TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 28 marzo 2023

Gli Italiani di Crimea

 


Pochi sanno che la Crimea e il sud dell'Ucraina sono da secoli sede di una minoranza di lingua italiana, in parte discendente delle vecchie colonie genovesi. Già decimata durante la seconda guerra mondiale dalla criminale politica di Stalin, questi italiani di Crimea rischiano oggi di sparire definitivamente. Il testo che segue fa parte di un lavoro più ampio sull'Ucraina, a cura di un gruppo di ricercatori di vari paesi europei, in uscita contemporaneamente in Italia, Francia e Svizzera a cura del pool di editori che assieme alle edizioni Syllepse sostengono la resistenza ucraina..

Giorgio Amico

Gli Italiani di Crimea

La presenza italiana in Crimea è attestata dal 1204, quando Venezia approfittò della conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati per occupare i porti della Crimea meridionale. Nel 1261 ai Veneziani si sostituirono i Genovesi grazie ad un accordo con l'Impero bizantino, che concedeva loro l’esclusiva del commercio nel Mar Nero.

Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, questie colonie nel 1475 divennero parte dell'Impero ottomano. Ma la presenza genovese non scomparve. Una parte della popolazine trovò rifugio presso i Tartari dell'entroterra. Un secolo più tardi, nel 1574, Martin Broniewski, ambasciatore polacco in Crimea, segnalava l’esistenza di discendenti dei genovesi che avevano mantenuto l’uso della lingua e le proprie tradizioni religiose. Presenza confermata ancora in un libro edito nel 1834 in cui si afferma come nella lingua dei Tartari, lungo tutta la fascia costiera, si rinvenissero un gran numero di parole genovesi.

Nel Settecento, in particolare durante il regno di Caterina II, le autorità russe asvilupparono campagne di popolamento delle aree del Volga, del Mar Nero e della Crimea. Ciò determinò una ondata migratoria dall'Europa occidentale e anche dall’Italia. Tra il 1782 e il 1783 da Livorno arrivarono un migliaio di coloni, liguri, corsi, sardi e toscani che si insediarono nella regione di Cherson

Una seconda ondata migratoria italiana giunse in Crimea all''inizio dell’Ottocento. Fra il 1820 e il 1870 giunsero nel territorio di Kerč’, emigranti italiani provenienti soprattutto dalle località pugliesi di Trani, Bisceglie e Molfetta, Ad essi si aggiunse un’emigrazione più qualificata, con architetti, notai, medici, ingegneri e artisti, ma anche attivisti politici, cospiratori e rivoluzionari antiborbonici, che si concentrò nella città di Odessa.

Questa nuova ondata migratoria in Crimea era stata favorita dalle autorità imperiali russe per sviluppare varie attività agricole, soprattutto la coltivazione della vite e la produzione di vino e regolata da accordi diplomatici con il Regno delle due Sicilie. Secondo dati ufficiali, nel 1897 gli Italiani sarebbero stati l’1,8% della popolazione della provincia di Kerč', percentuale passata al 2% nel 1921; alcune fonti parlano specificatamente di tremila o cinquemila persone.

La rivoluzione d'Ottobre, la guerra civile e la costruzione del socialismo coinvolsero anche la minoranza italiana. Nel quadro della collettivizzazione forzata delle campagne, gli italiani, in maggioranza piccolissimi possidenti, furono obbligati a creare il kolchoz “Sacco e Vanzetti”. Contemporaneamente iniziò una campagna di "rieducazione socialista" utilizzando militanti comunisti italiani rifugiati in Unione Sovietica e di sicura fede staliniana. Fra questi Paolo Robotti, che ne parla nel libro di memorie La prova e Giuliano Pajetta che racconta brevemente del suo soggiorno a Kerc nel libro Russia 1932-34. Durante le “purghe” del 1933-37 molti italiani, accusati di essere spie fasciste, furono arrestati e sparirono nell'inferno del gulag.

Ma sarà la guerra a segnare in modo irreversibile il destino degli Italiani di Crimea. Nel 1942, dopo la riconquista della Crimea da parte dell'Armata Rossa le minoranze nazionali presenti sul territorio furono deportate con l’accusa di aver collaborato con gli occupanti tedeschi. La deportazione della minoranza italiana iniziò il 29 gennaio 1942: l’intera comunità, compresi i rifugiati antifascisti che si erano stabiliti a Kerč’, venne radunata e inviata in carri bestiame nel gulag siberiano. A ogni persona fu permesso di portare con sé non più di 8 chilogrammi di bagaglio. Il viaggio durò quasi due mesi –dal 29 gennaio fino agli ultimi giorni di marzo. Un'odissea di 8 mila chilometri in condizioni terribili, con temperature di oltre 30 gradi sotto lo zero, durante la quale la maggioranza dei bambini e dei vecchi morirono di malattia, fame e freddo.

Chruscev nel suo rapporto al XX Congresso del P.C.U.S. definì questa deportazione un “brutale, mostruoso genocidio di popoli” ed aggiungeva che “gli Ucraini erano sfuggiti a questa sorte, solo perché erano troppi (circa 40 milioni) e non vi era luogo dove deportarli”. Nonostante ciò solo il 14 novembre 1989 il Soviet Supremo dichiarerà illegale la deportazione.

Dante Corneli, che trascorse 24 anni in Siberia e, tornato in Italia, denunciò fino alla fine dei suoi giorni i crimini di Stalin e la dirigenza italiana comunista che ne fu complice, nei suoi libri – di cui esiste oggi grazie a Massari Editore una edizione finalmente curata con criteri scientifici - parla del dramma di oltre duemila italiani della Colonia Agricola di Kerč'. Una testimonianza confermato dalle stesse autorità sovietiche secondo cui solo durante il viaggio e il primo anno di deportazione morì un deportato su cinque

Nei campi la comunità italiana fu quasi annientata. dalla fame, dal freddo, dalle malattie e dalla durezza dei lavori forzati. Complessivamente si calcola che i sopravvissuti, in totale, non furono più del 10 per cento dei deportati. Dopo il 1956 con l'inizio del "disgelo" e la chiusura di gran parte dei campi ciò che restava degli Italiani di Crimea tornò a casa. Nel 1957 risultava che fossero rientrati 460 esuli; secondo il censimento ucraino, nel 1989 erano 316 per la maggior parte residenti a Kerč. Qui nel 2008 è stata costituita l’associazione “C.E.R.K.I.O.” (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea – Italiani di Origine) che tramanda l'uso della lingua italiana. Una piccola minoranza che la russificazione forzata, voluta da Putin dopo l'occupazione della Crimea nel 2014, rischia ora di far scomparire definitivamente.