TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 8 novembre 2025

Francesco Biamonti e San Biagio della Cima: una simbiosi profonda e indissolubile

 







In preparazione del venticinquennale della scomparsa di Francesco Biamonti


Giorgio Amico

Francesco Biamonti e San Biagio della Cima: una simbiosi profonda e indissolubile



Il rapporto tra Francesco Biamonti e San Biagio della Cima non è semplicemente un legame di nascita, ma una simbiosi profonda e indissolubile che ha plasmato l'intera sua esistenza e, soprattutto, la sua opera letteraria. San Biagio della Cima, un piccolo borgo dell'entroterra ligure di Ponente, è il cuore pulsante e il paesaggio archetipico di tutta la sua narrativa.

San Biagio della Cima e i suoi dintorni (la Val Crosia, le colline terrazzate di ulivi e vigne, i muretti a secco, i sentieri) non sono mai un semplice sfondo nelle opere di Biamonti, ma un personaggio vivente e centrale. È qui che lo scrittore ha osservato, assorbito e interiorizzato le atmosfere, i colori, i suoni, i silenzi, il vento che soffia tra gli ulivi, la luce che modella le rocche.

Questo paesaggio, aspro, antico, a volte in rovina, con la sua storia di fatica contadina e di abbandono, diventa metafora dell'esistenza umana. L'olivo, simbolo della Liguria di Ponente, è una presenza quasi mistica nelle sue pagine, rappresentando la resistenza, la memoria, la saggezza millenaria della terra.

Sebbene il confine fisico sia spesso evocato con la vicina Francia, il confine a San Biagio diventa metafora di una condizione umana di perenne transito, di "essere al limite" tra civiltà diverse, tra il detto e il non detto, tra la vita e la morte.

I personaggi di Biamonti sono spesso legati a questo territorio: contadini, pastori, "passeurs", figure semplici, silenziose, che portano su di sé il peso di un passato difficile e di una vita "nuda". La comunità di San Biagio e degli altri borghi circostanti, con le sue dinamiche di solitudine, orgoglio e discrezione, si riflette nelle relazioni e negli stati d'animo dei suoi personaggi. Biamonti ha saputo cogliere l'anima di questa gente di montagna e di confine, con la loro dignità e la loro malinconia. San Biagio della Cima è intriso della memoria storica e personale di Biamonti.

Le rovine, i ruderi, le case abbandonate, i vecchi, le leggende locali, tutto contribuisce a costruire un senso di tempo sospeso e di un passato che non cessa di dialogare con il presente. La sua infanzia e giovinezza, vissute in questo contesto, sebbene da lui definite "angoscianti e mutilate" per la mancanza di stimoli esterni, furono in realtà profondamente formative per la sua sensibilità.

Il legame è così forte che, dopo la sua morte, è nato il progetto del "Parco Biamonti" a San Biagio della Cima, un percorso letterario e paesaggistico dedicato allo scrittore. Questo parco mira a far rivivere i luoghi narrati nelle sue opere, permettendo ai visitatori di camminare sui sentieri che hanno ispirato i suoi romanzi e di immergersi nell'atmosfera che ha permeato la sua scrittura.

San Biagio della Cima non è solo il luogo natale di Francesco Biamonti, ma la fonte inesauribile della sua ispirazione e il vero coprotagonista, sotto nomi diversi, a partire da quell'Avrigues del suo primo romanzo, di tutta la sua opera. È il luogo dove la sua lingua ha trovato radici profonde, dove il paesaggio si è trasformato in "categoria dello spirito" e dove la vita "nuda" delle persone ha trovato la sua più autentica espressione letteraria.