TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 31 agosto 2017

Castellermo sacralità di una vetta


martedì 29 agosto 2017

Il Segno Femminile in Darsena


giovedì 24 agosto 2017

Fiera del bestiame di Carcare, dove l'antico e il nuovo si danno la mano


Le fiere del bestiame, che ancora si tengono in Italia alla fine del mese di agosto o agli inizi di settembre, hanno radici antichissime e festeggiano (con riti che un tempo erano religiosi) la fine dell'estate e il ritorno delle mandrie dagli alpeggi estivi. Insomma, un ringraziamento per tutto ciò che di buono era accaduto in montagna ed un augurio per l'inverno che stava per arrivare.
Negli ultimi anni la fiera del bestiame di Carcare ha ripreso vita e vigore ed oggi è una delle più affascinanti d'Italia.

E dunque, dal 25 al 27 agosto, tutti a Carcare! Ne vale davvero la spesa.

martedì 15 agosto 2017

Al largo c'è vento


Cellette del Priamar
Savona
27 agosto-17 settembre



venerdì 11 agosto 2017

Har Karkom, montagna sacra. Incontro con Emmanuel Anati



GIORNATE TRIBALIGLOBALI A ONZO / 1

PARCO MNEMOSINE, loc.Varavo SUPERIORE
venerdì 11 agosto 2017, ore 18.30

HAR KARKOM 
conversazione con il Prof. Emmanuel ANATI
Introduce Giorgio Amico



“ Una grande montagna sacra, ricca di santuari e luoghi di culto eretti nei millenni da diverse popolazioni, accanto ad altari, circoli di stele, menhir, sepolture, grandi disegni di pietre riconoscibili solo dal cielo, incisioni rupestri. Il tutto nel cuore del deserto in cui avvenne la fuga dei figli d’Israele dall’Egitto: il Negev. Tutto questo e molto altro è Har Karkom, in ebraico "Monte Zafferano" (ma non a caso in arabo Gebel Ideid, "Montagna delle celebrazioni" o "delle moltitudini"), il vasto altopiano che l’archeologo Emmanuel Anati identifica con il monte Sinai.” 

   Parco di Mnemosine

La danza macabra di San Pietro di Macra



La danza macabra
Mercoledì 16 agosto a Macra

La cappella di San Pietro di Macra, fondata nella prima metà del XII secolo e isolata lungo la strada che sale verso l’alta valle, conserva una delle testimonianze pittoriche più rare ed antiche della provincia.



Accanto alle storie dell’Infanzia di Cristo, opera tardo quattrocentesca dei fratelli Biazaci di Busca, un altro artista ignoto affrescò all’inizio del Quattrocento una rara danza macabra, girotondo in cui si alternano un vivo e un morto, per rispondere alla volontà tutta medievale di ricordare l’incertezza dell’ora della morte e l’uguaglianza degli uomini di fronte ad essa.



Ogni coppia di ballerini si compone di uno scheletro o di un cadavere nei diversi stadi di decomposizione, e di uomini di ogni classe sociale: frati, dame, cavalieri. I gesti sono grotteschi e volti a suscitare nel fedele il terrore della morte: ogni sequenza è accompagnata inoltre da una scritta in volgare antico, forse occitano, che illustra e descrive la morte e il giudizio finale.


Mercoledì 16 agosto alle ore 17 nell’altra celebre cappella di Macra, “San Sarvòou”, più antico edificio religioso della Val Maira posto sulla provinciale, Rosella Pellerino, linguista e Direttore Scientifico di Espaci Occitan, terrà la conferenza per immagini La danza macabra. Un viaggio nell’iconografia della tema della morte, tra cultura nordica e mediterranea.

    San Sarvòou

Ingresso gratuito.

Per informazioni: Comune di Macra 0171.999161 e Espaci Occitan, www.espacioccitan.org, segreteria@espaci-occitan.org, tel. 0171.904075, Fb @museooccitano, Tw @espacioccitan.  

giovedì 10 agosto 2017

Il ritorno del lupo sulle Alpi liguri



Sabato 12 agosto 2017
alle 17,00,
nell'ambito della Mostra dell'Artigianato Artistico
a Mondovì Piazza (CN)


Internazionale Situazionista: rapporto sullo stato dell'arte



Per chi non c'era un efficace rendiconto dei lavori del non convegtno di Cosio d'Arroscia del 28-29 luglio 2017.

Roberto Massari

Internazionale Situazionista: rapporto sullo stato dell'arte

Venerdì 28 e sabato 29 luglio 2017 alcuni situazionisti, postsituazionisti, ribelli e attivisti non allineati di vario genere si sono incontrati a Cosio d’Arroscia in occasione del 60° anniversario della fondazione dell’Internazionale Situazionista. È stato il quarto Punto della Situazione, dopo quelli di Sesta Godano (2014), Livorno (2015) e Parigi (2016), e ancora una volta è stato immortalato dalle belle foto di Pino Bertelli (l’unico dei presenti, insieme a Sandro Ricaldone - anch’egli partecipante al non-convegno - che abbia conosciuto personalmente Guy Debord). E citando Debord, diciamo subito che tra la cena sociale e il pranzo ancor più sociale, il vino ha avuto una sua qualificata presenza «ideologica» insieme all’ottima cucina di due diverse trattorie del luogo.

Quindi vino, cibo, bellezze dei luoghi e ovviamente il non-convegno con la presentazione di quattro libri freschi di stampa: Debord e la società spettacolare di massa (di Giorgio Amico); DéRive gauche (a cura di Valentin Schaepelynck), contenente i materiali prodotti dopo il Punto della Situazione n. 3 di Parigi; Un’imprevedibile situazione (di Donatella Alfonso) e Dal Lettrismo alla Creatica (di Alessandro Scuro). Era presente anche la casa editrice storica del Situazionismo in Italia - Nautilus - che è intervenuta nella discussione e ha portato una mostra dei titoli più legati alla tematica del non-convegno. La fisarmonica di Salvatore Panu ha fatto da cornice ideale sia la sera della commemorazione vera e propria, sia intercalando gli interventi con canti sardi, anarchici e altro del suo ricco repertorio.

Il non-convegno si è svolto sabato mattina nella sala del consiglio comunale di Cosio d’Arroscia (provincia di Imperia). Dopo il saluto del sindaco Danilo Antonio Gravagno - che è poi rimasto con noi per il resto della riunione - Roberto Massari ha ricordato l’importanza del 60° anniversario della fondazione dell’IS e ha letto un testo molto vivace inviato da Oreste Scalzone, assente a Cosio ma presente nel 2016 al precedente Punto della Situazione n. 3 di Parigi.


A seguire Giorgio Amico ha svolto di fatto la «non-relazione introduttiva» presentando il suo libro Debord e la società spettacolare di massa (Massari editore), in cui ha ricostruito il percorso intellettuale del filosofo francese, dagli anni ‘40 alla fondazione dell’IS a Cosio e al Maggio francese per giungere al periodo post-situazionista e al suicidio del 1994. Amico ha sottolineato l’attualità delle teorie situazioniste di Debord, dal superamento dell’arte alla critica a tutte le separazioni e all’alienazione contemporanea.

A seguire è intervenuta Helena Velena, rivendicando la centralità della vita quotidiana, della gioia di vivere, la necessità di operare azioni in grado di liberare il nostro vissuto dalle catene di tempi e spazi meccanizzati e totalmente controllati. Helena ha portato l’attenzione sull’importanza di tradurre le teorie situazioniste in pratiche sovversive, a partire dal détournement e dalla deriva.

    Giorgio Degasperi con Antonio Marchi e Sandro Ricaldone

Sempre sulle pratiche è intervenuto Giorgio Degasperi, spiegando la natura del suo «teatro comunitario», basato sul rifiuto dei meccanismi spettacolari del teatro tradizionale: assenza del palco, abolizione dell’applauso e della rigida separazione fra attori e spettatori ecc. L’applauso in particolare è una pratica solo nociva, che va contrastata con convinzione.

Stefano Balice ha ribadito l’importanza di una battaglia che egli conduce in prima persona: contro la Siae e contro il diritto d’autore. Balice, che indossava per l’occasione una t-shirt con un provocatorio logo «Siae», ha spiegato che oggi la migliore tecnica per contrastarla è il plagio. Ricordiamo che i situazionisti pubblicarono i loro scritti con l’indicazione: «Tous les textes publiés peuvent être librement reproduits, traduits ou adaptés même sans indication d’origine».

    Salvatore Panu

Salvatore Panu è tornato su un tema affine a quello di Degasperi parlando del «cerchio infranto», un problema di troppi spettacoli contemporanei - soprattutto di quelli folcloristici - in cui i performers, ponendosi sul palco frontalmente al pubblico, non si accorgono di rompere in questo modo la ritualità e la coralità dell’azione.

Antonio Marchi, che da anni raggiunge i luoghi dei non-convegni in bicicletta, ha raccontato anche questa volta il suo viaggio ciclosituazionista fino a Cosio, trasmettendoci una parte delle emozioni e sensazioni provate lungo il tragitto di andata (da Trento) e preparandosi al ritorno. Agli inizi della nostra avventura, tre anni fa, era già passato per Cosio, Alba, Albisola e altri luoghi liguro-piemontesi cari al Situazionismo per raggiungere il Punto della Situazione n. 1 di Sesta Godano.

Roberto Massari ha spiegato l’utilizzo da lui compiuto della tecnica del détournement - in un libro antiteologico su Gesù che sta scrivendo - allo scopo di smascherare nei Vangeli una celebre falsificazione dell’esegesi cattolica (riguardo alla fratellanza o cuginanza di Gesù e quindi riguardo alla verginità perpetua di Maria). Massari ha descritto dettagliatamente l’operazione letteraria - che nel libro indica come tecnica situazionista - e ha concluso dicendo che questa procedura consente di sconfiggere con l’ironia e l’ilarità duemila anni di dotte disquisizioni filologiche rivolte a stravolgere la lettera del testo evangelico.

    Roberto Massari

È quindi intervenuta Donatella Alfonso, giornalista de la Repubblica, che fin dagli inizi segue attentamente i nostri Punti della Situazione. Ha brevemente presentato il suo ultimo libro intitolato Un’imprevedibile situazione. Arte, vino, ribellione: nasce il Situazionismo (Il Nuovo Melangolo), con il quale ha voluto ricostruire lo stato d’animo con cui i 9 protagonisti della fondazione dell’IS a Cosio erano arrivati a quell’evento, di cui non potevano immaginare la portata per il futuro. Si è complimentata con i presenti in sala per il coraggio dimostrato nel manifestare pubblicamente le loro radicali teorie.

Giungendo a Cosio in mattinata, Donatella era rimasta favorevolmente colpita dal trovarvi tracce situazioniste per le strade. Durante la notte, infatti, alcuni ignoti attivisti avevano firmato il loro passaggio nel paese: centinaia di volantini lasciati o affissi su automobili, panchine, muri. Sui volantini, tutti firmati con segni rossi, alcuni slogan situazionisti e post-situazionisti: «28-07-2017: fine del lavoro alienato», «28-07-2017: fine dello spettacolo dell’arte», «Più vi fate chiamare artisti, più siete nullità», «Amanti del potere, morirete comunque servi!», «La vita non è un business plan», «Contro scuola università prigioni del sapere» ecc.



Antonio Saccoccio ha presentato il libro di Alessandro Scuro Dal Lettrismo alla Creatica. Isidore Isou e l’utopia della creazione ininterrotta (Avanguardia 21 Edizioni) - con prefazione di Stefano Taccone, altro appassionato partecipante ai Punti della Situazione - ricordando anche il precedente volume su Il Lettrismo del nostro caro Alessandro, che dal sud della Francia si è ora trasferito in Catalogna. Ha poi ribadito - a mo’ di conclusione - che, come già stabilito la sera precedente, sarà necessario procedere alla stesura di una dichiarazione comune «per precisare a noi stessi e all’esterno le battaglie che intendiamo condurre nei prossimi anni», battaglie contro il progressivo sistematico controllo di tempi e spazi in ogni àmbito umano (scuola/università, lavoro, tempo libero alienato). La dichiarazione sarà redatta, discussa online e poi diffusa attraverso tutti i canali possibili.

Della possibilità di fare un quarto libro P.d.S. in ricordo di questo 60° anniversario si è parlottato fra un bicchiere di vino e una passeggiata fra i vicoli. La voglia ci sarebbe, ma arrivati al quarto volumetto della serie alcuni aspetti pratici cominciano a pesare. Prossimo appuntamento a Napoli o comunque in Campania, nel 2018, per il Punto della Situazione n. 5, che sarà organizzato da Pasquale Stanziale e Stefano Taccone.


www.utopiarossa.blogspot.it

domenica 6 agosto 2017

Italo Calvino, partigiano del Ponente ligure


Dai ricordi di Italo Calvino la storia di un giovane di Sanremo dal rifiuto del fascismo alla militanza partigiana.

Giorgio Amico

Italo Calvino, un partigiano del Ponente ligure


Tutti conoscono, magari per vaghi ricordi scolastici, Il sentiero dei nidi di ragno, il romanzo sulla Resistenza di Italo Calvino, pochi invece sanno che lo scrittore sanremese fu un valoroso partigiano proprio nelle zone, l'entroterra fra Sanremo e Imperia, dove è ambientato il libro. Eppure lo scrittore, come i liguri sempre molto restio a parlare di sé, raccontò in diverse occasioni dell'esperienza partigiana, considerata lo snodo fondamentale della sua vita anche letteraria:

«Sono nato il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, un villaggio nei pressi dell'Avana, dove mio padre, ligure di Sanremo, agronomo, dirigeva una stazione sperimentale d'agricoltura, e mia madre, sarda, botanica, era la sua assistente. Di Cuba non ricordo nulla, purtroppo, perchè nel 1925 ero già in Italia, a Sanremo, dove mio padre era tornato con mia madre a dirigere una stazione sperimentale di floricultura. (…) Ho vissuto con i miei genitori a Sanremo fino a vent'anni, in un giardino di piante rare e esotiche, e per i boschi dell'entroterra con mio padre, vecchio instancabile cacciatore. Arrivato all'età di entrare all'Università, mi iscrissi in agraria, per tradizione familiare e senza vocazione, ma già avevo la testa alle lettere. (…) Intanto era venuta l'occupazione tedesca, e, secondando un sentimento che nutrivo fin dall'adolescenza, combattei coi partigiani, nelle Brigate Garibaldi. La guerra partigiana si svolgeva negli stessi boschi che mio padre m'aveva fatto conoscere fin da ragazzo; approfondii la mia immedesimazione in quel paesaggio, e vi ebbi la prima scoperta del lancinante mondo umano. Da quell'esperienza nacquero, qualche mese dopo, nell'autunno del '45, i miei primi racconti (…) [e] un romanzo ([scritto] in venti giorni, nel dicembre '46) intitolato Il sentiero dei nidi di ragno, e così prese forma quel mondo poetico dal quale bene o male non mi sono più discostato di molto».

Italo Calvino cresce in una famiglia antifascista. I genitori, entrambi docenti universitari, sono repubblicani e mazziniani, pacifisti e, come si diceva allora, liberi pensatori. Il loro rifiuto del regime è netto:

«Sono cresciuto – scrive nel 1960 - in una cittadina che era piuttosto diversa dal resto dell'Italia, ai tempi in cui ero bambino: Sanremo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. E la mia famiglia era piuttosto insolita sia per Sanremo sia per l'Italia d'allora: i miei genitori erano persone non più giovani, scienziati, adoratori della natura, liberi pensatori, personalità diverse tra loro ed entrambe all'opposto dal clima del paese. Mio padre, sanremese, di famiglia mazziniana repubblicana anticlericale massonica, era stato in gioventù anarchico kropotkiano e poi socialista riformista (…) mia madre, sarda, di famiglia laica, era cresciuta nella religione del dovere civile e della scienza, socialista interventista nel '15, ma con una tenace fede pacifista. Ritornati in Italia dopo anni all'estero mentre il fascismo stabiliva il suo potere, avevano trovato un'Italia diversa, difficilmente comprensibile. (…) La critica al fascismo nella mia famiglia, oltre che per la violenza, l'incompetenza, l'ingordigia, la soppressione della libertà di critica, l'aggressività in politica estera, si appuntava soprattutto su due peccati capitali: l'alleanza con la monarchia e la conciliazione col Vaticano».

Fin da bambino Italo, sentendo i discorsi dei grandi in casa, guarda con fastidio alla retorica e ai riti del regime: le sfilate, le divise, i canti, l'esibizione delle armi e delle virtù guerresche. Ma questo sentimento di rifiuto non prende immediatamente una chiara forma politica. Lo riconoscerà lui stesso:

«Ma non è affatto detto che per questo la mia via verso l'antifascismo fosse segnata. Ero allora ben lontano dal prospettare la situazione in termini politici».

Quello che cambia radicalmente la situazione e che determina la sua definitiva scelta di campo è la guerra:

«L'estate in cui cominciavo a prender gusto alla giovinezza, alla società, alle ragazze, ai libri, era il 1938: finì con Chamberlain e Hitler e Mussolini a monaco. La «belle époque» della riviera era finita. Ci fu un anno di batticuore, poi la guerra sulla Maginot, poi il crollo della Francia, l'intervento dell'Italia, i bui anni di lutti e di disastri».

    Tesserino partigiano

Il crollo del fascismo e poi la disfatta dell'8 settembre sono il vero momento di svolta. Anche per Calvino arriva il momento delle scelte. Quando vengono affissi i manifesti con la chiamata alle armi della classe 1923, Calvino non si presenta e rimane nascosto per qualche tempo sulle colline a monte della città per poi prendere definitivamente la via dei monti. Sono momenti difficili, non si può rimanere spettatori inerti, occorre decidere da che parte stare:

«Al 25 luglio – ricorda - ero rimasto deluso e offeso che una tragedia storica come il fascismo finisse con un atto d'ordinaria amministrazione come una deliberazione del Gran Consiglio. Sognavo la rivoluzione, la rigenerazione dell'Italia nella lotta. Dopo l'otto settembre fu chiaro che questo vago sogno diventava realtà: e io dovetti imparare come è difficile vivere i propri sogni ed esserne all'altezza».

Così, assieme al fratello, entra a far parte di una formazione partigiana stanziata fra Baiardo e Ceriana. Poi con alcuni studenti suoi amici entra a far parte del 16° Distaccamento della IX Brigata Garibaldi, comandato da Bruno Luppi (Erven), nel dopoguerra insegnante a Savona, figura importante della Resistenza. Nell'estate 1944 la situazione si fa particolarmente dura con la battaglia di Sella Carpe durante la quale Luppi rimane gravemente ferito e i garibaldini subiscono forti perdite, a cui seguono violenti rastrellamenti da parte delle truppe nazifasciste e l'incendio dei paesi di Triora e di Molini. Il 5 settembre Calvino partecipa alla difesa di Baiardo e poi il primo ottobre 1944, entra a far parte del Distaccamento partigiano comandato da Jaures Sughi (Leone), formazione della Brigata Cittadina GAP “Giacomo Matteotti”, che opera sulle colline intorno a Sanremo, a sua volta comandata da Aldo Baggioli (Cichito). Il 15 di novembre i tedeschi rastrellano la zona di San Romolo, a monte di Sanremo. Calvino viene arrestato ma, per un fortuito caso, è risparmiato e, dopo tre giorni di carcere riesce a fuggire. Subito raggiunge la V Brigata Garibaldi “Luigi Nuvoloni” che fa parte della II Divisione “F. Cascione”. In un suo scritto degli anni Sessanta Calvino ricorda la durezza della lotta e la figura straordinaria della madre che esorta i figli alla lotta incurante delle violenze naziste:

«Eravamo nel lembo più periferico dello scacchiere resistenziale italiano, privo di risorse naturali, di aiuti alleati, di guide politiche autorevoli; ma esso fu uno dei focolai di lotta più accanita e spietata per tutti i venti mesi e tra le zone che ebbero una percentuale più alta di caduti. (…) Non posso tralasciare qui di ricordare il posto che nell'esperienza di quei mesi ebbe mia madre, come esempio di tenacia e di coraggio in una Resistenza intesa come giustizia naturale e virtù familiare, quando esortava i due figli a partecipare alla lotta armata, e nel suo comportarsi con dignità e fermezza di fronte alle SS e ai militi, e nella lunga detenzione come ostaggio, e quando la brigata nera per tre volte finse di fucilare mio padre davanti ai suoi occhi».

    Attestato degli Alleati

È in questo periodo che il giovane aderisce al Partito comunista. Un'adesione di cuore, prima che di testa, interamente fatta nel nome di felice Cascione, u Megu (il dottore), creatore del canto Fischia il vento e figura straordinaria della Resistenza ligure.

«La mia scelta del comunismo non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche (…) Quando seppi che il primo capo partigiano della nostra zona, il giovane medico Felice Cascione, comunista era caduto combattendo contro i tedeschi a Monte Alto nel febbraio 1944, chiesi a un amico comunista di entrare nel partito. Subito fui messo in contatto con compagni operai, ebbi compiti di organizzazione degli studenti nel Fronte della Gioventù, e un mio scritto fu ciclostilato e diffuso clandestinamente».

Il 10 marzo 1945 partecipa come portamunizioni all' attacco vittorioso al presidio repubblichino di Baiardo. Ricostruirà la battaglia in un articolo molto bello pubblicato in prima pagina sul Corriere della Sera in occasione del 25 aprile 1974. Nei primi giorni di aprile, si trasferisce con la Brigata al campo di lancio rifornimenti alleati, in Pian Rosso, a monte di Viozene. Nonostante la fine della guerra si avvicini, sono ancora giorni difficili:

«Il fronte più vicino a noi - quello sul confine francese – non accennava a muoversi, da otto mesi, cioè da quando la Francia era liberata, sentivamo rombare a ovest i cannoni del fronte; da otto mesi la libertà era a pochi chilometri da noi, ma intanto la vita dei partigiani sulle Alpi Marittime era diventata sempre più dura perché, come retrovia del fronte, la nostra era di importanza vitale per i tedeschi che dovevano tenere ad ogni costo sgombre le strade; per questo non ci hanno mai dato tregua, né noi a loro; e per questo la nostra zona ha avuto una percentuale di caduti tra le più alte»

Poi, in previsione dell'insurrezione e della liberazione di Sanremo e Ventimiglia, i partigiani scendono a Badalucco a pochi chilometri dalla costa. Proprio lì, quasi alla vigilia della Liberazione, Calvino rischia di essere catturato dai tedeschi:

«Ancora negli ultimi giorni i tedeschi erano venuti di sorpresa e avevamo avuto dei morti. Proprio pochi giorni prima andando di pattuglia era mancato poco che cascassi nelle loro mani. L'ultimo accampamento del nostro reparto, se ricordo bene, era tra Montalto e Badalucco: già il fatto che fossimo scesi nella zona degli uliveti era il segnale di una nuova stagione, dopo l'inverno nella zona dei castagni che voleva dire la fame».

    Primi articoli

Poi, il 25 aprile, la discesa su Sanremo con la sua formazione. Sono momenti esaltanti: dopo tante sofferenze e tanti compagni caduti, i partigiani sono vittoriosi. Nel ricordo l'ultima battaglia diventa quasi una festa: lo scrittore ce ne ha lasciato una descrizione vivissima, quasi fotografica:

«C'era stato un incendio in un bosco: ricordo la lunga fila dei partigiani che scende tra i pini bruciati, la cenere calda sotto la suola delle scarpe, i ceppi ancora incandescenti nella notte. Era una marcia diversa dalle altre nella nostra vita di continui spostamenti notturni in quei boschi. Avevamo finalmente avuto l'ordine di scendere sulla nostra città, Sanremo; sapevamo che i tedeschi stavano ritirandosi dalla riviera; ma non sapevamo quali caposaldi erano ancora in mano loro. (…) Dalle parti di Poggio cominciammo a incontrare sul margine della strada la popolazione che veniva a vedere passare i partigiani e a farci festa. Ricordo che per primi vidi due uomini anziani col cappello in testa che venivano avanti chiacchierando di fatti loro come in un giorno di festa qualsiasi; ma c'era un particolare che fino al giorno prima sarebbe stato inconcepibile: avevano dei garofani rossi all'occhiello. Nei giorni seguenti dovevo vedere migliaia di persone col garofano rosso all'occhiello ma quelli erano i primi».

Oltre che combattere il partigiano Calvino scrive su i giornali clandestini Il Garibaldino, La Nostra Lotta (organo del PCI di Sanremo), poi dopo la Liberazione su La voce della democrazia (organo del CLN di San Remo) e sull'edizione genovese de l’ Unità. Netta la sua scelta di campo. Alla lotta armata deve seguire una nuova battaglia per il rinnovamento democratico e civile di un'Italia devastata dal fascismo prima e dalla guerra poi.

«Nella politica attiva mi trovai immerso naturalmente, alla Liberazione, proseguendo sulla spinta della Resistenza. L'aver fatto il partigiano apparve a me come a molti altri giovani un avvenimento irreversibile nelle nostre vite, non una condizione temporanea come il «servizio militare». Da quel momento in poi vedevano la nostra vita civile come la continuazione della lotta partigiana con altri mezzi; la disfatta militare del fascismo non era che un presupposto; l'Italia per cui avevamo combattuto esisteva ancora solo in potenza, dovevamo trasformarla in una realtà su tutti i piani. Qualsiasi attività volessimo intraprendere nella vita civile e produttiva, ci pareva naturale che fosse integrata dalla partecipazione alla vita politica, ricevesse da essa un senso. (…) Ma per noi che vi aderimmo allora, il comunismo non era soltanto un nodo di aspirazioni politiche: era anche la fusione di queste con le nostre aspirazioni culturali e letterarie. Ricordo quando, nella mia città di provincia, arrivarono le prime copie dell' «Unità», dopo il 25 aprile. Apro l'«Unità» di Milano: vice-direttore era Elio Vittorini. Apro l'«Unità» di Torino: in terza pagina scriveva Cesare Pavese. Manco a farlo apposta erano i due scrittori italiani miei preferiti, di cui nulla conoscevi fino allora se non due loro libri e qualche loro traduzione. E ora scoprivo che erano nel campo che anch'io avevo scelto; pensavo che non poteva essere altrimenti. E così a scoprire che anche il pittore Guttuso era comunista! Che era comunista anche Picasso! Quell'ideale d'una cultura che fosse tutt'uno con la lotta politica ci si delineava in quei giorni come una realtà naturale».

    Italo Calvino in un comizio dopo la Liberazione

In realtà le cose non erano così semplici. La ricostruzione morale e civile del Paese si rivelò un'impresa molto più difficile e contradditoria. Ma, nelle delusioni che pure verranno, resta intatta la lezione fondamentale di libertà e di morale civile della Resistenza: Una Resistenza che non è non tanto rappresentata dai partiti quanto soprattutto dalla gente comune, uomini e donne capaci di reagire con dignità e coraggio all'ingiustizia e all'oppressione. Una fiducia nel popolo, nella capacità di lotta della “gente semplice”che nulla riuscirà mai davvero a scalfire:

«Ciò che chiamiamo Resistenza in molti casi fa parte della memoria familiare, della storia privata prima che pubblica. Questo in qualche misura è vero per tutte le guerre, ma lo è particolarmente in questo caso, dove era meno netta la separazione tra combattenti e popolazione civile, e il comportamento delle donne e degli uomini nella vita quotidiana era il fattore decisivo, il reagire delle persone normali a circostanze eccezionali. (…) Poi vorrei ricordare la disponibilità che c'era ad aiutarci anche tra gente che non si conosceva, solo per venire incontro a chi si trovava nei guai. Questa generosità la si poteva incontrare tra la gente qualsiasi in un tempo pieno di crudeltà e fanatismi, ed era resistenza anche quella, un'anonima resistenza all'imbarbarimento. (…) La Resistenza si presta male alle interpretazioni dottrinarie, la sua realtà era piena di gente semplice e umile e oscura come gli italiani di allora (…). Tutto il contrario di tante cose che sono venute dopo e di cui non mi metto a fare l'elenco perchè in questo contesto non mi sembrerebbe leale. Ma allora – mi si dirà – che cosa ha portato? Che cosa ne è rimasto? C'è uno strato profondo della coscienza d'una società dove si depositano lentamente la memoria delle ferite, la capacità di sopportazione e il rifiuto dell'insopportabile, le allergie, le adattabilità, le costanti tendenziali di lunga durata, le capacità d'equilibrio e di ripresa, il senso di cos'è fasullo e di cos'è vero. E' quello il fondo che si sedimenta e che rimane, mentre tutto il resto farà il suo ciclo e andrà in polvere».


Una fiducia che resta, a decenni di distanza, il lascito fondamentale di un giovane partigiano diventato poi con Beppe Fenoglio, anche lui partigiano, il più grande scrittore dell'Italia del dopoguerra.

(I Resistenti n.2/2017)

Cosio d'Arroscia e l'Internazionale situazionista 28-29 luglio 2017

28-29 luglio 2017

Cosio d'Arroscia (IM)

Fotocronaca di Pino Bertelli



L'arrivo




Il non convegno



















www.roberto-massari.blogspot.com

sabato 5 agosto 2017

1717. La nascita della Massoneria moderna

    G. Washington

Il 24 giugno 1717 è la data di nascita della prima Gran Loggia di Londra, dopo alcuni tentativi in Scozia. All’inizio erano solo artigiani e manovali, poi arrivarono militari, scienziati, architetti.

Le origini segrete della massoneria


Le origini della massoneria moderna vanno rintracciate nella Scozia e nell’Inghilterra del secolo XVII, sebbene anche per questo periodo le fonti non siano molte. I primi archivi di una loggia permanente in Inghilterra sono datati al 29 settembre 1701 ad Alnwick, a pochi chilometri dal confine scozzese: si tratta di una loggia di mestiere che risponde al nome di “The Company and Fellowship of Free Masons att a lodge held at Alnwick”.

La prima loggia di cui abbiamo conoscenza viene creata da William Shaw, scozzese già al servizio come maestro di cantiere sotto Giacomo VI, alla fine del Cinquecento: sembra di capire che tali logge fossero una sovrapposizione rispetto alle corporazioni, che raccoglievano solo i muratori di una determinata città e forse anche un certo numero di artigiani e manovali con funzioni diverse nei cantieri, mentre le logge appaiono riservate a lavori specializzati.

Qualche traccia in più ci viene dalla corporazione dei muratori di Londra: nel 1619 è segnalata l’esistenza di una London Company of Freemasons che tra 1654 e 1655 diviene la London Company of Masons. Negli archivi della corporazione si trovano menzioni a modalità di adesione che prevedevano la cooptazione attraverso l’apprendistato o per diritto ereditario; durante riunioni specifiche alcuni individui vengono “accettati” e diventano accepted freemasons.

La storiografia si è divisa: alcuni propendono per l’ipotesi che l’accettazione riguardasse solo persone che non appartenevano al mestiere e che venivano introdotte a titolo onorifico nella loggia; è anche vero però che le testimonianze londinesi mostrano come molti fra gli “accettati” fossero già iscritti alle corporazioni, ma avessero acquisito particolare celebrità come tagliatori di pietre nelle chiese o al servizio di sovrani, o magari perché a capo delle corporazioni. Gradualmente, durante il Seicento, le corporazioni dei freemasons cominciano ad ammettere al loro interno gentlemen dotati di particolare reputazione: ufficiali dell’esercito, scienziati, architetti.

      Luogo di fondazione della GL

Nel 1708 lo scrittore John Hatton annota in una descrizione della Londra del tempo che numerosi fra nobili e borghesi sono membri di corporazioni di muratori. Probabilmente è da questo modello che si andò evolvendo l’idea della loggia massonica come sodalizio filosofi co-speculativo, che si sarebbe concretizzata quando i gentlemen avrebbero deciso (seguendo percorsi che permangono ignoti) di fondare logge sul modello di quelle dei freemasons, ma prive ormai di ogni legame con i mestieri effettivamente esercitati. Dopo questa fase di preparazione, agli inizi del Settecento vediamo la nascita ufficiale della Gran Loggia di Londra, per la quale è arduo stabilire un legame di continuità diretta rispetto alle logge di mestiere inglesi e scozzesi del Seicento.

Il 24 giugno 1717, solstizio d’estate, un gruppo di gentlemen inglesi (appartenenti all’alta borghesia che ormai viveva secondo i costumi della nobiltà) fondarono un gruppo d’appartenenza nuovo, modellato sulle logge dei muratori inglesi e soprattutto scozzesi che nel secolo precedente avevano talvolta accolto gentlemen nelle loro fila.

Nel 1723 il pastore della chiesa presbiteriana scozzese a Londra, James Anderson, figlio di un vetraio (segretario della sua loggia scozzese di mestiere), redasse le Constitutions of Freemasons, che rappresentava il vero punto di partenza della massoneria moderna e l’invenzione della sua tradizione iniziatica. Nonostante si trattasse di un documento del tutto nuovo e privo di precedenti diretti, uno degli scopi delle Costituzioni era quello di indicare, al contrario, una linea di filiazione rispetto al passato che guardava in particolare verso due direzioni: una storica, che concerneva le associazioni di costruttori del medioevo e della prima età moderna e una mitica, che legava la massoneria al re biblico Salomone e al suo architetto Hiram e quindi alla costruzione del Tempio di Gerusalemme.



Le Costituzioni di James Anderson vennero stampate nel 1723 con la prefazione di un ex gran maestro della Loggia, Jean Théophile Désaguliers. Il testo si apriva con una prima parte dedicata alla storia mitica del mestiere di architetto; nella seconda si parlava degli usi e dei doveri del massone; la terza parte concerneva i regolamenti generali, quali la distribuzione delle cariche in seno alla loggia, le modalità di voto per l’accettazione di un “profano”, cioè di un nuovo adepto (interessante notare che è richiesta l’unanimità), il funzionamento della Gran Loggia che riuniva i rappresentanti di tutte le logge, la procedura di elezione del gran maestro. La quarta e ultima parte conteneva anche quattro canti massonici con testi e musica.

La seconda parte è la più interessante se si vogliono comprendere le posizioni della massoneria del tempo. Il primo articolo riguarda Dio e la religione: vi si legge che il massone “non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso”; poiché storicamente ogni confratello è stato inquadrato all’interno di Paesi dotati di una tradizione religiosa (si postula qui un’antichità della massoneria che sappiamo essere del tutto ipotetica), egli ha dovuto aderirvi per ragioni di convenienza; è tuttavia da preferire “quella religione su cui tutti gli uomini sono d’accordo”, con riferimento quindi a principi generali che, al tempo, si credevano comuni alle diverse fedi e che costituivano dunque la “religione naturale”.

Nel secondo articolo si manifesta la necessità di lealismo verso il proprio governo, escludendo la partecipazione a complotti e cospirazioni. Nel terzo si prende in considerazione la condizione dei membri della loggia, che devono essere nati liberi e di età matura, mentre non sono ammessi schiavi o donne, né persone dalla condotta scandalosa. Gli articoli restanti si soffermano sul comportamento del massone all’interno della loggia, verso i confratelli anche stranieri, e sull’atteggiamento (dettato dalla prudenza) da tenere in presenza di estranei.



La mitologia cavalleresca e la scoperta dei Templari

Negli anni Trenta del Settecento la massoneria inglese cominciò a insediarsi anche in Francia, inizialmente attraverso militari e viaggiatori britannici che dettero vita a piccole logge in alcune città. Nel 1739 venne fondata la Gran Loggia di Francia, con l’intento di coordinare lo spontaneismo che aveva caratterizzato gli esordi del movimento: il suo dominio sarebbe stato indisturbato sino al 1773, quando una scissione condusse alla nascita della loggia del Grande Oriente di Francia. È in territorio francese che si compì l’avvicinamento della massoneria alla mitologia cavalleresca, con particolare riferimento alla vicenda dei Templari. Già in tutta l’Europa del Seicento si era avviato un movimento di interesse nostalgico per i costumi, le cerimonie, le tradizioni cavalleresche.

In Inghilterra Elias Ashmole, alchimista dilettante curioso di cultura ermetica e in particolare dell’Ordine dei Rosacroce, nonché uno fra quei “non-manovali” ammessi nella massoneria operativa, scrivendo nel 1672 le Institutions, laws and ceremonies of the most noble Order of the Garter aveva già rispolverato la memoria dei Templari, a suo dire nobili e generosi cavalieri che tuttavia, ricchi e superbi, si erano troppo subordinati al Papa, causando così la propria rovina. Le idee di Ashmole influenzarono presumibilmente André- Michel Ramsay, massone scozzese fervente partigiano della dinastia reale Stuart ma residente in Francia dopo la rovina di essa e a lungo segretario di François Fénelon, conosciuto a Cambrai nel 1709, che lo aveva convinto a convertirsi al cattolicesimo.

Nel 1736 il cavaliere di Ramsay pronunziò un discorso pubblico che marca profondamente lo sviluppo della massoneria francese: se nella prima parte del discorso aveva esposto le qualità richieste al massone – cioè la capacità di mantenere un segreto, la moralità, l’amore per il prossimo, la passione per le scienze e le arti – nella seconda parla della storia della massoneria, che fa risalire non più tanto alle corporazioni di costruttori quanto piuttosto alla cavalleria. Criticando quanti, a suo dire, pongono le origini delle logge in un’antichità troppo nebulosa, Ramsey afferma che la loro origine va posta nell’XI secolo, quando sovrani, nobili e cittadini si uniscono in confraternite per ristabilire il dominio cristiano in Terrasanta contro gli infedeli. Queste confraternite sarebbero poi confluite nell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, i cui membri, tornati in Europa, avrebbero dato vita alle logge nelle diverse nazioni; per esempio, un certo Jacques Stewart di Scozia sarebbe stato gran maestro di una loggia a Kilwinnen nell’anno 1286; la sua loggia avrebbe accolto i conti di Gloucester e dell’Ulster.



La Gloria del Grande Architetto dell’Universo

L’Inghilterra sarebbe dunque stata la principale sede della massoneria cavalleresca, prima che le guerre di religione del Cinquecento generassero una crisi in seno alla cristianità: per questa ragione era importante il ritorno della massoneria, promotrice di fratellanza, sul continente, e in particolare in Francia. La storia proposta dal Ramsey è ovviamente fantasiosa, ma destinata a grande successo. C’era tuttavia un problema non indifferente: si deve notare che Ramsey non faceva riferimento ai Templari, quanto piuttosto ai Giovanniti, cioè agli Ospitalieri, che nel Settecento erano ormai divenuti il potente e prestigioso Ordine di Malta che certo non poteva veder di buon occhio l’idea di esser posto all’origine delle logge massoniche invise alla Chiesa cattolica.

D’altro canto il Ramsey faceva proseliti in Francia: ciò gl’impediva di chiamare in causa l’Ordine religioso-cavalleresco per eccellenza, ossia i Templari, come aveva suggerito Ashmole: dato che, soppressi da Filippo IV il Bello tra 1307 e 1314, godevano ancora di cattiva fama nella Francia d’Ancien régime in quanto “nemici” della corona. Perché dai Cavalieri di San Giovanni si passasse ai Templari, bisognò allora trasferirsi dalla Francia in altre aree d’Europa. Per esempio, in Inghilterra e in Germania, l’Ordine templare – soppresso da un re di Francia con la complicità di un Papa – era circondato da un diffuso rispetto.

Scopo dell’iniziazione massonica era, e da allora è formalmente restato, il perfezionamento spirituale dell’aspirante. Il candidato viene ammesso in un Tempio, così chiamato per evidenziarne il carattere sacrale, edificato “alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo”. Qui il candidato ascende i gradi previsti grazie non a un singolo “sacerdote”, ma per merito del collegio dei membri, ai quali spetta avviarlo lungo il cammino della conoscenza esoterica.

Il riferimento a una nozione della divinità, che sarà di lì a poco definita correntemente dalle logge “Grande Architetto dell’Universo”, che non coincide con una denominazione religiosa e confessionale, si comprende bene alla luce degli sviluppi culturali della società del tempo, nella quale si andavano diffondendo i principi del deismo. La convinzione deista si fonda sulla dottrina della religione naturale, cioè una religione che non deriva da una rivelazione storica, ma viene elaborata dalla ragione umana in base all’osservazione della natura e alla convinzione circa l’esistenza di un principio nel Creato. In opposizione al deismo inglese, gli intellettuali dell’illuminismo, con in testa Voltaire, preferiscono parlare di “teismo”, negando al principio divino il governo del mondo morale.



Il lungo duello con la Chiesa

La diffusione della massoneria al di fuori del mondo protestante e sino a quello cattolico non poteva passare inosservata agli occhi della Chiesa; tanto più che, soprattutto in Italia, l’affiliazione massonica si accompagnò ben presto a uno spiccato anticlericalismo. Il primo intervento di censura nei confronti del fenomeno giunge con la lettera apostolica In eminenti apostolatus specula di papa Clemente XII, promulgata nel 1738. La Chiesa avrebbe reiterato la propria censura nei confronti della massoneria in diverse occasioni, e in modo particolare con la Humanum genus (1884) di Leone XIII, poi recepita nel Codice di diritto canonico del 1917. Ma, come si legge nel documento di papa Clemente, neppure le autorità laiche stavano a guardare. Già a partire dagli anni Trenta del XVIII secolo si ha notizia dell’interessamento della polizia alle logge, con qualche perquisizione e alcuni arresti; anche le folle cittadine non sembrano entusiaste all’idea di clan segreti: nei Paesi Bassi e ad Amsterdam si registrano attacchi contro le sedi massoniche, e nella città olandese si arriva nel 1744 a un divieto di riunione per la massoneria.

Nonostante tali divieti, applicati con zelo moderato, le logge avrebbero proseguito pressoché indisturbate la propria attività. Diverso il discorso per la Chiesa cattolica, che non ha mai ritirato la scomunica di Clemente XII; anzi, i successivi documenti ufficiali della Chiesa hanno ribadito che chi appartiene alla massoneria non può ricevere i sacramenti, in quanto i principi delle associazioni massoniche vengono considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa. Una posizione ribadita nel 1983, sotto il papato di Giovanni Paolo II, dall’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinale Joseph Ratzinger.


Il Fatto – 9 luglio 2017