TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 27 dicembre 2012

Il diario di un ribelle. "Occhio folle occhio lucido" di Guido Seborga




Ritorna in libreria il diario di Guido Seborga, una lucida riflessione sulla vita e sulla morte, sull'arte e la politica. Le pagine di un uomo libero, ribelle alla convenzioni e ai compromessi. Un libro da leggere.

Francesco Improta

Lucida sregolatezza e voglia di libertà
Il diario di Seborga

Dopo una lunga assenza, giunge in libreria, per i tipi dello Spoon River, il diario di Guido Seborga, a completamento di quell’opera di riscoperta voluta fermamente dalla figlia Laura e da M. Novelli. Il titolo “Occhio folle Occhio lucido”, apparentemente ossimorico, allude in realtà a quella lucida sre­golatezza, a quella volontà di essere fuori degli schemi e di rivendicare un’insopprimibile esigenza di libertà. 

È un diario in fieri che raccoglie riflessioni ed emozioni di un quinquennio (‘64-68) denso di fatti e di fermenti. Sono gli anni della guerra nel Vietnam, del risveglio della classe operaia, del Maggio Francese e della Primavera di Praga. Ma sono anche gli anni in cui Seborga assiste per mesi e mesi all’agonia della madre, malata di cancro. Ed è allora che avverte dentro di sé l’idea della morte, che a poco a poco diventa un’ossessione così angosciante da fargli desiderare di non essere mai nato o di poter scegliere la sua morte come gesto di suprema libertà. Successivamente si radicalizza in lui l’idea della rivolta che è la spia della forza dell’uomo, un uomo che non serve nessuno e che rifiuta persino d’integrarsi con se stesso

Sempre in questo periodo matura la sua rivoluzione linguistica, l’uso, cioè, di un linguaggio diverso, non più verbale ma visivo. Abbandona la parola, in cui aveva fermamente creduto lui che aveva conosciuto la disperazione del silenzio al tempo della dittatura fascista e della guerra, per sostituirla con i segni ideografici.

Guido, pur lacerato da forti e insanabili con­traddizioni, rimane fedele all’utopia che, in una società imperfetta come la nostra, crea pur sempre una tensione di qualità e a una concezione dinamica della realtà che si crea e si rinnova continua­mente nell’esercizio della libertà. Molte delle sue opinioni sono oggi superate ma rimane intatto il sapore dell’anarchia che si respira nelle sue pagine, quella voglia di indignarsi, tanto più necessaria oggi che la nostra indifferenza e la nostra prona sottomissione rende possibile e legittima ogni arbitrio e prepotenza da parte di chi gestisce il potere o meglio dei poteri occulti che vi sono dietro.

(Da: http://www.corrierenazionale.it)

lunedì 17 dicembre 2012

Mauro Faroldi, La caduta libera del capitalismo greco




Nel dibattito politico italiano la Grecia è ormai diventata uno spauracchio da usare per ottenere consenso alle misure drastiche di taglio dei redditi e dei consumi popolari. Ma quali siano gli effetti delle “cure” in atto nessuno lo dice. Mauro Faroldi ci racconta cosa succede quando per quadrare i bilanci si tagliano redditi e occupazione.

Mauro Faroldi

La caduta libera del capitalismo greco

La crisi che ha colpito la Grecia dalla fine del 2008 non solo sembra non avere soluzione di continuità, ma ha raggiunto oramai una gravità maggiore di quella che investì il paese nel 1929 aprendo, sul piano politico, le porte alla restaurazione della monarchia e alla successiva dittatura fascista di Metaxàs. Alcuni dati possono aiutarci a capire di quanto sia crollata l'economia greca negli ultimi 5 anni.

Il crollo del Prodotto Interno Lordo

Si stima che il Prodotto Interno Lordo nel quinquennio 2008-2012 (ovviamente non abbiamo ancora i dati definitivi del 2012 ma solo delle proiezioni) crollerà di circa il 21%: un indice più alto di quello espresso dalla catastrofica crisi argentina di una dozzina di anni fa.

Dopo il 2007, ultimo anno di crescita, il calo del PIL è stato il seguente: 2008, con l'inizio della crisi, -0,2%, 2009 -3,2%, 2010 -3,5%, 2011, dopo le recenti correzioni al ribasso, -7,1%, si prevede ancora un -7,0% per l'anno che sta finendo, il 2012. Per il prossimo anno le previsioni non sono certo rosee, dicono che nel sesto anno di crisi il PIL calerà di un altro 4%. Fare previsioni spesso è difficile, prima di tutto perché è difficile capire precisamente dove va a parare un'economia anarchica come quella capitalistica, ma anche perché queste previsioni - sforzandosi di essere "ottimiste" - ipotizzano condizioni ottimali che spesso non si verificano, e non verificandosi chiaramente l'economia non può che soffrirne. Per esempio, l'arretramento del PIL previsto per il 2012 era stato del 4,7%; in realtà il calo sarà, ormai è certo, intorno al 7%.

La crisi ha colpito tutti i tre settori dell'economia del paese: il primario, il secondario e il terziario. Vogliamo soffermarci sul settore secondario, che probabilmente è quello colpito più strutturalmente.

La "Grande Catastrofe" dell'industria greca

Nella storiografia greca il termine "Grande Catastrofe" indica la schiacciante sconfitta militare subita dal paese nel 1922 nella guerra contro la Turchia di Ataturk, e la conseguente cacciata delle popolazioni greche dall'Asia Minore. Quello che sta vivendo ora l'industria greca assomiglia molto a una "Grande Catastrofe".

Il crollo della produzione industriale greca dal 2007 a oggi si avvicina al 32%. Infatti, prendendo come indice 100 la produzione del paese nel 2005, questa sale a 103,2 nel 2007, mentre dall'anno successivo abbiamo un continuo calo: siamo a 99 nel 2008, a 89,7 nel 2009, a 84,4 nel 2010, a 77,5 nel 2011, e si prevede chiudere il 2012 con un 71,5.Questa diminuzione della produzione interessa tutti i rami dell'industria, in particolare il ramo costruzioni/edilizia e il ramo dei cosiddetti beni non di consumo.

Sempre avendo come indice 100 la produzione del 2005, abbiamo una produzione manifatturiera che dal 104,2 del 2007 si fermerà (secondo gli ultimi dati) ad un previsto 68,5 nel 2012; la produzione dei beni di consumo, secondo le ultime previsioni, dal 104,7 del 2007 si fermerà al 72,8; infine l'industria dei beni non di consumo vivrà nel 2012 un vero e proprio tracollo, passando dal 103,7 del 2007 al 45,4. Ancora più clamoroso il crollo del ramo costruzioni/edilizia, che dal 118,5 del 2007 (evidentemente il ramo viveva ancora l'onda lungo dello sviluppo delle infrastrutture, partita con la preparazione delle Olimpiadi di Atene del 2004) scende al 37,6 nel primo trimestre del 2012.

Per quanto riguarda la telefonia, considerando l’intero sistema – quindi produzione, istallazione etc. - i numeri sono i seguenti, sempre riferendoci ad un indice 100 per il 2005: 107,7 nel 2007 e 75,5 nel primo trimestre del 2012.

Diminuisce anche lo sfruttamento degli impianti: da un utilizzo al 77% nel 2007, si scende al 63% nel primo trimestre del 2012. In particolare, gli impianti per la produzione di prodotti primari passano da un utilizzo all'80,4% nel 2007 a un utilizzo di solo il 56,3% nel primo trimestre del 2012. Gli impianti che producono beni di consumo scendono da un 75,3% di utilizzo nel 2007 al 69,3% nel primo trimestre del 2012. E ancora: gli impianti per la produzione di semilavorati, che erano stati utilizzati al 77,5 nel 2007, nel primo trimestre del 2012 sono utilizzati al 59,4%.

Al calo dell'utilizzo degli impianti corrisponde un calo del capitale lordo totale investito nell'industria, che scende dai 57 miliardi di euro del 2007 ai 31 miliardi di euro del 2011.

Se la Grecia a causa della crisi può considerarsi un ammalato grave, l'industria greca può considerarsi un ammalato in prognosi riservata: fra l'altro, il fatto che le commesse dell'industria siano calate del 70% fa pensare che lo scioglimento della prognosi non è atteso nel breve periodo.

Conseguenze sociali della crisi

Dal 2001 al 2008 gli occupati nel Paese sono stati sempre in costante aumento, passando da 4.086.000 a 4.559.000. Dopo il 2008 l'occupazione è calata, mentre in numeri assoluti aumentava la forza lavoro, che raggiungeva e superava i 5.000.000 già nel 2010. Nel primo trimestre del 2012 gli occupati erano scesi a 3.837.000 (2.425.000 erano lavoratori salariati). I disoccupati, secondo gli ultimi dati dell'EL.STAT, (l'ente nazionale di statistica) che si riferiscono al secondo trimestre 2012, sono 1.216.410, e la disoccupazione ha toccato il 24,4%.

Ancora più grave è la situazione dell’occupazione fra i giovani (i dati in Grecia si riferiscono alla fascia di età dai 15 ai 24 anni, esclusi gli studenti), infatti la disoccupazione giovanile raggiunge il 55%; ancora più alta la disoccupazione per le giovani donne, che raggiunge il 65%. Nemmeno nella spartizione della miseria c'è parità fra i sessi.

L'aumento esponenziale della disoccupazione, che in cinque anni è triplicata, ha naturalmente fatto aumentare il numero delle famiglie povere. Nel 2007, l'anno "magico" con il più alto sviluppo e "splendore" della Grecia contemporanea, il 22% dei greci viveva sotto la soglia di povertà. Si stima che nel 2012 tale numero si stia avvicinando al 40%. Secondo una ricerca della GSEE, il sindacato confederale, 440.000 famiglie non hanno alcun reddito, più di una su dieci. Centinaia di migliaia di famiglie hanno per questo perso l'assistenza medica o una parte di essa, e ormai alle organizzazioni di volontariato come "Medici del Mondo" si rivolgono più greci che immigrati.

Nelle grandi città della Grecia (Atene, Pireo, Salonicco) dove la povertà è più evidente e più stridenti le contraddizioni, sembra quasi che sia passata una guerra, che abbia fatto risparmio solo dei bombardamenti a tappeto.

domenica 16 dicembre 2012

La peste a Finale


venerdì 14 dicembre 2012

Neve a Savona



Giorgio Amico

Neve a Savona


Ci siamo svegliati con la neve. Le finestre dell'ITIS, la prima cosa che vedo al mattino, riflettevano il bianco lattiginoso del cielo. Mi è venuto in mente quel passo, bellissimo, de "Gli innocenti" in cui Guido Seborga dipinge una Savona coperta di neve ma calda di vita. Mai la mia città è stata così bella come nelle pagine di questo romanzo che racconta dei suoi operai:

"Era di nuovo nevicato e faceva freddo, i treni che arrivavano dal Piemonte sembravano arrivare da un paese polare, le valli erano piene di neve e così i valichi, i viaggiatori giungendo al mare cercavano aria più tiepida, la neve a  Savona, s'era sciolta, bianche erano ancora le cime delle colline e delle alture, l'ampio arco della costa sino a  Vado risplendeva di una luminosità fredda, una petroliera ormeggiata di fronte a  Vado nel mare deserto, sul ponte si vedevano uomini muoversi, una barca carica di uomini veniva verso riva."(*)

Pensavo a Seborga e a una Savona che non c'è più e vive ormai solo nelle sue pagine, alle mattine nevose di anni lontani e al bambino che sono stato mentre seguivo il volo lento dei gabbiani nel cielo bianco.

*Guido Seborga, Gli innocenti, Sabatelli, p.75

martedì 11 dicembre 2012

Da leggere: Guido Seborga, Occhio folle occhio lucido




E’ uscita la nuova edizione di “Occhio folle occhio lucido”. Il diario di Guido Seborga pubblicato per la prima volta nel 1968. Un testo fondamentale per riscoprire uno dei protagonisti della cultura italiana del dopoguerra. Ne presentiamo l'introduzione di Massimo Novelli.

Massimo Novelli

Non sottomessi ma liberi


Molti anni prima di Stéphane Hessel e del suo Indignatevi!, Guido Hess Seborga (Torino, 1909-1990)esortava con ben altro spessore letterario a "non essere mai complici di una qualsiasi schiavitù, ma ribellarsi nel presente senza evadere in programmi avveniristici o consolarci con storie mistiche". E aggiungeva: "Vivere nel dramma perchè ne facciamo intimamente parte, rifiutare i nuovi tiranni di metallo e cemento, avere in noi la propria ragione fondamentale di vita e da qui nasce la realtà, da noi stessi non sottomessi ma liberi". Lui era un uomo libero: lo fu da romanziere, da poeta, da giornalista, da organizzatore cultuale, da pittore, da partigiano e da socialista.

A maggior ragione declinò il suo essere libero, e libertario, in Occhio folle occhio lucido, che compose come autobiografia, diario, bilancio della pro- pria esistenza, pamphlet e soprattutto come grido di rivolta. Era un bisogno di ribellione, del resto, che veniva da lontano, dai tempi dei primi suoi romanzi e dei drammi, da L'uomo di Camporosso a il figlio di Caino, da Spartaco, vuoi essere libero? a Morte d'Europa, quando il nemico dell'uomo erano il nazismo, che Guido aveva visto affermarsi a Berlino, e il fascismo, la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale. E il grido di rivolta, l'antico grido di Spartaco, in quegli anni Sessanta, in un mondo diviso fra Urss e Usa, fra la guerra del Vietnam e la Cina delle guardie rosse, il risveglio operaio, le tragedie dell' Africa, la morte di Che Guevara, il Maggio Francese, i carri armati sovietici a Praga, risaliva d'intensità, consapevole delle lacerazioni eppure non morto nella speranza di un cambiamento dell'uomo per l'uomo.

Fu pubblicato dalla casa editrice milanese Ceschina, ora scomparsa, nel 1968, mentre gli studenti e i lavoratori di mezzo mondo provavano a mandareall' aria l'ordine costituito. il libro, che segna inoltre il passaggio di Seborga dalla letteratura all' arte, innestandosi nella sua ricerca, alla soglia dei sessant'anni, di un "corpo nuovo" tanto mentale che fisico, uscì grazie a Pier Angelo Soldini. Piemontese di Castelnuovo Scrivia, era il nume tutelare della Ceschina oltre ché scrittore, critico di valore e corrispondente di guerra, troppo presto scomparso, poco più che sessantenne, nel 1974. Soldini credeva in Guido; nei suoi diari, da poco ripubblicati con merito da Interlinea, in particolare ne il giardino di Montaigne, lo ricorda spesso e si trova a essere d'accordo con Seborga. Come quando, sotto la data del 20 luglio 1965, annota: "Ho trovato una conferma, o meglio un' amplificazione, a quanto scrivevo nella nota del 22 marzo scorso da Castelnuovo, in una pagina molto bella di Guido Seborga dedicata ("Lavoro" di Genova, oggi) alla madre morta: "C .. ) già da tempo quando ero in mare (con una forza fisica minore di quando ero giovane) mi accadeva contemplando la natura di farmi assorbire dalla materia; una volta no, il nuotare solo in alto mare era per me un gioco fisico di forza (sia pure con la paura dei pescecani), un rischio eccitante voluto dal mio sangue; la vita fisica fu per anni la mia vita e lo poteva essere per secoli, se l'uomo non fosse così terribilmente vulnerabile, l'uomo che dura tanto poco, un attimo solo"".

Sono i temi che innervano il libro che Seborga fa cominciare dalla morte della madre, strutturandolo poi in un alternarsi di passato, di presente e di futuro, di crisi e di rinascita, di eros e di morte, di valori e di disvalori. Si mescolano e trovano coerenza e unità episodi dell' infanzia e dell' adolescenza, gli anni di Berlino e di Parigi, il mare della Riviera di Ponente e di Bordighera, il volto della moglie Alba e Leone Ginzburg intravisto in una strada di Torino, la Resistenza contro i nazifascisti, la sconfitta del Fronte popolare, il Miracolo Economico, le divisioni nel Psi; e s'incrociano gli amori e le passioni, il realismo e il surrealismo, Artaud e Corrado Alvaro, il conscio e l'inconscio, la letteratura, il pennello di Spazzapan e quello di Morlotti, il desiderio di dipingere che stava crescendo in lui con prepotenza; non dimenticando il pensiero di Piero Gobetti e le idee di Marcuse, la morte al fronte di Paul Nizan e il suicidio di Cesare Pavese, la natura e la macchina. Un pieno di vita, ideale, culturale, politica, sessuale, che veniva riassunto nella convinzione di dover "possedere la verità in un'anima e in un corpo".

Seborga tracciava nel con tempo il bilancio di una generazione che, vinti gli invasori e il fascismo, nelle nuove compromissioni e nella guerra fredda non aveva saputo costruire una democrazia vera, effettiva: "Un basso statalismo, un neocorporativismo rischiavano di distruggere il paese. E ci furono le speculazioni edilizie e dei terreni, nessuna integrazione economica nord-sud, mancata industrializzazione dell' agricoltura, pochi crediti per l'industria media di cui molto s'era occupato Einaudi pur concerti suoi limiti liberali, e una burocratizzazione sempre più corrotta e pesantissima". Tutto ciò svelava nel 1968, come si può leggere nella nota di copertina di Occhio folle occhio lucido redatta sicuramente da Soldini, e conferma ora, "una personalità modernissima" e "un uomo in lotta"; e appariva "singolare" che "questo scrittore nato nel 1909 abbia in sé molte ansie dei giovanissimi ribelli d'oggi".

Proprio oggi, nel cosiddetto terzo millennio, l'estrema opera letteraria di Guido Seborga, accompagnata dai dipinti e dai disegni, le parole-segno o ideografie mediterranee che andava realizzando rifacendosi ai graffiti rupestri della Valle delle Meraviglie, mostra con maggiore incisività ancora, rispetto a ieri, la sua contemporaneità. In quanto è adesso, più di ieri, che occorre essere non sottomessi ma liberi, e che è indispensabile indignarsi. Occhio folle occhio lucido, anche per le anticipazioni e le premonizioni che contiene, per la solarità italiana (e ligure) e per l’afflato intemazionalista, è uno dei quei libri che non tramontano mai. Non va in soffitta perchè è stato scritto nella certezza che la liberazione umana (dalla violenza, dall'odio, dallo sfruttamento, dalla menzogna, dall'indifferenza, dal potere, dall'alienazione, dalla miseria) sia non soltanto possibile, bensì necessaria:"La rivolta umana può distruggere la bestia che ci affligge e ci vuole uccidere".

Guido Seborga
Occhio folle occhio lucido
Spoon River, 2012
12 Euro

lunedì 10 dicembre 2012

Sinistro e mal d'estro. Personale di Alex Raso


Mario Gambetta: dal reale al fantastico




In mostra a Savona i percorsi artistici di un autore complesso tutto da riscoprire

Marco Calleri

Mario Gambetta: dal reale al fantastico


Da sabato 1° dicembre all'11 gennaio si può visitare, sulla fortezza del Priamar a Savona la mostra "Mario Gambetta: del reale e del fantastico", organizzata dall'Associazione Lino Berzoini - Centro per lo studio e la promozione dell'Arte".

La mostra si avvale della collaborazione e del contributo del Comune di Savona - Settore attività culturali, turistiche e educative, del contributo della Fondazione "A. De Mari-Cassa di Risparmio di Savona", del patrocinio di Regione Liguria, Provincia di Savona e Comune di Albissola Marina. L'iniziativa è curata da Carla Bracco, Maria Pia Torcello e Lorenzo Zunino, il progetto grafico da Maria Gilda Falco. È disponibile inoltre il volume "Mario Gambetta" di Maria Pia Torcello, edito da Lizea Arti grafiche, Acqui Terme. Più che di una mostra si potrebbe tuttavia parlare di un viaggio nella vita, fisica e interiore, dell'artista.

Mario Gambetta, nato a Roma nel 1886 da genitori liguri, è una figura atipica nel panorama artistico italiano della sua epoca. La formazione classica e gli studi di giurisprudenza, completati pur non rinunciando all'amore per l'arte, non hanno consentito a Gambetta di assimilarsi con il panorama di varia umanità, spesso tormentata e complessa, che ha caratterizzato gran parte del mondo artistico del XX secolo. Alle lusinghe della vita mondana e al travaglio dell'impegno politico-sociale, Gambetta preferiva lavorare nel suo buen retiro albisolese, perlatro frequentando personaggi del calibro di Camillo Sbarbaro e Arturo Martini.

Il percorso di Mario Gambetta artista si intreccia così con quello dell'uomo. Gli spunti per le opere arrivano dalla vita quotidiana, ma vengono rielaborati e reinterpretati da una sensibilità e da un'ispirazione fuori dal comune.

UNO STILE ECLETTICO E PERSONALE

Le doti del giovanissimo Mario sono già evidenti nel ritratto del padre, tratteggiato, con mano già matura, all'età di 8 anni.

I disegni a matita e a china accompagnano la giovinezza dell'artista, per poi lasciare più spazio alla pittura e alla ceramica. Il tutto però senza soluzione di continuità, senza un'adesione, formale o effettiva che sia, a una particolare "scuola" o "corrente".
La ricerca e la sperimentazione, in senso contenutistico e in senso tecnico, sono presenti in tutta la vasta e diversa opera di Mario Gambetta. I suoi lavori di figura, di paesaggio, di ceramica, oltre a quelli di incisione e disegno, nascono in piena libertà di svolgimento di temi, senza la cristallizzata monotonia di una seppur abile "maniera", ma nei modi eclettici, nella diversità stilistica, con cui si offrono, secondo le esigenze dei soggetti, alla sua fantasia e alla sua riflessione. Una volta acquisita la capacità nella realizzazione, che deve tendere alla perfezione assoluta, ecco che l'attenzione si trasferisce all'invenzione della scena, in cui il segno, il colore, la figura, la composizione e il concetto si sommano a determinare uno stile. Si passa, nel breve salto tra un'opera e un'altra, da un figurativo sobrio e tradizionale ad accenni di espressionismo; dal realismo di un ritratto a figure quasi cubiste. Un carosello di colori e di stili che non può non incantare.



I SOGGETTI: MARE E DONNE TRA REALE E INTERIORE

I temi cari all'artista sono molti, tutti tratti dall'esperienza della vita, ma trasferiti su un altro livello grazie alla scelta della tecnica e dello stile con cui sono stati immortalati. Il mare, visto in tutte le sue declinazioni, rinsalda il legame di Gambetta con la Liguria e riporta a una dimensione naturale più ancestrale.

Le figure femminili, altro soggetto particolarmente caro all'artista, si muovono sinuose e sognanti sulla carta o sulla tela. Figure sospese a metà tra il reale e il metafisico, talvolta realistici ritratti di donne reali, talvolta oniriche o ironiche rappresentazioni di stati d'animo o di sentimenti, filtrati da un corpo femminile. Sulla dicotomia tra apparenza e realtà si innesta un altro tema caro all'artista: il mondo del circo e del teatro, nel quale si muovono numerose delle ambigue figure ritratte.

UNA RICERCA COSTANTE

La ricerca non si ferma però ai soggetti o agli stili, ma si espande anche al cromatismo. Il colore è tratto da materie prime naturali che riprendono le ricette e i segreti degli antichi. In ceramica il blu turchese è il risultato di infiniti esperimenti che approdano alle celebri e raffinate statuette a tutto tondo o alle pregevolissime piastre di gusto decò. In pittura il colore, dopo le prime prove dal vero, si attesta su significati espressivi moderni e originali con una visione piena della tavolozza che non esita a ricorrere a campiture forti e tonali. Il segno è rotondo e sicuro con il tratto frutto di un esercizio maniacale teso a sondare la scena con immediatezza istintiva ma anche con dovizia di particolari e carica sentimentale.



UN GRANDE ARTISTA DA RISCOPRIRE

La grandezza di Mario Gambetta non era sfuggita ai suoi contemporanei, come testimoniano i rapporti di amicizia con i già citati Martini e Sbarbaro e le frequentazioni con altri artisti come Rodocanachi, Saccorotti, Vellani Marchi, Borgese, Venturi, Gio Ponti, Capogrossi, Vergani, Zanzi, Barile, De Salvo, Borzoini e Pacetti.

Se la scelta di un "basso profilo" aveva indotto Gambetta a evitare le mostre personali, la sua attiva partecipazione a prestigiosissime collettive ne sottolinea una volta di più lo spessore artistico e il ruolo avuto nell'arte novecentesca.

Partecipa con la ceramica alle mostre di arte decorativa di Monza e di Milano, alle Esposizioni della Società di Belle Arti di Genova e alle Sindacali regionali e nazionali. Espone, su invito, alle Biennali di Venezia (1930-1942); nel 1940 con una personale di chine e disegni, e alle mostre all'estero organizzate dall'Ente Biennale, interviene alle Quadriennali di Roma (1931-1956), all'Expo Universale di Bruxelles (1935), alla Mostra Internazionale di New York (1936), alla Mostra Premio Bergamo.

Dal 1935 si dedica anche all'acquaforte, in cui il gusto narrativo è sostenuto da una grande duttilità tecnica. Incaricato dell'affresco per l'Esposizione universale di Roma del '42, mai avvenuta a causa della guerra, nel 1937 a Savona è impegnato con il collega Eso Peluzzi nell'affresco del salone comunale e nel riordino della Pinacoteca Civica.

La mostra del Priamar offre una carrellata esaustiva e organica del percorso artistico di un artista che pare finalmente tornato a ricevere il credito che merita, in virtù di una progressiva rivalutazione dell'arte figurativa, relegata in secondo piano negli ultimi decenni.

Mario Gambetta può dunque brillare nel firmamento degli artisti del Novecento, come predetto da Adriano Grande quando sosteneva che quella di Gambetta è "una pittura che durerà".

(Da: www.ilsegnonews.it/)



sabato 8 dicembre 2012

A Cuba 110 anni fa nasceva il pittore Wifredo Lam




Oggi è l'anniversario della nascita di Wifredo Lam, lo ricordiamo con questo articolo apparso ieri nell' edizione internazionale dell'organo del Partito Comunista Cubano

Gianfranco Ginestri

A Cuba, 110 anni fa nasceva il pittore Wifredo Lam




L’ 8 dicembre del 1902, nel quartiere Coco-Solo di Sagua La Grande, in provincia di Villa Clara, nasce il futuro pittore “Wilfredo” Oscar Concepcion Lam Castilla (che 20 anni dopo, nei documenti spagnoli, sarà erroneamente trascritto “Wifredo”, con una “elle” in meno). Quando egli nasce, il padre cinese Enrique aveva 80 anni, e la madre mulatta Serafina 40.
Nella scuola dei gesuiti di Sagua La Grande eccelle nel disegno e viene invitato dal pittore Manolo Mesa a frequentare la migliore scuola di pittura de L’Avana, dove nel 1916 emigra adolescente, assieme alla madre e ai parenti di lei.

Nel 1917-18-19 Wifredo lavora in una officina ferroviaria della capitale cubana per mettere da parte un po’ di soldi che gli serviranno quando dovrà frequentare (nel 1920-21-22) l’Accademia di Belle Arti “San Alejandro” de L’Avana, ove si sono laureati i più famosi artisti di Cuba. Poi nell’autunno 1923, all’età di 20 anni, decide di proseguire gli studi a Madrid, grazie ad una borsa di studio biennale concessagli dal municipio natale di Sagua La Grande. Il giovane Wifredo pensava di restare in Spagna solamente un paio d’anni, invece tornerà all’Avana dopo ben 18 anni.

Nell’autunno 1923, giunto a Madrid, Lam inizia gli studi all’Accademia di Belle Arti “San Fernando”, e frequenta il Museo del Prado, ammirando i capolavori dei vari maestri. Nei caffè madrileni incontra Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Salvador Dalì, e altri. È in questo periodo che si avvicina al marxismo, leggendo opere di Marx ed Engels. E’ affascinato dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla costruzione del socialismo in Urss.

In Spagna Lam perde la timidezza campagnola cubana e diventa uno sciupafemmine. Nel 1926 a Sagua La Grande muore suo padre, ultracentenario. Nel 1928 egli realizza la sua prima personale alla Galleria Vilches di Madrid, con soggetti contadini e campestri. Lo stesso anno visita la vicina città antica di Cueca, dove conosce la ragazza che diventerà la sua prima moglie: la spagnola Eva Sebastiana Pirez, che sposa nel 1929 e con la quale vivrà nella capitale assieme al figlio Wifredo nato poco dopo il matrimonio.

Nel 1930 la Spagna è in grande crisi economica a causa del crollo del 1929 degli USA. All’inizio del 1931 avviene una tragedia: la moglie e il figlio di Lam muoiono di tubercolosi. Il 30enne Wifredo è disperato e sull’orlo del suicidio. Lo salverà l’impegno politico. Nell’aprile 1931 nasce la Repubblica Spagnola e Lam frequenta gli intellettuali cubani presenti nella capitale, come lo scrittore Alejo Carpentier e il poeta Nicolas Guillen.

Nel luglio 1936 avviene il golpe militare di Francisco Franco (aiutato da Hitler e Mussolini) contro il Fronte Popolare Spagnolo che ha appena stravinto le elezioni. Wifredo si schiera immediatamente con le milizie operaie repubblicane antifasciste. A Barcellona entra in contatto con la più avanzata avanguardia artistica spagnola. Inizia la guerra civile che terminerà nel 1939 con la vittoria dei falangisti di Franco. Un anno prima di questa tragica disfatta, con una lettera di presentazione per Pablo Picasso (che ha vent’anni più di lui) fornitagli dal pittore madrileno Manuel Manolo Huguè, Lam abbandona la Spagna e va a Parigi, dove giunge nel maggio 1938, e qui diventa allievo-amico del grande Maestro. Dal maggio 1938, a Parigi, Lam inizia a frequentare assiduamente il Museè de l’Homme per conoscere e studiare l’arte africana e oceanica. Tramite Picasso egli entra in contatto con Andrè Bretòn e con i surrealisti. Picasso gli presenta anche il suo agente Pierre Loeb. Nel 1939 a Parigi rintraccia la giovane antinazista tedesca Helena Holzer, che un paio d’anni prima, durante la guerra civile spagnola era stata la direttrice del laboratorio dell’Ospedale Santa Coloma di Barcellona. Si erano persi di vista per cause belliche. A Parigi l’amicizia si trasforma in amore, e i due vanno a vivere assieme senza sposarsi. 

Nel 1940 Hitler e Mussolini iniziano a fare assurde e tragiche guerre in mezzo mondo. In maggio il fronte francese crolla e in giugno i nazisti entrano a Parigi, iniziando la caccia agli antifascisti. Lam saluta Picasso e fugge a Marsiglia, ove con Helena va a vivere vicino al porto, in attesa di un visto e di una nave per gli Stati Uniti, che giungono nel maggio 1941 per l’interessamento di Peggy Guggenheim, generosa gallerista miliardaria statunitense che fa imbarcare gratuitamente 300 artisti antifascisti, salvando loro la vita. Wifredo ed Helena però non vengono fatti sbarcare negli USA, quindi ripiegano su Cuba, che nel 1941 è governata dal militare Fulgenzio Batista (in una coalizione antifascista) con anche ministri socialcomunisti. Lam rivede per la prima volta la sua isola dopo 18 anni.
























Nel 1941 Lam dapprima vive L’Avana Vecchia e poi nel Quartiere Luyano; quindi nel biennio 1942-43 va nella vicina Marianao, nel Reparto Buen Retiro, in Calle Panorama 42, dove nel grande patio inizia a dipinge il suo massimo capolavoro, intitolato “La Giungla”. Nel 1944 a Sagua La Grande muore la sua amatissima madre ultraottantenne, Serafina. Nello stesso anno il quarantenne Lam fa il più gran colpaccio della sua vita: vende la sua opera “La Giungla” al notissimo Museo d’Arte Moderna di New York diretto da Sweeney. Finalmente usciti dalla miseria Wifredo ed Helena si sposano L’Avana, e nel 1945-46 vanno ad Haiti a studiare l’arte pittorica nei riti sincretici religiosi della Santeria-Vu-Du. Grazie alla grande fama che gli ha dato “La Giungla”, Lam viene ora invitato a esporre e a vendere quadri in molti paesi: tra il 1947 e il 1950 fa spola continua tra Europa e America. Nel 1951 il 50enne Wifredo Lam divorzia dalla seconda moglie Helena Holzer, poi ottiene il 1° Premio del Salone Nazionale de L’Avana, e quindi nel 1952 decide di tornare a Parigi.

A Parigi, nel 1952, va ad abitare con Sara Sluger, una giovane giornalista argentina. Poi va a vivere con la giovane attrice francese Nicole Raoul (e nascerà il figlio Manuel). Nel 1953-56 Lam, che ha ripreso a frequentare Pablo Picasso e il suo agente Pierre Loeb, è chiamato ad esporre presso galleristi di mezzo mondo. Quindi nel 1957, in Italia, nella regione Liguria, inizia a dedicarsi alla ceramica artistica nella cittadina di Albisola Mare, assieme all’artista svedese Lou Laurin, una 20enne conosciuta poco tempo prima a Parigi. Nel gennaio 1959 Lam vorrebbe andare a Cuba a festeggiare la vittoria della Revoluciòn, ma rimanda il viaggio per motivi di lavoro. Nel 1960 Lou Laurin diventa la sua terza moglie. Si sposano a Manhattan, nella città di New York, e poi avranno tre figli maschi: nel 1961 Eskil, nel 1963 Timour, nel 1969 Jonas, (il primo nasce in Francia e gli altri due in Italia). Lam è un fedelissimo della Rivoluzione Cubana di Fidel Castro ma ama lavorare in Italia, dove vi resta per ben vent’anni dal 1962 in poi, fino a pochi giorni prima della sua morte. Dal 1963, quasi tutti gli anni, viene invitato a esporre nelle più importanti gallerie de L’Avana. Nel 1966, nel Museo di Belle Arti de L’Avana, egli dipinge il capolavoro “Terzo Mondo” (tuttora esposto nel palazzo del nuovo museo situato di fronte al Yate Granma). Nel 1968 partecipa al Congresso Culturale de L’Avana, dove incontra intellettuali mondiali. Nel 1974 il regista italiano Italo Mussa gira a Milano e Albisola Mare un filmato su di lui. Nel 1975, a Bologna, presenta la sua prima grande esposizione di ceramiche artistiche.

Dal 1978 Lam non riesce più a camminare ed è costretto a girare con la sedia a rotelle. Nel 1979 il noto regista cubano Humberto Solas termina un documentario sulla sua vita. Nel 1980 va a Cuba per delle cure, e con la sua sedia a rotelle si reca a una marcia popolare. In tale anno è nominato presidente onorario del Festival del Nuovo Cinema de L’Avana. Nel 1981 è invitato a Cuba a un grande incontro mondiale di solidarietà con la Rivoluzione, e qui il ministro della cultura Armando Hart Davalos gli consegna la medaglia Felix Varela del Consiglio di Stato della Repubblica di Cuba. Nella stessa occasione riceve anche la medaglia dell’Ordine dei Combattenti Internazionalisti, per la sua partecipazione alla guerra antifascista spagnola 1936-39.



Nel 1982, ultimo anno della sua vita è ad Albisola Marina, e qui ha un gravissimo ictus. I familiari pensano di curarlo in Francia e lo trasportano a Parigi, ma muore poco dopo: il giorno 11 settembre 1982. Il corpo viene cremato e le sue ceneri vengono portate a L’Avana, e custodite nel grande Cimitero Monumentale Cristobal Colon, nel sacrario dei combattenti rivoluzionali internazionalisti.

Oggi a Cuba l’erede artistico di Lam è Alfredo Sosa Bravo (in arte Sosabravo) pure lui nato a Sagua la Grande (nel 1930) e anche lui molto amante dell'Italia, dove ha dipinto murales a Marzabotto Bolognese e in numerosi altri luoghi, e dove ha realizzato varie opere con vetri artistici nell’Isola di Murano situata nella Laguna Veneziana, e anche ceramiche artistiche ad Albisola Marina dove nel 2007 è stata inaugurata una bellissima artistica piazza dedicata a Wifredo Lam. E una piazza dedicata a Lam esiste anche dov’egli è nato, a Sagua La Grande, in Provincia di Villa Clara. E ve n’è un’altra con la scultura detta “Vuelo Lam” al Vedado dell’Avana in Calle 14 angolo 15. (A Cuba bisogna visitare il Centro Artistico Lam, di fianco alla Cattedrale dell’Avana Vecchia).

E chi ne vuole sapere di più legga il dettagliato libro di Giorgio Amico intitolato “Wifredo Lam: il grande surrealista cubano” stampato nel 2006 dall’Editore Roberto Massari di Bolsena.

(Da: Gramna Internacional)

No al carbone, Si al futuro


mercoledì 28 novembre 2012

La Riviera Ligure: Ripensando Calvino


E' disponibile l'ultimo quaderno de “La Riviera Ligure”, il bel quadrimestrale della Fondazione Novaro di Genova, interamente dedicato ai quarant'anni de Le città invisibili di Italo Calvino. Ulteriore testimonianza, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto ancora l'opera dello scrittore sanremese rimanga attuale e aperta a continui approfondimenti e riflessioni. Del quaderno, davvero assai ricco e stimolante, pubblichiamo l'incipit del corposo saggio di apertura di Giorgio Bertone e l'indice.

Giorgio Bertone

Quarant'anni dopo

Che cosa ci dicono, che cosa ci suggeriscono, insegnano Le città invisibili a quarant'anni dalla loro apparizione meravigliante? (E, fra poco, aggiungiamo, a novant'anni dalla nascita di Calvino, se si vuole cogliere anche questo pretesto aritmetico).

Che cosa ci dicono, al di là dell'eleganza, del tenace e minuzioso gioco combinatorio, persino ascetico (la griglia precisa delle cinquantacinque città divise in nove gruppi e a loro volta divisi in rubriche cicliche: Le città e la memoria, Le città e i segni, Le città e i desideri eccetera), della perfezione stilistica e definitoria (“L'atrove è uno specchio in negativo.

Il viaggiatore riconosce il posto che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”) dell'agilità linguistica (“[Armilla] non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell'acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni troppopieni”), ancor oggi intatta, ammirevole, godibile, persino di per sé accresciuta nel valore pedagogico-sociale di una lingua che è l'opposto della banalità, dell'imprecisione quotidiana, anche scritta (nuovi sistemi di comunicazione digitale subito inclusi, perchè primeggianti), senza mai essere puro esercizio formale e retorico tanto la figura, l'emblema ci impegna la mente.

(...)



Sommario

Giorgio Bertone
Quarant'anni dopo

Gerson Maceri
La cinquantaseiesima città invisibile

Giorgio Bertone- Loretta Marchi
La formica argentina

Veronica Pesce
La formica in biblioteca

Claudio Bertieri
Lo sguardo di Palomar, “l'uomo-cinema”. Dalla pagina allo schermo televisivo

Leo Lecci
Qualche nota su Calvino e l'arte figurativa

“Città invisibili”
Dodici artisti per Italo Calvino: testi e immagini



Ripensando Italo Calvino
La Riviera Ligure
Quaderni quadrimestrali della Fondazione Mario Novaro
Anno XXIII – Numero 2 (69), settembre-dicembre 2012

Per informazioni e richieste:


Città invisibili è anche una mostra:




martedì 20 novembre 2012

Partigiani martiri della Resistenza


Per capire il presente: due nuove opere pubblicate da Massari Editore

Roberto Massari, sincero amico e compagno di tante battaglie, oltre che editore di qualche nostro libriccino, ritorna in libreria con due volumi di grande utilità per comprendere il presente di questo nostro malandato Paese e non solo.

giovedì 8 novembre 2012

Savona: Concerto per San Martino






















CONCERTO PER SAN MARTINO
Musica Rinascimentale e Barocca

DOMENICA 11 NOVEMBRE, ore 21
Oratorio di San Dalmazio, Lavagnola (Savona)

martedì 6 novembre 2012

Franco Astengo, Non deporre il filo rosso del ragionamento



L'anniversario della rivoluzione d'ottobre come occasione per un ripensamento dell'esperienza e della teoria socialista, questo l'invito di Franco Astengo tanto più attuale nel vuoto assoluto di pensiero critico che oggi affligge la sinistra (e non solo in Italia).

Franco Astengo


7 Novembre 1917: non deporre il filo rosso del ragionamento

Scrive Lucio Magri nel suo “Sarto di Ulm”: sono infatti diventato comunista, per ragioni d’età, quando la temperie del fascismo e della Resistenza si era chiusa da un decennio, anzi dopo il XX congresso del PCUS e i fatti d’Ungheria, e dopo aver letto oltre a Marx, Lenin e Gramsci anche Trockij e il marxismo occidentale eterodosso. Non posso dunque dire: l’ho fatto per combattere meglio il fascismo, oppure dello stalinismo e delle “purghe” non sapevo nulla. Ci sono entrato, perché credevo, come ho continuato poi a credere, a un progetto radicale di cambiamento della società di cui occorreva sopportare i costi”.

A 95 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, da cui giorno che John Reed definì come “ I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, prendo a prestito le parole di Magri per cercare di argomentare ciò che ho cercato di descrivere nel titolo: non deporre il filo rosso del ragionamento.

Argomenterò questa mia necessità seguendo il filone indicato da un grande pensatore marxista, Eric J. Hobsbawn nel suo “Il Secolo Breve, 1914-1991”, riprendendo letteralmente dal suo testo una citazione di Marx del 1859 : “ Nella produzione sociale dei loro mezzi di sussistenza gli esseri umani entrano in relazioni determinate e necessarie, indipendenti dalla loro volontà, relazioni produttive che corrispondono a uno stadio determinato nello sviluppo delle forze produttive materiali…In una certa fase del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con le relazioni produttive esistenti, ossia, ciò che non è altro che l’espressione legale di queste, con le relazioni di proprietà entro le quali esse si erano mosse precedentemente. Da forme di sviluppo della forze produttive queste relazioni si sono trasformate nelle loro catene. Entriamo allora in un’epoca di rivoluzione sociale”.

Ecco descritto, profeticamente in anticipo, il conflitto tra le forze di produzione e la sovrastruttura sociale, istituzionale ed ideologica che, dalla Rivoluzione d’Ottobre in avanti, aveva trasformato una economia agraria in una economia industriale avanzate, dentro alle grandi temperie del ‘900 tra le quali si è collocata, al centro, la grande tragedia della Seconda Guerra Mondiale e poi il dipanarsi complesso e difficile di quella che è stata definita “Guerra Fredda”.

I problemi che “l’umanità” o piuttosto i bolscevichi si erano posti nel 1917 non erano risolubili nelle loro circostanze di tempo e di luogo, o lo erano solo molto parzialmente. Oggi ci vorrebbe un grado di fiducia molto alto per sostenere che è visibile una soluzione nel futuro prossimo per i problemi scaturiti dal crollo del comunismo sovietico o per affermare che ogni soluzione che si offrirà nella prossima generazione potrà rappresentare un punto di progresso.

La situazione che si trova di fronte a noi appare chiara: con il crollo dell’URSS l’esperimento del “socialismo reale” è terminato. Infatti, anche dove sono sopravvissuti regimi comunisti come in Cina essi hanno abbandonato l’idea originale di una economia controllata dal centro e pianificata dallo stato in una società completamente collettivizzata, oppure l’idea di una economia cooperativa senza mercato né proprietà privata. Non possiamo però cedere senza combattere la battaglia delle idee rispetto alle tesi di Huntington e Fukuyama : la storia non è finita!

Il punto sul quale ragionare ancora, proprio oggi nella ricorrenza della data della presa del potere da parte dei bolscevichi, riguarda il fatto che l’esperimento sovietico non era stato concepito come alternativa globale al capitalismo, ma come risposta specifica alla situazione peculiare di un paese come la Russia. Il fallimento della rivoluzione mondiale, tra la fine degli anni’10 e l’inizio degli anni’20 nell’immediato indomani della seconda guerra mondiale, portò così all’emergere della linea del “socialismo in un paese solo” e, quindi, all’assunzione di quel compito di alternativa globale, sulla base del quale l’URSS ottenne comunque notevoli risultati, a partire dalla costruzione degli altri Partiti Comunisti e della vittoria nella seconda guerra mondiale.
L’esito, però, è stato quello già rilevabile nel vizio d’origine (Plechanov scrisse: che la Rivoluzione d’Ottobre potrà portare, nel migliore dei casi, ad un “Impero cinese tinto di rosso”). L’impossibilità di rappresentare, da parte del comunismo sovietico, una alternativa globale al capitalismo ha così portato, alla fine, al rivelarsi di una economia senza sbocchi e ad un sistema politico al riguardo del quale non è possibile esprimere certamente un giudizio positivo.

Il nocciolo della nostra riflessione deve però risiedere, oggi come oggi (dopo almeno due decenni di arresto di qualsiasi tentativo di sviluppo in avanti di un pensiero “critico”, al di fuori dalle logiche della globalizzazione e dell’altermondismo, ma considerando tutti gli sviluppi verificatisi sul terreno dell’economia, dell’innovazione tecnologica, del ruolo degli “Stati-nazione”, della diversità e complessità dei livelli di sviluppo nell’ambito del pianeta) nel cercare di comprendere fino a che punto il fallimento dell’esperimento sovietico abbia messo in dubbio l’intero progetto del socialismo tradizionale, cioè il progetto di una economia basata essenzialmente sulla proprietà sociale e sulla direzione pianificata dei mezzi di produzione, di distribuzione e di scambio. Si tratta di aprire un vero e proprio filone di pensiero, tante volte enunciato, ma mai praticato: si tratta di separare la questione del socialismo in generale da quello dell’esperienza specifica del “socialismo reale”, con coraggio e curiosità intellettuale.

Proprio l’incapacità dell’economia di tipo sovietico a riformarsi in un “socialismo di mercato”, come pure si è tanto di fare dimostra con chiarezza come il fallimento del socialismo sovietico non intacchi la possibilità di esplorare la possibilità di altri tipi di socialismo, intesi – davvero – come alternativa di società e quindi di espressione di una cultura politica assolutamente autonoma ed in grado di affrontare le grandi contraddizioni dell’oggi, dal punto di vista della difficoltà della condizione sociale delle grandi masse.

Non mi addentro nell’analisi delle visioni profetiche di cui pure disponiamo (Hilferding sulla finanziarizzazione, Luxemburg sul “socialismo o barbarie”, Gramsci sull’egemonia, tanto per fare soltanto alcuni esempi). Concludo ribadendo, appunto: non deponiamo il filo rosso del ragionamento.

lunedì 5 novembre 2012

Beppe Dellepiane, Ombra e sogno sono il peso della luce




BEPPE DELLEPIANE
OMBRA E SOGNO SONO IL PESO DELLA LUCE
a cura di Sandro Ricaldone

Palazzo Ducale, Cortile maggiore, Spazio 42R
Piazza Matteotti – Genova
dal 9 novembre all’8 dicembre 2012

orario: martedì – domenica 15-19
Inaugurazione: venerdì 9 novembre 2012, ore 18,00


Beppe Dellepiane presenta, nella mostra allestita nello Spazio 42R di Palazzo Ducale, unitamente ad alcune opere che documentano fasi antecedenti della sua ricerca, un vasto insieme di lavori su carta realizzati nel corso del 2011.

In queste opere, realizzate come sempre con materiali e procedimenti non tradizionali, con un segno ottenuto dall’addensarsi della tempera nelle incisioni praticate sul foglio, condensa nella superficie schiarita un’atmosfera onirica dove le figure spiccano, circoscritte in profili elementari, come parvenze cristalline.

Beppe Dellepiane è nato nel 1937 a Genova, nel quartiere di Bolzaneto, caratterizzato da una forte presenza di stabilimenti industriali ma contiguo ad un ambiente naturale ricco di fascino, fattori entrambi che segnano profondamente la sua formazione. Dopo gli studi secondari si impiega in un negozio di arredamento, attività che proseguirà in proprio dopo il matrimonio nel 1963 con Nelly Riva. Le sue prime prove artistiche risalgono agli anni ’50 e si intensificano nel decennio successivo con il ciclo delle “radici della terra” dove la lezione dell’Informale viene legata alla materia vegetale, per poi accostarsi in maniera autonoma all’ambito della poesia visiva. A partire dagli anni ’70 intraprende un’intensa attività di performer che lo porta alla ribalta nazionale. Nel contempo realizza grandi assemblaggi di oggetti degradati dal forte substrato simbolico. Nel 1984 la scomparsa della figlia Francesca determina una profonda crisi esistenziale che lo porta a sospendere l’attività espositiva, che poco prima aveva toccato una delle sue punte più alte con la mostra “A Guido Gozzano” allestita a Genova, nel Museo di Palazzo Bianco. Il suo ritorno, nel 1998, è segnato dalla grande retrospettiva “Metafore, metonimie, trasmutazioni”, curata da Sandra Solimano per il Museo di Villa Croce. Negli ultimi anni il suo lavoro si orienta verso una produzione grafica d’impronta visionaria, esposta in diverse sedi italiane ed estere.




Sanremo: Città invisibili. Dodici artisti per Italo Calvino




“CITTÀ INVISIBILI”
Dodici artisti per Italo Calvino

Una mostra allestita al
MUSEO CIVICO di PALAZZO BOREA D’OLMO - SANREMO
16 novembre 2012 - 26 gennaio 2013


La Fondazione Mario Novaro prosegue la quasi trentennale attività di studio e approfondimento intorno alla cultura ligure, realizzando una mostra dedicata a Le città invisibili di Italo Calvino, nel quarantennale della sua prima edizione (Einaudi, 1972). L’esposizione, promossa dalla Fondazione Novaro e dal Museo civico di Sanremo, con il patrocinio della Regione Liguria e dell’Archivio d’Arte Contemporanea dell’Uni­ver­sità di Genova, con il sostegno del Comune di Sanremo e dell’associazione “Mete di Liguria”, sarà inaugurata il 16 novembre (ore 18) a Palazzo Borea d’Olmo (via Matteotti 143), dove si potrà visitare fino al 26 gennaio 2013 (dal martedì al sabato, ore 9-19).

Curata da Walter Di Giusto, la mostra riunisce le opere di dodici artisti o gruppi: Maria Rebecca Ballestra, Piergiorgio Colombara, Walter Di Giusto, Mario Dondero, Luca Forno, Raffaele Maurici, Giuliano Menegon, Plinio Mesciulam, Raimondo Sirotti, Luiso Sturla, Lara Stuttgard e Gruppo Wabi. Gli autori si sono ispirati al tema delle città invisibili, lontane nel tempo e nello spazio, entità che vivono grazie al racconto per parole e immagini. Nelle pagine di Calvino, i resoconti di Marco Polo a Kublai Kan qualificano i luoghi stranieri incontrati nel corso del viaggio.

Oggi sono i protagonisti di questo progetto a fare lo stesso, attraverso la pittura, la fotografia, l’architettura, il web, addirittura il modello di abiti futuri, immaginando nuovi luoghi dove la vita sia possibile, diversa, migliore. Perché se è vero che il mondo contemporaneo è globalizzato, quindi risente di ciò che avviene anche molto lontano, è pur vero che la nostra vita quotidiana si svolge qui e ora, in una dimensione locale da ripensare con le nuove leggi imposte da una comunicazione velocissima.

Negli ambienti del museo Borea d’Olmo vengono esposte, oltre alle opere degli artisti, alcune edizioni del testo calviniano, fotografie, lettere e documenti sulla vita dello scrittore ligure. La mostra “Città invisibili” parte dalla città dove egli è vissuto in giovinezza, ma proseguirà tra marzo e aprile all’Accademia Ligustica di Genova. Entrambe le inaugurazioni saranno arricchite da una minisfilata di abiti e da alcune iniziative collaterali, tra cui incontri con studiosi e critici e laboratori con le scuole.

Il catalogo si intreccia con una delle attività della Fondazione Novaro: l’edizione della “Riviera Ligure”, quaderni monotematici che dal 1990 hanno ripreso la tradizione sostanziata da Mario Novaro all’inizio del secolo scorso, dando origine a uno straordinario caso letterario.

Il quaderno numero 69 rilegge la figura e l’opera di Italo Calvino, di cui scrivono Giorgio Bertone, Loretta Marchi, Leo Lecci, Claudio Bertieri, Gerson Maceri e Veronica Pesce (anche curatrice del quaderno). Ai loro saggi seguono pagine dedicate agli artisti invitati a partecipare alla mostra “Città invisibili”, ognuno presente con la riproduzione di una delle opere esposte accompagnata da una personale testimonianza: parole spesso poetiche, riflessive, originali quanto piccoli racconti.

Un catalogo-rivista, dunque, da cui ripartire per altri viaggi mentali o reali. 

mercoledì 31 ottobre 2012

Francia: Decentralizzazione, una riforma molto poco radicale




Anche in Francia si parla di decentramento amministrativo. Pubblichiamo la presa di posizione del Partito della Nazione Occitana sulle proposte di legge avanzate dal presidente socialista François Hollande. Ricordiamo che a differenza dell'Italia la Francia non ha finora riconosciuta alcuna forma di autonomia alle minoranze linguistico-nazionali (occitani, corsi, bretoni, baschi). 

Decentralizzazione : una riforma molto poco radicale

François Hollande è in procinto di avanzare proposte in merito alla riforma della decentralizzazione oggetto di un progetto di legge che sarà presentato in Senato agli inizi del prossimo anno.

Le regioni avranno competenza su occupazione, formazione, sostegno alle piccole e medie imprese e gestione dei fondi strutturali europei, ma la politica sociale resterà prerogativa dei dipartimenti, struttura amministrativa inutile che il Partito della Nazione Occitana da molto tempo propone di sopprimere. La transizione energetica sarà divisa tra lo Stato e i consorzi dei comuni nell'assenza ingiustificata delle regioni.

Il riconoscimento alle collettività territoriali di un potere ancora limitato di adattamento della legislazione rappresenta un'evoluzione positiva, ma sarebbe molto meglio se esse avessero un reale potere legislativo, cioè il potere di proporre e votare leggi.

Per quanto riguarda la riforma fiscale, è si prevista una parziale autonomia per queste collettività, ma senza peraltro intaccare il controllo dello Stato centrale. Il Partito della Nazione Occitana sostiene da parte sua che le regioni prelevino le imposte in loco come accade nei Paesi Baschi autonomi dello Stato spagnolo per poi versarne una parte, definita da una apposita negoziazione, allo Stato centrale.

Il Partito della Nazione Occitana lamenta inoltre che il capo dello Stato non abbia toccato la questione della democrazia linguistica in Francia che è legata alla decentralizzazione. Non è sufficiente che la Francia ratifichi la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie. Le regioni la cui lingua è differente dal francese debbono avere maggiori competenze in materia di lingua, di cultura (pubblicazioni, spettacolo, mezzi di comunicazione) e di educazione. Esse non potranno fare delle politiche coraggiose per la promozione delle loro lingue se non nella misura in cui esse influiranno sui contenuti dell'insegnamento e introdurranno il bilinguismo generalizzato, come in Corsica, nonché l'insegnamento in lingua regionale.

Ciò deve essere fatto attraverso una stretta cooperazione fra regioni parlanti una stessa lingua, considerato che tale cooperazione non si limiterebbe certo alle sole questioni linguistiche e culturali, ma potrebbe sboccare su un raggruppamento di regioni, senza escludere la ridefinizione territoriale di certe regioni per creare ad esempio una regione catalana in Roussillon, una regione basca nei Pirenei atlantici e delle istituzioni transfrontaliere la dove esse sono giustificate dalla prossimità linguistica e culturale.

Senza voler fare processi alle intenzioni, fintanto che una legge non sarà votata, è chiaro per il Partito della Nazione Occitana che le proposte di François Hollande non rimettono per nulla in causa il modello giacobino francese, così lontano dalle autonomie e dal federalismo di alcuni dei nostri vicini europei.
Saremo vigilanti quando il progetto di legge sarà esaminato dal senato.

24 ottobre 2012

Partito della Nazione Occitana

domenica 28 ottobre 2012

Vado Ligure come Taranto. No all'omertà e al silenzio!

Invitiamo tutti a partecipare. E' intollerabile che, con la complicità di Enti e Istituzioni, si continui a fare profitti sulla pelle delle persone.