëbatisso dou Pountet dë la Váuto
Sergio DALMASSO, Settanta anni dopo: il sacrificio di Boves
Alessandro STRANO, Classica e colettiana. Appunti circa le due convenzioni grafiche adottate da La Rafanhauda per trascrivere l’occitano..


Per informazioni o richiesta copie:
larafanhauda@gmail.com

giovedì 27 marzo 2014

Il viaggio del fiume rubato al Nuovofilmstudio di Savona



“Officine Doc”

Il viaggio del fiume rubato
Venerdì 28 Marzo 18:00
Nuovofilmstudio Savona

Officine Doc – Spazio al documentario! Ciclo di documentari alla presenza degli autori

Con “Officine Doc” Nuovofilmstudio vuole restituire spazio e visibilità al film documentario, fondamento della storia del cinema e testimonianza della realtà in continuo mutamento. Siamo convinti che il recente successo ottenuto dai documentari nei principali festival italiani significhi necessità di riflessione sul mondo, sull’agire dell’uomo e sulle dinamiche di una realtà sempre più complessa. Ridare voce agli attori sociali è ridare forza all’esperienza: esperienza del reale vista attraverso l’occhio di registi affermati che operano per raccontare storie di umanità e impegno, e di autori esordienti che con produzioni dal basso e grandi sforzi, tentano di dare voce a piccoli mondi, locali ma universali. Per queste esperienze (esperienza del regista, del soggetto e in ultimo dello spettatore) riteniamo fondamentale la presenza degli autori che ci accompagneranno nella visione delle loro opere.

Il viaggio del fiume rubato
di Diego Scarponi
con Andrea Perdicca e Federico Canibus
Italia 2014, 50’

La storia di uno spettacolo, di un viaggio, di una lotta: attrezzatura sul carrello, bagagli in spalla e via su treni regionali per restituire a tutti una storia di tutti, il caso ACNA, la resistenza durata un secolo contro la fabbrica della morte, la narrazione di Andrea Pierdicca “Il racconto del fiume rubato” che, accompagnato dalla chitarra inedita di Federico Canibus, racconta liberamente i passi salienti di “Cent’anni di veleno”, il capolavoro di Alessandro Hellmann, una lotta sul piano ambientale, della salute, della vita. “Ci siamo messi in movimento, per una settimana, nel caldissimo mese di luglio 2012, affrontando le tappe del viaggio del ‘Fiume rubato’ secondo le modalità che hanno costruito la logica affascinante di questo spettacolo teatrale che ha scelto di uscire dai teatri e di svolgersi in maniera popolare, diretta, orizzontale, libera e gratuita”.




mercoledì 26 marzo 2014

Il ricordo e l'opera di Giuseppe Cava



Sabato 29 marzo, 
alle ore 16.00, 
presso la Sala Rossa del Comune di Savona
si terrà la presentazione del libro
“Il ricordo e l’opera di Giuseppe Cava”
di Giuseppe Milazzo


domenica 23 marzo 2014

Riccardo Accarini Machinery



Orario: 16,30 – 18,30 (chiuso il lunedì)
Ingresso libero


Info:
348 3575118
r.accarini@libero.it


Stragi naziste. La mappa mancante



A settant'anni dalle eccidio delle Fosse Ardeatine pubblichiamo larghi stralci di un articolo sulle stragi “dimenticate” apparso sulll'ultimo numero del giornale dell'ANPI, I resistenti.

Giorgio Amico

Stragi naziste: la mappa mancante

“Sembra incredibile, ma a settant’anni dai fatti, nonostante le centinaia di pubblicazioni, le mostre, le ricerche locali condotte dagli Istituti per il movimento di Liberazione, le commissioni d’inchiesta parlamentari, le commissioni internazionali, i processi, le inchieste giornalistiche... ebbene, nonostante tutto questo, non esiste ancora una mappa precisa delle stragi compiute dai nazisti contro i civili italiani tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Gli episodi maggiori sono arcinoti, dalla rappresaglia delle Fosse Ardeatine del marzo 1944 agli eccidi di Monte Sole e Marzabotto, tra il 29 settembre e il 4 ottobre 1944, che con oltre 1.800 vittime, tra cui centinaia di bambini e donne, rimane l’episodio più cruento di questo tipo in tutta la guerra europea. Ma dalle maglie tessute dagli storici mancano tanti fatti minori, avvenuti per esempio al Sud.”

Scrive così Paolo Pezzino, professore di storia contemporanea presso l'Università di Pisa, nel volume Le stragi nazifasciste del 1943-1945 tra memoria, responsabilità e riparazione, curato dall'ANPI nazionale e che prende spunto dal Convegno che l’Associazione ha tenuto, in una sala del Senato, il 29 gennaio 2013.

Un convegno pensato proprio per far conoscere una realtà finora trascurata e presentare un ambizioso progetto di ricerca, da svolgersi in due anni a cura dell'ANPI e dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli), finalizzato alla realizzazione di un ''atlante delle stragi nazifasciste'' compiute in Italia tra il 1943 e il 1945.



Gli “armadi della vergogna” e l'insabbiamento delle responsabilità giudiziarie (e politiche)

Emblematica di questa situazione di mancato impegno è la questione dei cosiddetti “armadi della vergogna”. Il primo ritrovato casualmente nel corso di altre indagini nel 1994 nei locali del Tribunale Militare di Roma e contenente 695 fascicoli e un Registro generale riportante 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l'occupazione nazifascista.

Il secondo scoperto nel 2004 a Bologna nei sotterranei del Comando regionale dei carabinieri dell’Emilia-Romagna e riguardante 163 episodi avvenuti in regione che, solo nella provincia di Bologna, causarono 422 vittime.

Nei fascicoli vengono descritti luoghi, date, nomi dei morti e dei presunti colpevoli. Materiali occultati ai giudici con il risultato di rendere impossibile l'accertamento delle responsabilità.

Lo scandalo derivato dai fatti del 1994 portò prima allo svolgimento di un'indagine conoscitiva da parte della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (2001) e poi all'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta (2003-2006).

Un'indagine di ampio respiro che permise la raccolta di circa 80 mila documenti, ma a cui non seguì alcun intervento concreto. La commissione produsse due documenti conclusivi che non furono mai discussi a causa soprattutto di un centrodestra tutto teso a minimizzare quanto accaduto e a negare l'esistenza di precise responsabilità da parte dei massimi vertici politici e militari dell'epoca a partire da Giulio Andreotti, per molti anni ministro della difesa e dunque personaggio centrale nella vicenda.

Un nulla di fatto sconcertante se solo si considera come dai materiali raccolti fossero emerse indicazioni precise che permettevano di fare luce sui retroscena di questa gigantesca operazione di insabbiamento e sulle responsabilità politiche che l'avevano resa possibile. Indicazioni raccolte e sistematizzate nella relazione di minoranza che permettono di delineare una pista “atlantica” e una dei “Servizi”.

Come nelle inchieste sulle stragi nere degli anni '70 l'indagine parlamentare rivelava l'esistenza di complicità e connivenze con ambienti che ritroveremo coinvolti, tanto per citare il caso più eclatante, nella rete NATO Stay Behind (Gladio) e ai quali occorreva garantire protezioni e coperture in cambio della loro partecipazione a progetti eversivi di contenimento (in particolare in Italia, ma anche nel resto d'Europa) della crescita delle sinistre e del movimento operaio.

Il tutto ambientato nel contesto internazionale della guerra fredda che dettava la “ragion di Stato” per cui a partire dalla fine degli anni Quaranta le indagini e i processi contro i responsabili delle stragi andavano fermate per mantenere buoni rapporti con una Germania che stava assumendo un ruolo centrale nei piani politico-militari NATO di contenimento dell'URSS. Un elemento considerato centrale già nel 2001 dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati:

“Dalla breve indagine – si legge nella relazione finale – che la Commissione Giustizia ha svolto è emersa con tutta evidenza che l'inerzia in ordine all'accertamento dei crimini nazifascisti sia stata determinata dalla 'ragion di Stato', le cui radici in massima parte devono essere rintracciate nelle linee di politiche internazionali che hanno guidato i Paesi del blocco occidentale durante la guerra fredda”.

Una volontà di omissione e di copertura di stragi e responsabili che vanno ben oltre quanto accaduto in Italia e comprendono anche le stragi di militari italiani nel settembre 1943 conseguenti all'armistizio e alla fine delle ostilità contro gli alleati.



La strage di Leopoli e la ricerca di Nuto Revelli

Nell'ambito della sistemazione dell'archivio di Nuto Revelli nel decennale della morte sono emersi numerosi materiali inediti (in larga parte appunti e lettere) relativi al massacro di almeno duemila soldati italiani da parte dei tedeschi a Leopoli, in Ucraina, dopo l'8 settembre '43. Dell'eccidio avevano parlato agenzie e giornali dell'Urss, ripresi nel 1960 dalla stampa italiana.

Anche in questo caso agli articoli non era seguito nulla e solo nel 1987 l'allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini aveva istituito una commissione con il compito di fare luce sull'accaduto. Nuto Revelli, chiamato a far parte della commissione, aveva con Lucio Ceva e a Mario Rigoni Stern scritto il testo della relazione di minoranza, in assoluto dissenso con le conclusioni della maggioranza che nel 1988 aveva concluso i lavori ignorando totalmente le testimonianze e negando addirittura che a Leopoli, fosse avvenuta una strage. Anche qui troviamo ragioni di Stato, pressioni internazionali e "armadi della vergogna".

Le vicende della commissione amareggiarono profondamente Nuto Revelli. Tanto che un anno dopo, partecipando a un programma culturale della Rai, confidava a Mario Isnenghi: «Tu sai quanto quell'esperienza mi bruci ancora. Mi è stato rinfacciato non una ma cinquanta volte che mi manca il distacco storico, e che sarei quindi uno storico un po' così, sui generis. Io invece sostengo che proprio coloro che mi incolpavano di non avere distacco storico, erano troppo distaccati: erano lontani dagli avvenimenti di guerra addirittura da angosciarmi, da spaventarmi ».

Accusato di essere prevenuto, di essere, come si direbbe oggi, “ideologico”, Nuto rispondeva nei suoi appunti rilevando come da parte della commissione si fosse sopravvaluta la documentazione ufficiale, le relazioni omissive dei comandi militari. “Io ho un'altra visione della storia (anche se non sono uno storico): la storia vissuta dal basso, una storia della quale sappiano poco o nulla. Manca una tradizione culturale in questo senso”.

La concezione di Nuto della storia dal basso partiva da un'amara riflessione: «Le dichiarazioni dei soldati non contano nulla, per cui magari vengono mandate al macero». Concludeva i suoi appunti così: «Sia ben chiaro! Una cosa è il disastro dell'Armir, ed un'altra è il dopo disastro, con delle frange dimenticate o disperse. E un'altra cosa ancora è l'8 settembre ed il dopo 8 settembre 40 anni dopo».



La “pista jugoslava” e i crimini taciuti dei comandi italiani

Nella relazione di minoranza della commissione parlamentare sugli “armadi della vergogna” veniva anche considerata tra le motivazioni dell'atteggiamento omertoso tenuto dalle autorità politico-militari la cosiddetta “pista jugoslava”, secondo cui si sarebbe rinunciato a perseguire i criminali di guerra tedeschi per salvare i criminali di guerra italiani autori di stragi non meno efferate in Albania, Jugoslavia, Grecia. Oltre alle pressioni internazionali, che pure ci furono e forti, giocò dunque nell'occultamento sistematico della verità la volontà di chiudere definitivamente una pagina di storia che coinvolgeva direttamente nei crimini del fascismo le nostre Forze Armate. Meglio tacere sulle colpe altrui e favorire la diffusione del falso mito degli “italiani, brava gente”, piuttosto che esigere (e fare) chiarezza, rischiando che l'Italia potesse a sua volta essere chiamata in giudizio per i crimini commessi nei Balcani negli anni 1940-43.

Una ipotesi che ha avuto di recente nuove conferme. Di recente è stata resa pubblica la relazione finora riservata di una Commissione istituita il 6 maggio del 1946 dal ministero della Guerra per «accertare le responsabilità nelle quali potessero essere incorsi i comandanti o i gregari italiani nei territori d’oltre confine occupati dalle forze armate italiane nell’ultima guerra».

Nella relazione, datata 30 giugno 1951, pur con molti distinguo si ammetteva l'esistenza di responsabilità degli alti comandi italiani nella repressione feroce del movimento partigiano nei Balcani.

«L’annientamento di interi villaggi, le rappresaglie più spietate, furono opera di gruppi etnici e religiosi in lotta fra loro (…) Tuttavia non può disconoscersi che gli ordini e le disposizioni dati da alcuni comandanti militari e da qualche autorità civile e i giudizi sommari di qualche tribunale straordinario apparissero improntati ad un rigore eccessivo».


Non ne seguì nulla. Della questione non si parlò più. Gli atti dell'inchiesta finirono sepolti nell'ennesimo armadio della vergogna per riapparire solo oggi, a distanza di 62 anni. A confermare che l'impegno costante per la difesa della memoria rappresenta un fronte centrale della difesa della democrazia nell'Italia di oggi.


sabato 22 marzo 2014

Arbut. Mùzico de danço. Il suono dell'antica tradizione occitana



Stasera a Morozzo (CN) si balla Occitano con gli ARBUT*
Tanta voglia di suonare e far festa 

*Arbut in Occitano vuol dire "pollone", cioè quella parte della pianta che rinasce con gemme e fiori dove si è tagliato un ramo. Un simbolo, insomma, della vitalità della cultura occitana che continua a rinascere e a fiorire nonostante tutto.

venerdì 21 marzo 2014

Un libro in libreria. Cinque serate fra i libri



Cinque serate tra i mesi di Marzo e Aprile segneranno il primo ciclo di appuntamenti della rassegna "UN LIBRO IN LIBRERIA".

Incontri di lettura, chiacchiere e approfondimenti, intorno ad un unico protagonista, IL LIBRO. In libreria come uno dei... luoghi che, ne fanno da contenitore, così come lo è una biblioteca, così come lo è una cartella di scuola.


Promossi dalla Cartoleria Botta, nel centro storico di Carcare, in prossimità dell'antico ponte, come anteprima di altri appuntamenti che caratterizzeranno le serate del mese di Giugno, quando la storica libreria festeggerà i 120 anni d'attività.


Si inizia MERCOLEDI' 26 MARZO alle ore 20.30


"IL RUOLO DEL LIBRO NEL PROCESSO FORMATIVO"

con GIORGIO AMICO

una vita trascorsa nei luoghi deputati alla formazione, le Scuole. Anche scrittore e pubblicista, oggi produttore e curatore del blog Vento Largo, un contenitore anche di libri.


Con lui si apre la rassegna alla scoperta del ruolo pedagogico di uno strumento antico.


martedì 18 marzo 2014

18 marzo 1871. Viva la Comune di Parigi



"Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti."

Così Marx celebrava la Comune di Parigi.

Noi la ricordiamo con la sua canzone più bella
Il tempo delle ciliegie
Quando canteremo il tempo delle ciliegie
e l’allegro usignolo e il merlo scherzoso
faranno festa
Le belle avranno la follia in testa
e gli innamorati il sole nel cuore.
Però è così breve il tempo delle ciliegie
dove si va insieme a cogliere sognanti
come orecchini pendenti…
ciliegie d’amore uguali ai vestiti
che cadono sulle foglie come gocce di sangue.
Ma è così breve, il tempo delle ciliegie,
pendenti di corallo che cogliamo sognando!
Quando sarete al tempo delle ciliegie
se temete le pene d’amore, evitate le belle.
Io che non temo le pene crudeli
non vivrò senza un giorno soffrire.
Amerò sempre il tempo delle ciliegie.
E’ di quel tempo che porto nel cuore
una piaga aperta,
e dama fortuna che tanto mi ha offerto
non ha mai potuto calmare il dolore.
Amerò sempre il tempo delle ciliegie
ed il ricordo che conservo nel cuore!


venerdì 14 marzo 2014

POTOMO WAKA nati sotto il segno della fionda



POTOMO WAKA nati sotto il segno della fionda

A partire da sabato 15 marzo  e fino all'8 aprile presso il Museo Sommariva ad Albenga  nell'ambito delle manifestazioni per la Fionda di Legno 2014 curata fra Gino Rapa per i  Fieui di Carugggi è esposta una collezione di fionde africane ( o Potomo waka, che nella lingua Baoule' letteralmente significa albero del caucciù). 

Questi particolari oggetti, spesso di raffinata fattura,  nascono presso i Baoulè , uno dei popoli più antichi e ricchi di storia del gruppo etnico Akan ( Costa d' avorio) . Devono il loro nome al fatto che all'inizio del novecento le tradizionali viscere del facocero, usate per realizzare la parte propulsiva della fionda, vennero sostituite appunto con il caucciù.



Venivano costruite sia per la caccia agli uccelli, particolarmente i pipistrelli, sia con una f unzione rituale e propiziatoria: durante la gravidanza il futuro padre realizzava la fionda ispirandosi ad un modello maschile  o femminile sperando che ciò determinasse il sesso del nascituro, e ad accompagnarlo prima nei giochi, poi nei riti di passaggio tra l'adolescenza e la maggiore età.

La collezione esposta al Museo Sommariva è parte della vasta collezione di opere di arte tradizionale di popoli extraeuropei della Fondazione Tribaleglobale: attualmente ospitata nei magazzini della Fondazione a Vendone, è destinata a essere esposta in modo permanente presso il MAP di Onzo che aprirà in battenti entro l'estate.


La mostra è curata da Giuliano Arnaldi, animatore del progetto TribaleGolabale e curatore del Museo delle Arti Primarie (MAP).


giovedì 13 marzo 2014

mercoledì 5 marzo 2014

Salviamo la Biblioteca benedettina di Marmora



Abbiamo trovato questo appello in rete. Lo facciamo nostro con la speranza che qualche giovane si faccia avanti.

Salviamo la Biblioteca benedettina di Marmora (CN)

Padre Sergio, monaco eremita che vive in valle Maira, a Marmora (1580 m. slm), sta cercando volontari che lo aiutino nella catalogazione dei libri dell'immensa biblioteca del monastero che conta ben oltre 57mila volumi.

Da 33 anni, si ritrova lì, a celebrare messa da solo perché nessuno vive più lassù. Lui oggi ha 81 anni e si ritrova con due protesi di metallo al posto delle anche.

Quando è arrivato a Marmora, la canonica era disastrata. Piano, piano, giorno dopo giorno l’ha ristrutturata. E dopo aver completato quest'opera, ora la sua volontà è quella di catalogare l'immenso patrimonio librario. Insiema a lui opera già il signor Daniele, ma servono altre mani ed altre braccia. Ai volontari è richiesto un solo requisito principale: amare i libri.

Ovviamente poi bisogna essere disposti a spostarsi su e giù per i monti. Il monastero può dare ospitalità, ma le comodità sono limitate e la biblioteca che è disposta su più piani darà molto da fare.




Le persone interessate all’appello del monaco possono chiamare il numero 0171/998141 (telefono del Monastero), oppure 334/1413322 (Daniele).