TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 28 luglio 2015

Nicla Vassallo, Breve viaggio tra scienza e tecnologia, con etica e donne



Nicla Vassallo, Breve viaggio tra scienza e tecnologia, con etica e donne


Una volta superati i “sermoni retorici”, che da più parti si fanno sulla pericolosità della scienza, e quando siano stabiliti i confini tra la conoscenza scientifica e le sue applicazioni tecnologiche, si capisce meglio l’indipendenza della scienza dalla questione etica del bene e del male. Ciò tuttavia non comporta l’aver già risolto tutti i problemi che sono legati alla tecnologia, anche nelle sue ricadute sul corpo femminile, né si può dire superata la necessità di ricordare che l’aspirazione al conoscere rientra nella stessa costituzione dell’essenza umana. Tornare a chiedersi che cos’è la scienza serve piuttosto a limitare il ruolo dei valori non epistemici, che possono al limite entrare nel contesto della scoperta, ma non in quello della giustificazione dell’impresa scientifica.

Nicla Vassallo, filosofa di fama, abita attualmente in Liguria. Viaggia spesso, fisicamente e razionalmente, verso ogni realtà sapiente. Professore ordinario, rimane legata alle proprie radici accademiche londinesi. Il suo pensiero si distingue da tempo per il “fuggire dalle vecchie idee”. Impegnata civilmente e socialmente, evita i luoghi comuni e rifiuta la banalità dell’attrazione per l’estroso, alla costante ricerca di un’originalità vitale, oltreché filosofica, ricerca a favore dell’accrescimento della conoscenza e contro ogni sorta di ignoranza e petulanza.

Nicla Vassallo
Breve viaggio tra scienza e tecnologia, con etica e donne
Orthoes Editore, 2015

Asger Jorn - Go to Hell with your money!



mercoledì 29 luglio - Casa Museo Jorn - Albissola Marina

ASGER JORN - GO TO HELL WITH YOUR MONEY!

documentario biografico, anno 2014, durata 59’ [sottotitolato in inglese]

regia: Anna Von Lowzow & Lene Borch Hansen
produzione: Nordisk Film Production...

dalle 20:00 aperitivo e degustazione in giardino
dalle 21:00 proiezione


Il film racconta, attraverso le parole di chi lo conosceva, la vita dell’artista danese Asger Jorn (1914-1973) che visse e operò ad Albissola Marina dal 1954 fino a poco prima di morire, nella casa, oggi Museo, da lui donata al Comune. Il documentario viene proiettato per la prima volta in Italia dopo la première nel 2014 presso la Galleria Nazionale Danese (SMK) di Copenaghen alla presenza della principessa Mary.

Realizzato attraverso le testimonianze dirette di familiari, amici e artisti che l’hanno conosciuto, il documentario ricostruisce la personalità di Jorn e il suo percorso artistico mostrandone le opere e un esteso apparato documentario e audiovisivo.

Ne raccontano la storia, tra gli altri, il figlio Troels, che non ha mai imparato a chiamarlo papà, il pittore Bodil Kaalund, il cui padre era convinto che Jorn “sarebbe diventato qualcuno”, Giovanni Poggi, fondatore e anima delle Ceramiche San Giorgio, insieme a corrispondenze private di straordinario valore, diari, foto e video inediti.

Ne emerge chiaramente la figura di un uomo con una grande fiducia in se stesso, che non scendeva mai a compromessi tanto da rifiutare il premio Guggenheim conferitogli nel 1964 con un telegramma che iniziava con le parole che danno il titolo al film: “Go to hell with your money…”.

  

sabato 18 luglio 2015

La crisi greca e noi



Proponiamo un articolo interessante, scritto da un caro amico di Vento largo. Ne condividiamo pienamente la visione desolante di una sinistra (noi ci mettiamo anche Landini) residuo di una serie tragica di naufragi. Non ci convince (e speriamo che l'autore non ce ne voglia) invece la prima parte che, pur senza cadere nel piagnisteo populista sulle malefatte delle banche (terreno d'incontro possibile e in parte già in atto di sinistra e destra estrema), evita di confrontarsi con il tema vero: il tentativo di costruzione (oggi economico domani militare) di un imperialismo europeo in grado di reggere in un mondo sempre più globalizzato. Un processo complesso e contraddittorio, ma salvo sconquassi più generali irreversibile. Il concetto di “democrazia privata del suo popolo” non è nuovo. Fino alla prima guerra mondiale (che l'interventismo democratico ne fu il logico sbocco) sostanziò la critica radical democratica alla politica di costruzione nazionale post unitaria in termini non molto dissimili da quelli con cui oggi si  critica la costruzione unitaria europea. E sui limiti e le ambiguità del concetto resta illuminante il vecchio “Scrittori e popolo” (1964) dell'allora ancora operaista Asor Rosa . Insomma, c'è terreno per un confronto. Che invece è impossibile con i "rivoluzionari" da parrocchia che impazzano sulla rete. Quelli che, confondendo il marxismo con un pauperismo buonista da Azione Cattolica, si riparano sempre più dietro le parole del papa stravolgendone il senso. Tanto che “Francesco” del tutto a ragione si sgola a chiarire che lui non è comunista, e che “beati i poveri” e “il denaro sterco di Satana”, non c'entrano con Marx, ma sono da sempre la dottrina sociale della Chiesa.
Quanto umano è lei”, diceva Fantozzi al padrone. E viene da pensare che, come un tempo tanti a sinistra, incapaci di pensare a fondo la mostruosità dello stalinismo (togliattismo compreso), auspicavano un socialismo dal volto umano, oggi molti critici della Merkel in realtà vogliano solo un imperialismo europeo dal volto umano (in casa ovviamente, chè fuori, come dimostra la politica francese in Africa, non vale). 

Raffaele K. Salinari

La crisi greca e noi

Dopo l’accordo sul debito greco è legit­timo chie­dersi se l’Europa unita può ridursi ad una serie di Stati più o meno vas­salli della poli­tica libe­ri­sta a guida tede­sca. Come nel Medio Evo, infatti, oggi assi­stiamo ad una pro­gres­siva clas­si­fi­ca­zione ope­ra­tiva dei Governi euro­pei in vas­salli, val­vas­sini e val­vas­sori del capi­ta­li­smo teu­to­nico, sino ad arri­vare, secondo chi vuole ispi­rarsi a que­sta datata impo­sta­zione geo­po­li­tica, ad avere anche i servi delle gleba, in que­sto caso la Gre­cia o il più arren­de­vole Por­to­gallo. Ma se que­sto è il qua­dro di rife­ri­mento della poli­tica libe­ri­sta di stampo renano, la visione che se ne ha oltre oceano è ben diversa.

Da parte loro gli Usa capi­scono bene che, all’interno della cre­scente ten­sione con la Rus­sia, oggi inse­rita a pieno titolo all’interno dei Brics e della loro nascente poli­tica di auto­no­mia dalla Banca Mon­diale a guida ame­ri­cana, una Gre­cia dispe­rata potrebbe ten­tare due mosse entrambe pre­oc­cu­panti per gli equi­li­bri glo­bali: chie­dere un pre­stito alla neo­nata Banca Mon­diale per lo Svi­luppo finan­ziata dai BRICS, e aprire ulte­rior­mente le porte alle imprese cinesi per quanto con­cerne la pri­va­tiz­za­zione di infra­strut­ture por­tuali a par­tire dal Pireo.

Que­ste deci­sioni, ancora pos­si­bili, se non neces­sa­rie, in caso di una ulte­riore for­za­tura sui rien­tro del debito greco da parte della Troika, andreb­bero non sol­tanto a raf­for­zare i Brics nel loro insieme, ma a ten­dere ulte­rior­mente intorno all’Europa caro­lin­gia quell’arco di crisi già estre­ma­mente pre­oc­cu­pante che fu com­ple­tato dalla miope poli­tica euro­pea con l’esclusione della Tur­chia.

Se oggi, infatti, ci tro­viamo cir­con­dati da una morsa fer­rea che, par­tendo dal Magh­reb, arriva sino al Kosovo pas­sando per l’instabilità letale del Medio Oriente, lo dob­biamo anche alle poli­ti­che neo-ottomane dell’attuale diri­genza turca, e que­sto pro­ba­bil­mente non sarebbe acca­duto se i gover­nanti euro­pei aves­sero fatto dei cal­coli un po’ più lungimiranti.

Pur­troppo pare che la sto­ria, almeno quella recente, non abbia inse­gnato nulla né alla Mer­kel né tan­to­meno ai suoi vas­salli, come la Fran­cia di Hol­lande, o ai val­vas­sini, come l’Italia di Renzi. E allora, com’è pos­si­bile che que­sti governi subal­terni sia agli USA che alla Ger­ma­nia non rie­scano a eser­ci­tare una fun­zione di equi­li­brio all’interno dei loro stessi inte­ressi nazio­nali ma si siano spo­stati deci­sa­mente verso quelli mer­can­tili mit­te­leu­ro­pei?

Com’è pos­si­bile che i resi­dui di social demo­cra­zia fran­cese o il Par­tito demo­cra­tico a guida ren­ziana che vanta la stessa appar­te­nenza, non vogliano poter gio­care l’ultimo mar­gine nego­ziale che gli resta per non scom­pa­rire del tutto all’ombra delle Demo­cra­zia Cri­stiana tede­sca?

Qui sta l’arcano della poli­tica spet­ta­colo, della demo­cra­zia pri­vata del suo popolo, del potere fatto di annunci twit­tati, in breve della crisi radi­cale del modello demo­cra­tico euro­peo. Infatti, quando, come nel caso di Renzi, si giunge al potere senza nes­suna inve­sti­tura diretta da parte degli elet­tori, ma anzi, si con­ti­nua per­vi­ca­ce­mente ad ero­dere se non azze­rare le basi per la par­te­ci­pa­zione real­mente demo­cra­tica, cioè cri­tica, alla vita del pro­prio par­tito, quando solo le legit­ti­ma­zioni media­ti­che, anch’esse pilo­tate dai poteri forti, san­ci­scono l’appoggio alla lea­der­ship, ecco che può benis­simo avve­rarsi quella poli­tica da «Arlec­chino servo di due padroni» che il nostro Pre­si­dente del Con­si­glio pra­tica con molta disin­vol­tura: da un canto le pac­che sulle spalle da parte di Obama che in cam­bio di un sor­riso alla Casa Bianca ha infos­sato per altri anni le nostre truppe nel pan­tano afghano e, dall’altra, la sud­di­tanza alle poli­ti­che, non euro­pee ma interne, della Ger­ma­nia, anche qui in cam­bio di una serie di annunci di pro­ta­go­ni­smo nego­ziale a bene­fi­cio esclu­sivo dei media main­stream. In que­sto qua­dro la sini­stra anti­li­be­ri­sta ita­liana cerca un enne­simo rilan­cio par­tendo da resi­dui par­ti­tici o movi­men­ti­sti alquanto logo­rati dalle pas­sate scis­sioni e suc­ces­sive false ricomposizioni.

Ma non basta citare oggi Syriza come solo un paio di anni or sono si citava la Linke ed il suo modello orga­niz­za­tivo, o Pode­mos o ancora altre espe­rienze latino ame­ri­cane, non a caso nate in Paesi dove la sini­stra non ha la sto­ria da legno storto che vige in casa nostra, per creare le basi di una forza non solo in grado di gover­nare, come sta facendo Tzi­pras in Gre­cia, ma di con­vin­cere tutto un popolo della neces­sità di alzarsi in piedi e riven­di­care quelle che furono le basi dell’Europa di Ven­to­tene.

Forse sarebbe il caso di riflet­tere che, par­tendo dalla cri­tica della social­de­mo­cra­zia o avendo come oriz­zonte pro­gram­ma­tico l’essere alter­na­tivi a que­sto Pd ren­ziano, si fini­sce con l’usare le stesse cate­go­rie poli­ti­che di sem­pre, logore e inu­tili a pro­ce­dere oltre la crisi delle radici stesse di quel pen­siero.

La sini­stra del pre­sente deve supe­rare il richiamo ana­lo­gico, igno­rare le cor­ri­spon­denze ed i rimandi: rom­pere con l’appartenere alla stessa sfera cul­tu­rale e poli­tico orga­niz­za­tiva che si cri­tica.

È pro­prio que­sta rin­corsa che non con­vince i cit­ta­dini e li tiene lon­tani da un’alternativa che, invece, le for­ma­zioni poli­ti­che di altre realtà hanno costruito mat­tone dopo mat­tone usando cate­go­rie nuove, oltre le divi­sioni e dun­que le visioni del secolo scorso.

Da que­sto punto di vista quando si parla di «allon­ta­nare i reduci ed i guar­diani delle tombe» per­ché si intende sem­pre qualcun’altro e mai chi ha ten­tato negli ultimi vent’anni espe­ri­menti che al mas­simo hanno pro­dotto qual­che seg­gio buono per una ren­dita di oppo­si­zione?

Credo sia que­sta anche l’intuizione che muove la coa­li­zione sociale di Lan­dini. Se vogliamo essere coe­renti con la sfida di pen­sare le nuove cate­go­rie per una poli­tica dell’inclusione e della sal­va­guar­dia dell’ambiente, del diritto dei diritti fon­da­men­tali, allora biso­gna pro­gram­ma­ti­ca­mente dare spa­zio alle for­ma­zioni ine­dite, soste­nere nuove diri­genze, fare real­mente un passo indie­tro da parte di chi sino ad ora non ha con­cluso nulla se non con­ve­gni e car­telli fal­sa­mente pat­tizi, pro­muo­vere una gio­ventù che forse non ha un pas­sato ma che cer­ta­mente vuole avere un futuro.


Il manifesto – 17 luglio 2014

mercoledì 15 luglio 2015

Sputi in faccia e porcate: il PD e la Centrale di Vado




Pubblichiamo una pagina de Il secolo XIX di oggi che riporta i colloqui telefonici fra il presidente della regione, esponenti PD di governo, funzionari, amministratori e tecnici preposti alla tutela della salute su come sbloccare la Centrale elettrica di Vado e (parrebbe di capire) mettere fuori gioco i magistrati che stanno indagando su centinaia di morti per tumore.

Non commentiamo, nè diamo giudizi sulle persone. I fatti parlano da soli.

Come bene hanno capito i liguri alle ultime elezioni regionali.

Vero Paita?




The Duet in concerto alla Chiesa di Vispa


Una Chiesa diversa nella Val Bormida delle lotte operaie degli anni '60-70.
Un centro di aggregazione sociale e di cultura  con ospiti controcorrente come Dario Fo e Guccini.
Noi di Vento largo la ricordiamo così.

Performance Art a Quiliano



Biblioteca Civica A. Aonzo
Piazza Costituzione, Quiliano (SV)

Giovedì 16 luglio ore 20.30

Performance art

Artisti:
Mauro Andreani - Gianni Bacino - Paolo Bottari - Brigata Topolino (Mariano Bellarosa e Claudio Gavina)
Daniele D'Antonio/Jimmy Rivoltella - "effeci" (franzia/cassaglia)
Lino Genzano (video) - I Santini Del Prete (video) - Edo Pampuro/Raffaella Pisacane/Michela Tarchetti (danza)

Organizzazione: SACS


giovedì 9 luglio 2015

Raffaele K. Salinari, Frankenstein reloaded



Il Golem era ritenuto incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché privo di un'anima che nessuna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado di fornirgli

Raffaele K. Salinari

Frankenstein reloaded


«Ti chiesi io, Crea­tore, dall’argilla di crearmi uomo, ti chiesi io dall’oscurità di pro­muo­vermi…?». Così parla Adamo dopo la Caduta nei versi del Para­diso Per­duto di Mil­ton. Oggi que­sta rela­zione tra crea­tore e crea­tura torna pre­po­ten­te­mente di attua­lità, spe­cie se l’agente cau­sale della crea­zione è l’uomo stesso. È recente, infatti, la noti­zia del riu­scito tra­pianto, per la prima volta in Europa — in Inghil­terra — di un cuore espian­tato da un cada­vere, di un organo cioè cli­ni­ca­mente morto, con­sen­tito da una tec­nica di «ricon­di­zio­na­mento» dei tes­suti. Una meto­dica che apre la porta all’entrata nella vita reale di quell’archetipo dell’immortalità fisica attra­verso la rivi­ta­liz­za­zione della mate­ria orga­nica, già magi­stral­mente illu­strato dal Frank­en­stein o il moderno Pro­me­teo di Mary Shelley.

I Pro­me­tei del passato

Pro­me­teo: il Titano che rubò il fuoco dagli dei per donarlo all’umanità; da sem­pre il sim­bolo della libe­ra­zione dalla schia­vitù dell’ignoranza e l’anelito alla cono­scenza come fonte di libertà. Ma anche la meta­fora della hýbris, dell’orgoglio che vìola leggi immu­ta­bili, con la con­se­guente néme­sis, la puni­zione divina, in que­sto caso per una cono­scenza di forze supe­riori che si pos­sono rivol­tare con­tro chi non è in grado di gestirle, per­ché il livello evo­lu­tivo non è ancora in grado di disper­dere le ombre che sca­tu­ri­scono dalla loro luce.

E così, prima del mostro gotico per eccel­lenza, la Crea­tura di Mary Shel­ley, altri ante­ce­denti mito­lo­gici e let­te­rari ci nar­rano della volontà dell’uomo di ricreare la vita imi­tando il suo stesso Crea­tore. Già nella Bib­bia, nel Salmo 139–16 infatti, com­pare la figura del Golem. Il ter­mine deriva pro­ba­bil­mente dalla parola ebraica gelem che signi­fica «mate­ria grezza» o «embrione», che gli Ebrei acco­mu­nano ad Adamo prima che gli fosse infusa l’anima.



Secondo la tra­di­zione caba­li­stica, dai poteri legati alla medi­ta­zione sui nomi di Dio si può fab­bri­care un Golem di argilla che può essere usato come servo. Si dice che il Golem sia stato creato attra­verso le for­mule con­te­nute nel Sefer Yetzi­rah — «Libro della for­ma­zione» o «Libro della Crea­zione» — il più impor­tante testo di rife­ri­mento dell’esoterismo ebraico risa­lente alla sapienza diAvra­ham, Abramo, che si distin­gue per l’esegesi dell’alfabeto e della cor­ri­spon­denza tra la dieci Sefi­rot e l’anatomia del corpo umano. Le Sefi­rot nella Cabala ebraica sono le dieci «ema­na­zioni» divine, cioè le moda­lità o gli «stru­menti» attra­verso cui Dio si rivela e con­ti­nua­ti­va­mente crea sia il Regno fisico che la Catena dei Reami meta­fi­sici supe­riori (Seder hish­tal­she­lus).

Il Golem era rite­nuto inca­pace di pen­sare, di par­lare e di pro­vare qual­siasi tipo di emo­zione per­ché privo di un’anima che nes­suna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado di for­nir­gli. Que­sto sot­tile dia­framma separa, almeno nella tra­di­zione caba­li­stica, il Crea­tore dall’uomo, inca­pace di gene­rare la coscienza di sé: ciò che distin­gue in essenza la vita supe­riore da quella inferiore.

Nelle sto­rie nar­rate da Ahi­maaz ben Pal­tiel, cro­ni­sta medie­vale del XII secolo, si narra come nel IX secolo il rab­bino Ahron di Bag­dad, sco­prisse un Golema Bene­vento: era un ragazzo cui era stata donata la vita per mezzo delle for­mule magi­che con­te­nute nel Sefer Yetzi­rah. Sem­pre alla fine del IX secolo, secondo Ahi­maaz, nella città di Oria, in Puglia, risie­de­vano dei sapienti ebrei capaci di creare il Golem. È inte­res­sante notare come le let­tere, che per la tra­di­zione caba­li­stica potreb­bero essere uti­liz­zate per creare un Golem, sono le stesse con­ser­vate nelle pic­cole Mezu­zah — con­te­ni­tori del deu­te­ro­no­mio — sim­boli di alleanza con Dio, che si tro­vano presso le porte di ingresso delle case ebraiche.



Ancora oggi, ad esem­pio nel ghetto di Vene­zia, è pos­si­bile osser­varle. La Mezu­zah viene fis­sata obli­qua, come la vita. La sua fun­zione è ren­dere coscienti dei pro­pri doveri. Per i mistici ebrei, dun­que, la vita non si illu­mina se non c’è volontà con­sa­pe­vole. I caba­li­sti dicono che solo così si può var­care Mal­khut: lasefirà ove la luce cam­bia dire­zione, pas­sando dalla discesa alla salita. In chi non ha meriti è il luogo ove si fa espe­rienza della Caduta; per chi eser­cita la retta inten­zione è invece l’inizio della tra­sfi­gu­ra­zione; evi­den­te­mente tra le rette inten­zioni non rien­tra la volontà di ricreare la vita.

Tutte le leg­gende ine­renti il Golem, infatti, hanno in comune sia la volontà crea­trice dell’uomo che si vuole ele­vare a Demiurgo, sia la puni­zione divina per un’opera pro­me­teica che tra­va­lica le sue capa­cità. Non a caso la figura delGolem viene richia­mata nel romanzo della Shel­ley come ispi­ra­zione del dot­tor Frank­en­stein sia dal punto di vista dei limiti della crea­zione umana, anche laCrea­tura è appa­ren­te­mente senza anima, sia dal punto di vista della par­ti­co­la­ris­sima nemesi divina che si mani­fe­sta attra­verso l’attivazione di una oscura forma di coscienza da cui l’essere creato dall’uomo è comun­que in qual­che modo ani­mato e che fini­sce, pro­prio per que­sto, per rivol­tarsi con­tro il suo crea­tore che non lo rico­no­sce per ciò che egli sente di essere: un’entità forse non umana e tut­ta­via dotata di una con­sa­pe­vo­lezza pro­pria che vuole essere gratificata.

Tutti que­sti ele­menti sono magi­stral­mente rias­sunti nella vicenda del Golemcreato da Rabbi Loewe (1513–1609), cele­bre rab­bino in Praga, costrut­tore, secondo la leg­genda, di un poten­tis­simo essere di fango, usato come schiavo ma che, ad un certo punto, si ribella al domi­nio del suo dispo­tico crea­tore. La sto­ria narra come il Golem si rivol­tasse pro­prio per­ché non era rico­no­sciuto in lui lo «spi­rito», la sua vita equivalente.



Nel XII secolo esisteva una versione della leggenda secondo la quale, per animare il Golem, veniva scritta sulla sua fronte la parola «verità», in ebraicoתמאemet; quando veniva cancellata la lettera iniziale, l’Aleph, restava la parola «morte»,תמmet, ed egli si disa­ni­mava. Un giorno il rab­bino lasciò il servo di fango da solo; arri­vata la sera il Golem trovò una sua forma di esi­stenza e libertà tra le pola­rità oppo­ste della vita e della morte. Ine­briato da que­sta nuova sen­sa­zione fuggì semi­nando panico tra gli abi­tanti del ghetto ed alla fine solo la pre­senza di un bam­bino, un essere come lui inno­cente, lo fermò. La scena finale è que­sta: il Golem si inchina dinanzi al bam­bino che, invece di can­cel­lar­gli la let­tera, acca­rezza tutta la parola, così che egli possa final­mente morire, come un essere che ha vera­mente vissuto.

Una ver­sione della leg­genda, illu­strata da Dino Bat­ta­glia e pub­bli­cato sulla rivi­sta Linus nel mag­gio del 1971, fini­sce con que­sta frase illu­mi­nate: «Chi potrà dirci cosa pen­sava Dio nel guar­dare il suo rab­bino in Praga?».

Altro essere creato dall’uomo attra­verso le arti arcane è l’Homun­cu­lus attri­buito, tra gli altri, a Para­celso, il cele­bre medico ed alchi­mi­sta sviz­zero (1493–1514), il cui vero nome era Phi­lipp Theo­ph­rast von Hohe­n­heim. Nel testo del suo De natura rerum, per la verità più pro­ba­bil­mente un testo pseu­do­pa­ra­cel­siano, tro­viamo una ricetta in pro­po­sito, che parte da uno sper­ma­to­zoo (la fonte di vita), oppor­tu­na­mente alle­vato: «Se la fonte di vita, chiusa in un’ampolla di vetro sigil­lata erme­ti­ca­mente, viene sep­pel­lita per qua­ranta giorni in letame di cavallo e oppor­tu­na­mente magne­tiz­zata, comin­cia a muo­versi e a pren­dere vita. Dopo il tempo pre­scritto assume forma e somi­glianza di essere umano, ma sarà tra­spa­rente e senza corpo fisico. Nutrito arti­fi­cial­mente con arca­num san­gui­nis homi­nis per qua­ranta set­ti­mane e man­te­nuto a tem­pe­ra­tura costante pren­derà l’aspetto di un bam­bino umano. Chia­me­remo un tale essere Homun­cu­lus, e può essere istruito ed alle­vato come ogni altro bam­bino fino all’età adulta, quando otterrà giu­di­zio ed intelletto».

Que­sta tra­sfi­gu­ra­zione gui­derà anche la crea­zione dell’Homun­cu­lus nel Faust II di Goe­the. A que­sto pro­po­sito Pie­tro Citati, nel suo Goe­the, osserva che la meta che Faust si pro­pone è la più alta meta sim­bo­lica che Goe­the abbia mai pro­po­sto agli uomini: redime e sal­vare la natura.

Da notare anche in Para­celso, come poi sarà in Frank­en­stein, il rife­ri­mento alla «magne­tiz­za­zione» come forza agente della rivi­ta­liz­za­zione di sostanze orga­ni­che, che tro­viamo già nel ‘700 ad ani­mare un «falso automa» per eccel­lenza, ilTurco del barone unghe­rese Wol­fgang Von Kem­pe­len. Anche que­sta fan­ta­stica mac­china, infatti, capace di gio­care a scac­chi e di scon­fig­gere i più grandi scac­chi­sti euro­pei ed ame­ri­cani di quel secolo, si diceva fosse ani­mata dal «magne­ti­smo ani­male» stu­diato da Franz Anton Mesmer (1734–1815) e dun­que noto con il nome di «mesmerismo».

La noto­rietà del «mesme­ri­smo» è tale che Mozart, nel finale del primo atto della sua cele­bre opera Così fan tutte, fa «resu­sci­tare» Fer­rando e Guglielmo dalla came­riera Despina la quale, tra­ve­stita da medico, ria­nima i due ser­ven­dosi di una cala­mita, men­tre canta: «Que­sto è quel pezzo di cala­mita: pie­tra mesme­rica, ch’ebbe l’origine nell’Alemagna, che poi sì cele­bre là in Fran­cia fu».

Va detto che anche E. A. Poe, inda­ga­tore del segreto del Turco, era un seguace del «mesme­ri­smo», tanto da scri­vere alcuni cele­bri rac­conti sull’argomento, tra i quali Rive­la­zione Mesme­rica (o Magne­tica), in cui rac­conta di un sog­getto «mesme­riz­zato» che, in punto di morte, comin­cia a descri­vere la vita nell’aldilà. Qui lo scrit­tore dei più avvin­centi rac­conti dell’orrore senza nome rove­scia, in que­sto modo, l’archetipo delle crea­zione della vita mon­dana in quella dell’aldilà.



Gal­vani e Volta

Ma, oltre a que­ste ascen­denze leg­gen­da­rie o misti­che pre­senti nel romanzo, al tempo della con­ce­zione del Frank­en­stein furono ben più attuali ed influenti le evi­denze scien­ti­fico spe­ri­men­tali, dato che sin dalla metà del XVIII secolo diversi stu­diosi sta­vano esplo­rando la con­creta pos­si­bi­lità di rivi­ta­liz­zare la mate­ria inerte ren­den­do­gli quel «fluido vitale», come si pen­sava allora, che distin­gueva la vita orga­nica da quella inor­ga­nica. La lunga serie di ten­ta­tivi con­creti di dare nuova vita ai tes­suti morti nasce con il «gal­va­ni­smo», ter­mine deri­vato dagli espe­ri­menti di Gal­vani e di Volta.

Lo scien­ziato bolo­gnese stu­diò in par­ti­co­lare il cosid­detto feno­meno dell’elet­tri­cità ani­male svi­lup­pando, sulla base di que­sto assunto, la teo­ria secondo la quale gli esseri viventi fos­sero in pos­sesso di una sorta di elet­tri­cità intrin­secapro­dotta dal cer­vello, pro­pa­gata al corpo tra­mite i nervi, ed infine imma­gaz­zi­nata nei muscoli. Gli espe­ri­menti del padre della neu­ro­fi­sio­lo­gia nascono dalle osser­va­zioni di Ben­ja­min Frank­lin che, nel 1750, aveva dimo­strato come nell’atmosfera fosse pre­sente una carica elet­trica natu­rale che genera i lampi. Così Gal­vani nel 1786 cercò di capire se e come l’elettricità pre­sente nell’atmosfera potesse gene­rare con­tra­zioni musco­lari; si accorse ben pre­sto, però, che i due feno­meni, quello natu­rale cioè estrin­seco e quello endo­geno, intrin­seco ai corpi — in que­sto caso delle famose «rane pre­pa­rate» — erano sì di natura simile, ma diversi per generazione.

Lo scien­ziato, come spesso suc­cede, ebbe l’intuizione fon­da­men­tale durante un enne­simo espe­ri­mento per col­le­gare l’elettricità natu­rale al feno­meno delle con­tra­zioni: era il 1781; Gal­vani, aveva «pre­pa­rato» una rana, con i nervi cru­rali e il midollo spi­nale iso­lati, e l’aveva posta ad una certa distanza da una Bot­ti­glia di Leida, il primo rudi­men­tale gene­ra­tore di ener­gia elet­trica messo a punto, nell’omonima città, dall’olandese Pie­ter van Mus­schen­broek nel 1746. Durante lo scocco di una scin­tilla un assi­stente toccò per distra­zione con la pinza il nervo cru­rale sco­perto e que­sto pro­vocò un’intensa con­tra­zione delle cosce dell’animale.

Gal­vani rimase impres­sio­nato dall’evento – la pos­si­bi­lità cioè che esi­stes­sero altre forme di elet­tri­cità, oltre quella natu­rale estrin­seca — e decise di appro­fon­dire l’intuizione.

Dopo diversi espe­ri­menti riu­scì final­mente ad otte­nere delle con­tra­zioni col­le­gando, attra­verso un con­dut­tore metal­lico, le strut­ture ner­vose, nervi o midollo spi­nale, ai muscoli delle zampe. In que­sto modo Gal­vani aveva creato un sorta di cir­cuito simile a quello che si for­mava pro­prio nella Bot­ti­glia di Leida.

Nel suo De viri­bus elec­tri­ci­ta­tis in motu muscu­lari com­men­ta­rius del 1791, il bolo­gnese illu­stra le sue con­clu­sioni: esi­ste negli ani­mali una elet­tri­cità intrin­seca che egli chiama «elet­tri­cità animale».

Negli ani­mali, dun­que, esi­ste la capa­cità di imma­gaz­zi­nare il fluido elet­trico e di man­te­nerlo in uno stato di ecci­ta­zione poten­ziale che l’arco con­dut­tivo è in grado di met­tere in movi­mento pro­du­cendo la con­tra­zione muscolare.



Que­sta teo­ria fu poi con­te­stata da Volta che ini­ziò a con­si­de­rare l’idea che l’elettricità potesse deri­vare dai metalli stessi. Ben­ché Gal­vani dimo­strasse, nel 1797, che la con­tra­zione poteva essere pro­vo­cata con­net­tendo diret­ta­mente due nervi dell’animale senza l’utilizzo dell’arco metal­lico, que­sto espe­ri­mento, con­si­de­rato come fon­dante l’elettrofisiologia, non venne com­preso nelle sue impli­ca­zioni poi­ché Volta era riu­scito nel frat­tempo a creare una mac­china che poteva gene­rare ener­gia: la pila.

Il suc­cesso di que­sta inven­zione portò in auge Volta e l’ipotesi dell’elettricità ani­male venne accantonata.

Tut­ta­via qual­che decen­nio dopo, quando si com­prese che a gene­rare l’elettricità della pila erano gli ioni pre­senti nella solu­zione salina e che il ruolo dei metalli era solo quello di tra­sfor­mare l’energia chi­mica di que­sti ioni in ener­gia elet­trica, le intui­zioni di Gal­vani furono rivalutate.



Frank­en­stein Junior

In tutto que­sto la parte di com­pri­ma­rio venne gio­cata dal nipote di Gal­vani, Gio­vanni Aldini, una sorta di Frank­en­stein Junior che, tra il 1802 e il 1803, a Lon­dra, ese­guì degli espe­ri­menti su cada­veri umani e ani­mali con l’esplicito intento di ripor­tarli in vita: col­le­gava alcuni elet­trodi a teste moz­zate otte­nendo così delle con­tra­zioni dei muscoli pel­lic­ciai (quelli che gene­rano le varie espres­sioni del volto) e, mira­bile visu, a volte l’apertura delle pal­pe­bre, con effetti sugli spet­ta­tori che si pos­sono imma­gi­nare. Se poi gli elet­trodi veni­vano col­le­gati ai corpi deca­pi­tati si ave­vano vere e pro­prie con­vul­sioni e movi­mento degli arti che, per un momento, davano l’illusione di una pos­si­bile rinascita.

Come ci ricorda Alex Boese nel suo docu­men­ta­tis­simo Ele­fanti in acido, la dimo­stra­zione più cele­bre rimane quella svol­tasi a Lon­dra, al Royal Col­lege of Sur­geons, il 17 gen­naio 1803: «L’assassino ven­ti­seienne George For­ster, impic­cato per l’omicidio di moglie e figlio, appena stac­cato dalla forca fu por­tato nella sala del col­le­gio. Aldini col­legò i poli di una bat­te­ria rame-zinco da 120 volt a diverse parti del corpo di For­ster: al volto innan­zi­tutto, quindi alla bocca e alle orec­chie. I muscoli della mascella ebbero uno spa­smo e l’espressione dell’assassino divenne una smor­fia di dolore. L’occhio sini­stro si aprì, fis­sando sbar­rato il suo tor­tu­ra­tore. Aldini divenne l’onnipotente burat­ti­naio di quella mario­netta disar­ti­co­lata: fece bat­tere un brac­cio sul tavolo, inar­care la schiena, fece aprire i pol­moni in un ango­sciato respiro.

Poi, il gran finale: col­legò un polo ad un orec­chio e infilò l’altro nel retto. Il cada­vere comin­ciò una danza grot­te­sca e ter­ri­bile. Scrisse l’inviato del Lon­don Times che la mano destra si era alzata strin­gendo il pugno, men­tre le gambe e i fian­chi ave­vano ini­ziato a muo­versi. Agli spet­ta­tori non infor­mati su quel che stava suc­ce­dendo sem­brò dav­vero che il corpo di quel disgra­ziato fosse sul punto di ripren­dere vita».

Non sap­piamo se Aldini abbia anche ten­tato di rige­ne­rare sta­bil­mente un sin­golo organo morto, cosa impro­ba­bile per quei tempi senza tra­pianti, ma sap­piamo per certo che pro­prio dai suoi espe­ri­menti Mary Shel­ley trasse ispi­ra­zione per il per­so­nag­gio del dot­tor Frankenstein.



L’intelligenza del cuore

Dagli espe­ri­menti di ria­ni­ma­zione dell’800 dovremo atten­dere un cen­ti­naio di anni prima di arri­vare alle tec­ni­che tra­pian­ti­sti­che attuali, favo­rite nel tempo da una mag­giore cono­scenza sia della neu­ro­fi­sio­lo­gia e dell’immunologia, sia da un avan­za­mento tec­no­lo­gico in vari campi cor­re­lati. Si arriva così al primo inter­vento, quello ope­rato da Chri­stian Bar­nard nel lon­tano 1967, con tutti gli inter­ro­ga­tivi che poneva la nuova tec­nica: cos’è una per­sona, cosa ne forma l’individualità unica ed irri­pe­ti­bile, è pos­si­bile «restare se stessi» rice­vendo organi di un altro indi­vi­duo, soprat­tutto il cuore, vaso sim­bo­lico dei sen­ti­menti e delle regioni più pro­fonde dell’essere?

Ma Bar­nard, e molti altri dopo di lui, aveva tra­pianto un cuore pul­sante, vivo. Oggi, con il «ricon­di­zio­na­mento» di un cuore morto tra­pian­tato su un vivo, que­sti inter­ro­ga­tivi si espan­dono ulte­rior­mente: è ammis­si­bile ria­ni­mare un cada­vere, cioè resu­sci­tarlo? Porsi cioè alla stessa stre­gua della divi­nità, per chi ci crede almeno, che ne ha decre­tato la morte? In que­sta serie di que­stioni, da cui ovvia­mente ne con­se­guono molte altre – prima tra tutte la defi­ni­zione stessa di morte — risiede il senso di un dibat­tito che ondeg­gia tra psi­co­lo­gia, etica, medi­cina e religione.

Nes­sun organo come il cuore, infatti, assomma in sé sia la sim­bo­lica del prin­ci­pium indi­vi­dua­tio­nis cioè dell’unicità iden­ti­ta­ria di un indi­vi­duo, sia quello di una «intel­li­genza supe­riore», l’intelligenza del cuore appunto, in grado di far risuo­nare il nostro organo con quello della Crea­zione e del suo Crea­tore stesso, sim­bo­leg­giato nell’iconografia cri­stiana, dal Cuore di Gesù o da quello della Ver­gine dei sette dolori, tra­fitto di spade.

«Il cuore e non la ragione sente Dio» dice Pascal. Ma è cer­ta­mente S. Ago­stino il fon­da­tore del pri­mato del cuore: «Non cor­po­ris voce, quae cum stre­pitu ver­be­rati aeris pro­mi­tur, sed voce cor­dis, quae homi­ni­bus silet, Deo autem sicut cla­mor sonat»… non con la voce del corpo, la cui sono­rità risulta dalla vibra­zione dell’aria, ma con la voce del cuore, che è silen­ziosa per gli uomini, ma innanzi a Dio risuona come un grido. Una visione reli­giosa avva­lo­rata poi sul piano laico dall’avvento dell’Amor Cor­tese di cui Dante, suo seguace, si ser­virà nel descrive il Para­diso.

Ma la supre­ma­zia del cuore in quanto organo cen­trale dell’individualità, più fon­dante in que­sto senso del cer­vello, la tro­viamo già in Ari­sto­tele che, nel suoDe gene­ra­tione ani­ma­lium ci dice come sia il cuore che primo si svi­luppa e poi, a sua volta, svi­luppa l’embrione, arri­vando ad affer­mare che «il prin­ci­pio natu­rale è nel cuore».

Anche Isi­doro di Sivi­glia, l’enciclopedico sag­gi­sta medioe­vale, nel suo monu­men­tale trat­tato Ety­mo­lo­gia­rium sive Ori­gi­num afferma che: «Cuore è nome deri­vato dal greco kar­dias, ovvero dal sostan­tivo cura: nel cuore, infatti, risie­dono ogni sol­le­ci­tu­dine e causa di cono­scenza (causa scien­tiae)».



James Hill­mann nel suo L’anima del mondo ed il pen­siero del cuore sostiene che l’inizio del pro­cesso di «ricom­po­si­zione» della scis­sione che esi­ste tra il mondo den­tro e quello fuori di noi muove dalla con­sa­pe­vo­lezza di una comune appar­te­nenza. Per ren­derla effet­tiva è neces­sa­rio «scru­tare con­sa­pe­vol­mente l’abissale che esi­ste dentro-fuori di noi, restando in equi­li­brio, sof­fer­man­doci in que­sto pen­siero». L’abissale, secondo Hill­mann è il nostro stesso cuore, la nostra essenza più con­trad­dit­to­ria ed inesplorata.

Evi­den­te­mente il cuore del quale parla lo psi­ca­na­li­sta del Puer Aeter­nusè quello sim­bo­lico, sede della forza vitale che ci col­lega con l’anima del mondo. «È que­sto il cuore che vogliamo in petto», con­ti­nua Hill­mann, «non la mera pompa che si gua­sta in-farcita dello stress cui ci sot­to­pone la vita nella moder­nità». L’immagine che abbiamo del nostro cuore è dun­que fon­dante, per­ché ce lo resti­tui­sce come visione di qual­cosa che è pre­ci­sa­mente dentro-fuori di noi, che lega il nostro corpo par­ti­co­lare con il resto del mondo, pom­pando il fluido vitale che col­lega, attra­verso l’ossigeno, ogni sin­gola cel­lula pro­prio a quella atmo­sfera che ci con­sente la vita. Que­sta capa­cità del cuore di imma­gi­narsi nel mondo allo stesso tempo imma­gi­nando il mondo, cioè crean­dolo dalla natura stessa della sua pro­pria natura, è detta himma dal poeta-filosofo Ibn Arabi.

Certo il cuore è anche l’organo delle pas­sioni più feroci, basti pen­sare all’episodio del Deca­me­rone in cui Mes­ser Gui­glielmo Ros­si­gnone dà in pasto a sua moglie il cuore di Mes­ser Guar­da­sta­gno, ucciso da lui per­ché amante da lei. L’antropofagia poi, in ogni tempo e cul­tura, ed ancora oggi negli epi­sodi più bar­bari delle guerre attuali, vede l’atto di strap­pare e poi man­giare il cuore del nemico sia come forma di appro­pria­zione delle sua forza vitale sia come estremo sfre­gio al suo cadavere.

Anche nella Vita nuova, però, sem­pre in omag­gio alla visione «cor­diale» dell’Amor Cor­tese, Dante sogna che la sua amata gli mangi il cuore, volendo con que­sto sim­bo­leg­giare il rapi­mento spi­ri­tuale che lo coglie alla vista della figura di Bea­trice. Arri­vando ai nostri tempi, basti rife­rire l’inquietudine della signoraWash­kan­sky, moglie del primo tra­pian­tato che, alle domande dei gior­na­li­sti sul suo stato d’animo rispon­deva: «Quello che real­mente mi pre­oc­cupa è che mio marito non mi ami più». 

Ancora più sot­tile, però, fu il senso della rispo­sta alla domanda posta al tra­pian­tato stesso che aveva, da ebreo, avuto in dono dalla chi­rur­gia il cuore da un «gen­tile»: Wash­kan­sky disse che «si sen­tiva» benis­simo, come pure il secondo tra­pian­tato da Bar­nard che rice­vette, da bianco nel Sud Africa raz­zi­sta, il cuore di un nero, con la con­se­guenza di una lunga dia­triba filosofico-politica sulla pos­si­bi­lità che il cuore di un nero potesse entrare, con il suo nuovo corpo, nei locali per soli bianchi!

Infine vale la pena ricor­dare un topos della mira­co­li­stica cri­stiana: il tra­pianto ad opera dei Santi Medici Cosima e Damiano, nel III secolo d. C., della gamba di un nero su un bianco.

E dun­que, anche se la scienza avanza di buon passo, le ascen­denze filo­so­fi­che e sim­bo­li­che reste­ranno per­ma­nenti per molto altro tempo met­tendo il nostro cuore al posto giu­sto, facen­done sem­pre cioè il luogo dell’identità sen­ti­men­tale, anche quando, forse un giorno non lon­tano, saremo tutti delle nuove Crea­tureper­ché, nono­stante le diverse parti pos­sano pro­ve­nire da corpi diversi, come diceva già Nie­tzsche, «ciò che pensa ed ama è il nostro corpo nel suo insieme».


Il manifesto – 4 luglio 2015

lunedì 6 luglio 2015

Grecia, tre motivi per la clamorosa vittoria del NO al referendum. E adesso?



La "domenica più lunga" per la Grecia e l'Ue, vista da Atene. Una corrispondenza di Mauro Faroldi.

Mauro Faroldi

Grecia, tre motivi per la clamorosa vittoria del NO al referendum. E adesso?

La “domenica più lunga è finta da poche ore”, e da poche ore si è spento in piazza Syntagma, la piazza della Costituzione, il clamore dei vincitori, i sostenitori del no al referendum.

Un risultato clamoroso: il no, dato indietro di stretta misura su tutti i sondaggi, ha vinto raggiungendo il 61,31%. Come spiegare un consenso così plebiscitario a un governo che alle ultime elezioni aveva raggiunto poco più del 42% dei consensi e sta governando grazie a un generoso premio di maggioranza garantito dalla legge elettorale del paese?

A mio avviso ci sono tre motivi principali. Il primo è che il tentativo dell’opposizione, supportata da tutte le cancellerie europee con in testa quella tedesca, di far passare (conoscendo la vocazione europeista dei greci) il sì o il no al referendum come un sì o un no alla permanenza nell’Unione Europea è fallito. Il governo chiedeva col referendum il consenso per sottoscrivere o no un accordo – definito da Tsipras un ultimatum e dalla Merkel un “buon accordo” – su una serie di pesanti misure economiche richieste dalla “troika”.

Il secondo è che l’opposizione non è riuscita a smuovere e a portare a votare sì quella grande massa di greci, che tradizionalmente votava al centro o a destra, e che ormai non si reca più a votare. Al referendum, vissuto specialmente nella seconda parte della scorsa settimana in maniera estremamente emozionale, alla fine hanno votato meno degli elettori delle ultime elezioni politiche.



Il terzo è che la chiusura delle banche, le file ai Bancomat dove i prelevamenti avevano un tetto massimo di 60 euro giornalieri, non hanno indotto la popolazione a “più miti consigli” come speravano l’opposizione e gli ambienti finanziari europei, e come temevano anche molti sostenitori del no; al contrario, hanno suscitato un esplodere dell’orgoglio nazionale e spinto molti a votare no.

Non amo e non voglio scendere nella retorica, ma popolazione greca ha dimostrato di essere un “osso duro”, di saper dire no anche in situazioni estremamente sfavorevoli e difficili, e non è la prima volta nella sua storia.

Finiti i festeggiamenti, lo sventolio delle bandiere biancoazzurre, i salti di gioia, per il governo Tsipras riprende una strada che non può essere che in salita. Per cogliere i frutti del suo successo deve raggiungere al più presto un accordo per ottenere gli aiuti di giugno con cui continuare saldare una delle infinite scadenze dei debiti che soffocano il Paese.

Deve trovare il modo di rimediare ai pagamenti non saldati, sempre a giugno, che pongono la Grecia in situazione di insolvenza e quindi con un piede e mezzo nel baratro del default. Deve convincere, e questo nelle prossime ore, la BCE a far ripartire il sostegno ELA (la fornitura di liquidità d’emergenza) alle banche greche.

Senza liquidità, il governo sarebbe infatti costretto a battere moneta uscendo di fatto dall’euro, e aprendo in questo una fase ancora più incerta e difficile e sicuramente molto più dolorosa almeno in un primo periodo, da misurare in anni e non certo in mesi. Il momento è così difficile che il  ministro dell’economia Yanis Varoufakis, inviso da BCE e FMI, si è dimesso stamattina per facilitare le trattative e raggiungere un accordo.

Il momento è cruciale, Tsipras forse fin da oggi si presenterà a Bruxelles con in mano un pacco di voti che hanno sostenuto la sua scelta, una piccola carta in più in questa estenuante partita a poker che dura ormai da cinque mesi. Ma questo determinerà ben poco le trattative, che dipenderanno dalle valutazioni delle cancellerie europee e dei centri finanziari: se è conveniente tenersi nella moneta unica una Grecia “inaffidabile, indisciplinata e ribelle” o se abbandonarla a se stessa.



venerdì 3 luglio 2015

Beppe Schiavetta "di LEGNO di TERRA"


Giovanni Boine e Francesco Biamonti



Itinerari di Letteratura 2015
Ultimo appuntamento: Giovanni Boine

Sabato 4 luglio 2015 alle 17.30
San Biagio della Cima, Centro Polivalente "Le Rose"


Si parlerà di Giovanni Boine, di Adelaide Coari, di Caproni, di Rebora, di Padre Semeria, della Prima Guerra Mondiale, del Protofemminismo italiano e soprattutto, come sempre, di Francesco Biamonti, con Andrea Aveto e Veronica Pesce dell'Università di Genova

Parole "Ubikate in mare": Massimo Recalcati a Spotorno



Libreria Ubik Savona

Lo psicoanalista Massimo Recalcati inaugura il Festival Parole "Ubikate in mare"...

Venerdì 3 luglio ore 21,15
Piazza della Vittoria - Spotorno
incontro con lo psicoanalista
MASSIMO RECALCATI
e presentazione del libro
“Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno”
(Feltrinelli)


Recalcati volge lo sguardo alla madre, andando oltre i luoghi comuni, anche di matrice psicoanalitica, che ne hanno caratterizzato le rappresentazioni più canoniche. Attraverso esempi letterari, cinematografici, biblici e clinici, questo libro racconta i volti diversi della maternità mettendo l'accento sulle sue luci e le sue ombre. Non esiste istinto materno; la madre non è la genitrice del figlio; il padre non è il suo salvatore...



giovedì 2 luglio 2015

Beppe Dellepiane, “Pagine da ‘Carta santa’ e altri lavori”



A conclusione della personale di Beppe Dellepiane, “Pagine da ‘Carta santa’ e altri lavori”, Entr’acte propone per giovedì 2 luglio, a partire dalle 17,30, un’apertura straordinaria, rivolta in particolare a quanti non abbiano potuto visitarla in precedenza.
Nell’occasione verrà presentato il primo numero di a-quattro, foglio aperiodico di Entr’acte, con cinque nuovi componimenti poetici dell’artista.