Napoli,
città bellissima e misteriosa, sospesa fra modernità invadente e riti senza tempo. Ci
arrivammo di sera che il sole tramontava dietro Capo Miseno tingendo
di sangue le case e la baia.
Marino
Niola
Nel
ventre di Napoli dove i teschi sono sacri
Migliaia
di crani allineati sopra interminabili file d’ossa. Come i volumi
di una biblioteca surreale che si snoda lungo cunicoli misteriosi. Un
labirinto sotterraneo che sembra disegnato dalla mano di un
naturalista barocco di casa nella tenebra. Sono le anime abbandonate
di Napoli. Le chiamano le pezzentelle, le piccole mendicanti. O,
semplicemente, le capuzzelle, cioè le testoline. Protagoniste di un
culto che sembra irrompere da lontanissime regioni del tempo, come se
le porte dell’Ade si spalancassero improvvisamente sulla
contemporaneità.
Una
scheggia di passato che arriva dritta al cuore del presente. È quel
paganesimo sottotraccia che attraversa l’Italia come una corrente
segreta, un’energia del passato che sopravvive alla tecnologia,
alla ragione, alla secolarizzazione.
Questi
corpi senza nome, usciti dalle fosse comuni degli appestati,
affollano il cimitero delle Fontanelle, un ossario che insinua i suoi
meandri sotto la collina di Capodimonte. Siamo nel popolarissimo
quartiere della Sanità. Ma ci sono capuzzelle anche in altri
sotterranei della città. La chiesa seicentesca del Purgatorio ad
Arco in via dei Tribunali, le catacombe paleocristiane di San
Gaudioso alla Sanità e la basilica di San Pietro ad Aram, una porta
degli inferi a due passi dalla stazione centrale. In realtà il
sottosuolo di Napoli è una città sotto la città, densa e
brulicante come quella di sopra.
Da
secoli la pietà popolare ha fatto di questi sans papier dell’aldilà
i suoi numi tutelari. Perché li identifica con le anime che soffrono
in purgatorio. E continuerebbero a soffrire per l’eternità se non
fosse per i devoti che accolgono nel loro pantheon familiare questi
spiriti in pena. Mettendoli sugli altari domestici insieme ai propri
cari. Risultato, migliaia di anni di purgatorio condonati. Così la
concezione indulgenziale della vita, tipica della mentalità popolare
napoletana, si proietta nell’altro mondo facendone un riflesso
ultraterreno del vicolo. E della sua concitata communitas, fatta di
un continuo scambio di favori, di beni, di servizi. Un do ut desche
abbraccia vivi e morti in un cosmorama alla García Márquez. I riti
che si celebrano in questo perturbante underground sono ciò che
resta di cerimonie misteriche precristiane che simulavano la discesa
agli inferi. E che avevano spesso come location ipogei e luoghi
sotterranei. Non a caso la chiesa ha sempre combattuto queste forme
di culto, ritenendole delle sopravvivenze pagane. E soprattutto ha
condannato con forza la pratica dell’adozione, che di questa
religione nella religione, rappresenta il vero mistero doloroso. I
seguaci delle capuzzelle dicono di ricevere in sogno l’anima di un
defunto che racconta la propria storia e rivela quale sia il suo
cranio. Nome e collocazione. Un riconoscimento postumo insomma.
Così,
come guidati da un navigatore soprannaturale, i devoti vanno a colpo
sicuro e individuano tra mille la testa da accudire. È un caso
paradossale di adozione a distanza. Perché quel che si fa per il
teschio va a beneficio dell’anima. È esattamente quello che i
Greci chiamavano chrematismos. L’apparizione notturna di un morto
assetato in cerca di refrigerio. Non per nulla la cura tradizionale
delle anime pezzentelle si chiama refrisco, che significa appunto
refrigerio. E che consinatori. ste in una sequela di gesti molto
materiali e al tempo stesso molto simbolici. Oltre alle preghiere e
all’accensione di lumini, infatti, il cranio viene meticolosamente
pulito e lustrato con alcol e ovatta. E messo in naftalina.
Materialmente disinfettato e metaforicamente purificato. Azioni che
sostituiscono le astrazioni della teologia. La pulizia progressiva
delle ossa corrisponde ai tempi di purificazione dell’anima. È la
dottrina del purgatorio a uso e consumo dei poveri. Lévi-Strauss
avrebbe parlato di pensiero concreto, Henry James di munificenza del
cuore. Una generosità sub condicione però. Perché alle anime viene
chiesto di ricambiare. Concedendo grazie e favori, proprio come i
santi. C’è chi chiede un lavoro, chi è in cerca di marito, chi
vuole disperatamente un figlio, chi ha bisogno di trovar casa. E
soprattutto malati che domandano di essere guariti. Ma c’è anche
chi si aspetta che le anime ricambino il favore dando numeri da
giocare al lotto. Proprio come nel mondo antico, dove gli spiriti dei
morti senza nome venivano consultati a scopi divinatori.
Quando
la grazia arriva il cranio riceve una sorta di beatificazione
popolare. Da quel momento diventa una testa potente, una capa
gloriosa, esce dalla schiera anonima e viene solennemente sistemato
in un tempietto di marmo e vetro con i nomi dei miracolati. Così nel
tempo è nato un vero gotha delle capuzzelle. Lucia, detta anche la
sposa, che regna nella tenebra del Purgatorio ad Arco e protegge le
donne giovani che le offrono il loro velo nuziale. La capa rossa,
detta anche il postino delle anime, perché appare in sogno a portare
buone notizie. Ma se gli spiriti abbandonati sono generosi con chi si
prende cura di loro, a volte sanno essere molto vendicativi con chi
li provoca. Lo dimostra la storia del Capitano, temutissimo convitato
di pietra degli inferi partenopei. Di lui i devoti parlano facendosi
il segno della croce. E raccontano che un giorno il suo cranio venne
oltraggiato da un miscredente che gli diede un calcio ed ebbe
addirittura la sfrontatezza di invitarlo a cena. La vendetta non si
fece attendere. Il morto offeso arrivò puntualmente e per il padrone
di casa non ci fu scampo. In realtà è la versione popolare del mito
di Don Giovanni, l’uomo che invita a cena il morto. E forse è
proprio la leggenda napoletana il nucleo sorgivo del Don Juan di
Molière e poi dell’immortale creatura di Mozart.
Queste
camere di compensazione del soprannaturale che cerca di risalire alla
luce del sole sono fatte apposta per accendere fantasie artistiche e
letterarie. Da Herman Melville a Walter Benjamin, da André Gide a
Gustav Herling, da Roberto Rossellini fino ad artisti come Joseph
Beuys, Rebecca Horn e Francesco Clemente hanno subito il fascino di
questi baratri del senso. Oggi quelle che per generazioni di
napoletani furono gli hotspot del regno delle ombre, aperti a schiere
di devoti capaci di connettersi con le “voci di dentro”,
accolgono folle di turisti in cerca di mistero. Da soglie dell’ombra
a musei della pietà. Da luoghi cultuali a beni culturali. Discese
agli inferi con audioguida.
(Da:
la Repubblica del 17 Agosto 2012)