TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 2 luglio 2010

Biamonti, una voce fuori dal tempo


Ancora un articolo su Francesco Biamonti, che ci permette di comprendere meglio la singolarità di questo grande scrittore, ancora troppo spesso sbrigativamente etichettato come autore in qualche modo "regionale".

Jacqueline Risset

Biamonti, una voce fuori dal tempo. Che leggeva il presente


Sembra che a tre anni della sua scomparsa si riesca a vedere Francesco Biamonti un po' più nitidamente, ad afferrarne la singolarità, la insostituibilità. I suoi romanzi - quattro, e uno incompiuto pubblicato l' anno scorso, sotto il titolo Il silenzio - sono stati spesso definiti «poetici», «antirealistici», «metafisici». Ma è proprio così? Poeta, solitario e inattuale, lo era di certo. Nella conversazione si esprimeva attraverso frasi aeree, «petites phrases» proustiane, che pronunciava con voce riservata, mite, quasi a preservare nell' amicizia, lo spazio dell' intimo e dell' oggettivo insieme. «Romanzo-paesaggio», così Italo Calvino chiamava L' Angelo di Avrigue, il primo racconto, «fatto soprattutto di cose non-dette e di silenzi». Vento largo, Attesa sul mare, Le parole e la notte, e infine Il silenzio, confermano, già nei titoli, la direzione percepita da Calvino. In quelle pagine la luce del mare si estende sulle colline dell' entroterra, dove i personaggi che si incontrano, scambiano frasi brevi, dialoghi enigmatici e sospesi - formule che evocano i ritmi antichi della vita e rispondono allusivamente alle interrogazioni che li tormentano... Ma la poesia in lui non era un elemento aggiunto, un abbellimento, e ancor meno una fuga del reale. Era l' aspetto che prendeva nel suo linguaggio l' enigma della vita. Il romanzo, in quanto genere letterario, è il più libero di tutti, il più capace di includere tutto, e in particolare il mistero, il non risolto. Faulkner diceva che il romanzo per eccellenza era il romanzo poliziesco. Un' enigma da sciogliere e che non sempre si scioglie. Nei romanzi di Francesco Biamonti, dove la componente dell' intrigo è minimo, spesso viene alla luce un nodo poliziesco che non si risolve o si risolve in modo derisorio. Andrea Zanzotto diceva che la funzione della poesia è quella di mantenere «il tasso di enigmaticità nel mondo». Anche i romanzieri a volte attendono a questa funzione. È noto - lo ha affermato in numerose interviste - quanto contassero per lui la cultura e la letteratura francese, per un ligure che avvertiva profondamente la continuità di quella regione mediterranea artificialmente divisa da frontiere. Il mestiere del passeur, oltre quello del marinaio, appartiene ai suoi protagonisti («è un lavoro leggero, il più leggero del mondo» dice il narratore di Vento largo - lavoro silenzioso e ribelle, che non lascia tracce e apre porte a vite imprigionate). Gli piaceva la tradizione di libertà della cultura francese, la sua universalità settecentesca, il senso di eticità e insieme di interrogazione che trovava in Char o in Blanchot. Era anche vicino a scrittori di derivazione nervaliana e simbolista (Maeterkinck, Alain Fournier, ecc...). A Nerval per il rapporto malinconico coi luoghi amati (le foreste notturne tra Chantilly e Ermenonville, le colline di ulivi e villaggi abbandonati tra Liguria e Provenza) e per le figure femminili piene di una grazia enigmatica, fiere e imprendibili come eroine dell' Ariosto, oniriche come Sylvie e Aurelia. Peraltro, come accade nei racconti fortemente antirealistici, i romanzi di Biamonti hanno il potere di suscitare un' immagine stranamente concreta della regione, città o paese, che egli descrive, senza neanche preoccuparsi di descrivere. E non perché utilizza, di fronte ai paesaggi, l' estrema precisione del linguaggio tecnico dell' orticoltura, ma perché, attraverso i paesaggi nei loro lievi cambiamenti così come nelle loro radicali metamorfosi, percepisce e fa percepire al lettore, i mutamenti epocali, storici. Questo solitario inattuale era in realtà un acuto lettore del presente, e un decifratore dei segni del futuro che si prepara. In Attesa sul mare, mare e luce non erano personaggi centrali. Lo erano le vittime di una guerra insensata. Un uomo, in Bosnia, dice al capitano della nave: «Abbiamo scatenato forze che non possiamo più controllare, le nostre radici affondano dentro un male di secoli». La voce diretta di Biamonti - colta in un' intervista del ' 99, che indicava il suo cammino nella scrittura - era più cupa ancora: «Sto cercando di affrontare la realtà del nostro tempo, senza più consolazioni, soltanto facendo la musica delle parole stesse... Voglio andare nel cuore dell' uomo, nel suo inferno, musicalmente». E ancora, «Nei miei romanzi la natura è metamorfica, lo spazio è inficiato, il tempo è malato e il mondo è su un abisso». Quella voce, quella voce musicale, occorre ascoltarla ancora.

(Da: Il Corriere della Sera, 17 dicembre 2004)


Jacqueline Risset è saggista e poeta. Ha insegnato Letteratura Francese all’Università di Roma Tre. Ha tradotto in francese La Divina Commedia (1985-1990). Tra i suoi saggi, ricordiamo: Dante. Una vita (1975), Dante scrittore (1984), La letteratura e il suo doppio (1992), Il silenzio delle sirene (2006), Traduction et mémoire poétique (2007). Tra i suoi testi poetici: Amor di lontano (1993) e Les Instants (2000).