TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 22 marzo 2025

Una certa idea di Europa

 


Si parla molto in questi giorni di "radici dell'Europa". I più ne parlano con i modi e i toni delle tifoserie da stadio, Altri, pochi, lavorando sulla Memoria. Il contributo che segue è uno dei pochi che meritano di essere letti.


Jack Cucci*

Una certa idea di Europa

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Samuel Beckett preferisce tornare nella Parigi in guerra che restare nella Dublino in pace. In quel periodo, sta vivendo una specie di crisi creativa. E pensa che grazie alla compagnia di artisti come Francis Picabia potrà finalmente trovare la sua strada. Presto, però, si trova a collaborare con la figlia del dadaista, Gabrielle Martinez-Picabia, responsabile della rete antinazista Gloria. Nell’organizzazione, Beckett ha il ruolo di traduttore e nasconde i documenti segreti tra le sue scartoffie, convinto che nessuno avrebbe ficcato il naso in mezzo a quelle pagine. Un giorno del 1942, però, i nazisti, grazie alle soffiate di un delatore, smantellano Gloria. Beckett riesce a sfuggire all’arresto per un pelo e scappa, con la sua compagna, a Roussillon. Di solito, si fa risalire la sua ossessione per l’assurdità dell’esistenza a un’aggressione subita, senza alcun motivo, qualche anno prima. Ma forse ha avuto il suo peso il fatto che, per puro caso, lui si sia salvato e parecchi suoi compagni della rete Gloria siano morti nei campi di concentramento di Mauthausen o Buchenwald. Ad ogni modo, dopo la fine del conflitto, Beckett non parlerà quasi mai del suo contributo alla resistenza e arriverà a derubricarlo a un lavoro da boy scout.

Nello stesso anno in cui lo scrittore si ritira dalla lotta, a Limoges, entra nella resistenza un altro artista: Marcel Mangel. Attore di professione, Mangel è di famiglia ebrea polacca e aderisce al gruppo Francs-tireurs et partisans. Da partigiano, usa un nome falso che presto diventerà il suo nome d’arte: Marceau. Il suo compito principale nella resistenza è quello di portare in Svizzera decine di bambini ebrei. E proprio grazie alle sue doti da mimo rende il viaggio meno angosciante ai piccoli. Marceau, però, non è solo una guida ma anche un combattente e partecipa a una serie di scontri armati contro i tedeschi. Alla fine della guerra, dopo la morte di suo padre ad Auschwitz, il mimo si consacrerà a una sorte di arte del silenzio. E forse terrà chiusa la bocca per l’impossibilità di trovare le parole adatte a descrivere tutto quello che hanno visto i suoi occhi.

Sempre nel 1942, a Lione, entra nell’organizzazione Franc-Tireur lo storico Marc Bloch. In realtà, Bloch si rende conto della degenerazione della situazione, tempo prima, quando vede suo figlio giocare ai soldatini in una battaglia campale tra francesi e tedeschi. Bloch, in effetti, ha una capacità unica di capire da un dettaglio il contesto generale. Ma non rinuncia mai a sottoporre le sue intuizioni fulminanti alla prova dei fatti. E la prova dei fatti non tarda ad arrivare con l’invasione tedesca della Francia. Così, da veterano della prima guerra mondiale, Bloch partecipa alla seconda per combattere i nazisti nell’esercito regolare. Poi arriva il momento di scegliere la resistenza e uno come lui non può mancare l’appuntamento con la storia. Più vecchio di Marceau e di Beckett, Bloch non ha propriamente il phisique du role del sovversivo. Ma, presto, nell’organizzazione resistenziale, passa da compiti di manovalanza a ruoli di primordine, grazie a un’intelligenza e una preparazione fuori dal comune. Di origine ebraica, Bloch si sente francese al cento percento. E secondo alcune ricostruzioni prima di essere fucilato dai nazisti avrebbe gridato “Viva la Francia”. Per rendere giustizia a uno storico scrupoloso di quel calibro, bisogna dubitare di certe voci senza pezze d’appoggio. Ma poniamo che sia successo. Poniamo che Bloch abbia gridato “Viva la Francia”, un attimo prima di essere ucciso. Chi, in tutta onestà, riuscirebbe a vedere nazionalismo o sciovinismo in quel “Viva la Francia”? Chi potrebbe leggere in quelle parole tracce di suprematismo o di bellicismo? Beh se fosse successo, se Bloch avesse gridato davvero “Viva la Francia”, in quel grido, si potrebbe cogliere soltanto l’esaltazione di idee come la tolleranza, il pluralismo, la giustizia e la libertà.

Quei valori accomunano certi irlandesi, certi polacchi, certi francesi e certi abitanti di tutto il resto del mondo. Quei valori, però, non sono i valori fondativi di ogni paese. Quei valori sono i valori su cui si sono costruite la Francia, prima, e l’Europa, poi, con tutti gli errori e le contraddizioni che caratterizzano qualsiasi fatto umano. Ed è grazie a questa piattaforma valoriale se ora qui si può straparlare della democrazia. Negli ultimi decenni, si è discusso, fino allo sfinimento, sulle radici dell’Europa. Per come la vedo io, le radici le hanno le piante. E se ce l’ha pure l’Europa non so dove siano. Ma credo che le parole di Beckett, i gesti di Marceau e le ricerche di Bloch debbano essere tenute in considerazione da chi vuole definire l'identità europea tanto quanto la disponibilità di questi intellettuali a rinunciare a tutto per rendere possibili parole, gesti e ricerche di segno opposto. Sarebbe doveroso che gli intellettuali di oggi, qualunque sia il loro pensiero, cercassero di essere all'altezza.


*Jack Cucci è lo pseudonimo di un fine musicologo e di un "chierico" che non ha tradito, giusto per citare Benda, quello che è il dovere di ogni intellettuale: essere radicale, cioè andare sempre alla radice delle cose, senza ideologie o compromessi. E come ricordava Marx, la radice delle cose è sempre l'uomo.