TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 26 ottobre 2020

Alfonso Leonetti, Palmiro Togliatti e l'assassinio di Pietro Tresso (Blasco)

 

    Pietro Tresso alla fine degli anni Trenta

Giorgio Amico

Alfonso Leonetti, PalmiroTogliatti e l'assassinio di Pietro Tresso (Blasco)

Dopo la pubblicazione in Francia nel 1995 e poi in Italia nel 1996 dello studio di Vacheron e Broué Assassinii nel Maquis. La tragica morte di Pietro Tresso, possiamo dire che sia stato ormai provato oltre ogni ragionevole dubbio come il fondatore del Pcd'I e poi dirigente trotskista sia stato assassinato dai partigiani comunisti che lo avevano prelevato dalla prigione dove i tedeschi lo tenevano rinchiuso. Mancano tuttavia molti particolari, riguardanti soprattutto il ruolo avuto in questo crimine stalinista dalla dirigenza del PCI e in particolare da Palmiro Togliatti. È infatti impensabile che un piccolo gruppo comunista abbia preso la decisione di liquidare un personaggio del calibro di Tresso senza chiedere l'autorizzazione ai vertici del partito. E Tresso era questione italiana, come dimostra l'intervento diretto di Togliatti nel 1945 sul PCF, che aveva accettato l'iscrizione dell'ex trotskista Leonetti, perchè questa fosse immediatamente revocata, con la motivazione che queste erano questioni di pertinenza del partito italiano. E così puntualmente accadde e Leonetti si vide immediatamente togliere la tessera appena concessagli dai compagni francesi con cui aveva combattuto nella Resistenza antitedesca. La moglie di Tresso, convinta della responsabilità diretta di Togliatti nell'assassinio del marito, per tutta la vita chiese che il PCI facesse chiarezza sull'accaduto, rivolgendosi addirittura con una lettera aperta a Togliatti che naturalmente si guardò bene dal rispondere.



Un silenzio rotto solo nel gennaio 1993 quando su l'Unità apparve l'articolo di Gianfranco Berardi, Francia 1944. Com'è morto Pietro Tresso?, di cui riprendiamo le parti salienti:

“Nel settembre del 1944, senza indicare alcun dettaglio, il giornale clandestino del Poi {Parti Ouvrier Internationaliste, di tendenza trotzkysta) annunciò la morte di uno dei componenti del Comitato centrale, di nome «Blasco», pseudonimo di battaglia dietro il quale si celava l'italiano Pietro Tresso, uno dei fondatori, nel '21, assieme a Gramsci e Bordiga, del Partito comunista d'Italia. Tresso era stato catturato a Marsiglia a giugno del 1942 da una squadra speciale del governo di Vichy con altri dirigenti del Poi, e quindi torturato davanti alla moglie «Barbara» (Deborah Seindenfeld-Stratiesky), senza che dalla sua bocca uscisse una parola utile per i suoi aguzzini. Condannato a dieci anni di lavori forzati, fu rinchiuso nel carcere di Puy en Velay, nell'Alta Loira dove fallì un tentativo di farlo evadere ideato da Emilio Lussu. Non fallì invece un colpo di mano attuato da un gruppo di partigiani francesi, di una brigata comunista che nella notte fra il 1° e il 2 ottobre 1943 riuscl a penetrare nel carcere e a liberare i prigionieri, compresi «Blasco» e gli altri quattro dirigenti trotskysti- Albert Demazière, Leon Reboul, Maurice Ségal e Abraham Sadek. Una parte dei partigiani, con Tresso e gli altri dirigenti del Poi, raggiunse «campo Wodli», al di sopra di Queyneres, a poco più di venti chilometri da Yssingeaux, nell'Alta Loira. Dei quattro trotskysti, uno, Demazière, si allontanò dal campo riuscendo a raggiungere Parigi, gli altri rimasero nel «maquis» fino alla metà di novembre, quando il gruppo partigiano si sbandò per ricostituirsi nel giugno del '44 al Sestrières. Ma Tresso, Reboul, Ségal e Sadek non ne facevano più parte, né di essi si seppe più nulla. (...) 

La moglie di Tresso «Barbara», (non so se sia ancora viva) ha dedicato gli ultimi anni della sua vita alla ricerca della verità. Una commissione formata in Francia per far luce sui crimini staliniani, ha indagato anche sulla scomparsa di Tresso giungendo a concludere che egli sia stato eliminato in circostanze tuttavia non precisate e non provate nei dettagli. Molte volte, dal dopoguerra in poi, la questione è rimbalzata sulla stampa registrando, tra gli altri, interventi di Palmiro Togliatti, del socialista Alfredo Azzaroni, autore di una biografia di Tresso, del trotzkysta Livio Maitan e del comunista Stefano Schiapparelli. Vi furono anche iniziative della sezione di Magré del Pci.Tresso, è ovvio, non ha bisogno di riabilitazioni postume. E, d'altra parte, Emanuele Macaluso nell'Orazione funebre di Leonetti, nel dicembre del 1984, ha pubblicamente e senza perifrasi definito le espulsioni del '30 un gravissimo errore. E tuttavia sulle circostanze e i motivi della morte di «Blasco» si può ancora fare luce. C'è, credo, qualcuno che sa. Alfonso Leonetti, espulso nel "30 insieme a Tresso e Ravazzoli, e rientrato nel partito nel 1962, qualcosa d'importante sapeva. Tra l'altro aveva militato nella Resistenza dell'Alta Loira, la stessa zona dove nel '43 era finito Tresso. E, comunque, possedeva dei documenti che giudicava pesanti e decisivi, documenti che, alcuni anni prima della morte, ebbe ad affidare - al di là di ogni legato testamentario ma sulla base di una semplice fiducia - a una o più persone con l'intento che, lui scomparso e dopo il verificarsi, credo, di alcune condizioni politiche, fossero resi pubblici. Non so chi, attualmente, sia in possesso di tali documenti, ma so che esistono oggi tutte quelle condizioni, storiche e politiche, auspicate da Leonetti perché, sulla morte di Tresso si sappia finalmente la verità. Tacere significherebbe farsi complici”.

    Alfonso Leonetti negli anni '70

Un articolo molto chiaro e una netta e coraggiosa presa di posizione, ma il giornalista andò oltre. In altra occasione Berardi rivelò che, oltre al fatto dei documenti di cui sarebbe stato in possesso, Leonetti lo aveva portato a conoscenza della visita ricevuta da due inviati dalla segreteria del Pci (all’epoca era segretario Alessandro Natta) che gli avrebbero chiesto di distruggere tutta la documentazione o, almeno, una lettera autografa di Togliatti del 1964 nella quale l’allora segretario del Pci gli chiedeva di non sollevare la questione Tresso. Leonetti avrebbe rifiutato e chiesto all’amico Berardi di cui si fidava l’impegno a riaprire il caso Tresso non prima di dieci anni, quando ci fossero state le condizioni politiche per non danneggiare il PCI e “non fare un favore a Craxi”.

Ed infatti nel 1993, esattamente dieci anni dopo, Berardi, fedele alla promessa fatta all'amico e compagno Leonetti, scrisse l'articolo di cui abbiamo riportato ampi stralci, ma le carte non uscirono mai fuori e chi sapeva continuò a tacere. Evidentemente la cosa era troppo grossa per poter essere rivelata. Il che ci porta a pensare che le convinzioni della moglie di Blasco sulle responsabilità dirette di Togliatti nell'assassinio del marito non fossero poi così infondate.