TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 13 novembre 2025

Per una storia della Nuova Sinistra in Italia. Il Centro Karl Marx di Pisa

 



Il Centro Karl Marx, dapprima CKM pisano, poi toscano, ebbe la sua sede principale a Pisa. È una delle tre formazioni (le altre sono Lotta Continua e la Lega dei Comunisti) nate dalle ceneri de Il potere operaio pisano nell'autunno del 1969. Riferimenti principali furono Gian Mario Cazzaniga, Giuliano Foggi e Vittorio Campione. Nel 1972 diventò Organizzazione dei Lavoratori Comunisti, per poi nel 1975 confluire nel Partito Comunista Italiano.


Il quaderno è disponibile su www.academia.edu

sabato 8 novembre 2025

Francesco Biamonti e San Biagio della Cima: una simbiosi profonda e indissolubile

 







In preparazione del venticinquennale della scomparsa di Francesco Biamonti


Giorgio Amico

Francesco Biamonti e San Biagio della Cima: una simbiosi profonda e indissolubile



Il rapporto tra Francesco Biamonti e San Biagio della Cima non è semplicemente un legame di nascita, ma una simbiosi profonda e indissolubile che ha plasmato l'intera sua esistenza e, soprattutto, la sua opera letteraria. San Biagio della Cima, un piccolo borgo dell'entroterra ligure di Ponente, è il cuore pulsante e il paesaggio archetipico di tutta la sua narrativa.

San Biagio della Cima e i suoi dintorni (la Val Crosia, le colline terrazzate di ulivi e vigne, i muretti a secco, i sentieri) non sono mai un semplice sfondo nelle opere di Biamonti, ma un personaggio vivente e centrale. È qui che lo scrittore ha osservato, assorbito e interiorizzato le atmosfere, i colori, i suoni, i silenzi, il vento che soffia tra gli ulivi, la luce che modella le rocche.

Questo paesaggio, aspro, antico, a volte in rovina, con la sua storia di fatica contadina e di abbandono, diventa metafora dell'esistenza umana. L'olivo, simbolo della Liguria di Ponente, è una presenza quasi mistica nelle sue pagine, rappresentando la resistenza, la memoria, la saggezza millenaria della terra.

Sebbene il confine fisico sia spesso evocato con la vicina Francia, il confine a San Biagio diventa metafora di una condizione umana di perenne transito, di "essere al limite" tra civiltà diverse, tra il detto e il non detto, tra la vita e la morte.

I personaggi di Biamonti sono spesso legati a questo territorio: contadini, pastori, "passeurs", figure semplici, silenziose, che portano su di sé il peso di un passato difficile e di una vita "nuda". La comunità di San Biagio e degli altri borghi circostanti, con le sue dinamiche di solitudine, orgoglio e discrezione, si riflette nelle relazioni e negli stati d'animo dei suoi personaggi. Biamonti ha saputo cogliere l'anima di questa gente di montagna e di confine, con la loro dignità e la loro malinconia. San Biagio della Cima è intriso della memoria storica e personale di Biamonti.

Le rovine, i ruderi, le case abbandonate, i vecchi, le leggende locali, tutto contribuisce a costruire un senso di tempo sospeso e di un passato che non cessa di dialogare con il presente. La sua infanzia e giovinezza, vissute in questo contesto, sebbene da lui definite "angoscianti e mutilate" per la mancanza di stimoli esterni, furono in realtà profondamente formative per la sua sensibilità.

Il legame è così forte che, dopo la sua morte, è nato il progetto del "Parco Biamonti" a San Biagio della Cima, un percorso letterario e paesaggistico dedicato allo scrittore. Questo parco mira a far rivivere i luoghi narrati nelle sue opere, permettendo ai visitatori di camminare sui sentieri che hanno ispirato i suoi romanzi e di immergersi nell'atmosfera che ha permeato la sua scrittura.

San Biagio della Cima non è solo il luogo natale di Francesco Biamonti, ma la fonte inesauribile della sua ispirazione e il vero coprotagonista, sotto nomi diversi, a partire da quell'Avrigues del suo primo romanzo, di tutta la sua opera. È il luogo dove la sua lingua ha trovato radici profonde, dove il paesaggio si è trasformato in "categoria dello spirito" e dove la vita "nuda" delle persone ha trovato la sua più autentica espressione letteraria.

sabato 4 ottobre 2025

Spezzare il tetto della casa: una riflessione sulla creatività come gesto sacro e trascendente

 


Giorgio Amico

Spezzare il tetto della casa: una riflessione sulla creatività come gesto sacro e trascendente


Spezzare il tetto della casa si colloca con forza e profondità all’interno del vasto corpus di Mircea Eliade, uno degli studiosi più influenti nel campo della storia delle religioni e della filosofia del sacro. In questo libro, Eliade affronta il mistero della creatività umana e divina, proponendo una visione che trascende la mera dimensione estetica o tecnica dell’atto creativo per svelarne la natura sacrale e il suo radicamento simbolico. Il titolo stesso, una potente metafora, sintetizza l’essenza del progetto di Eliade: “spezzare il tetto della casa” significa aprire un varco verso il trascendente, rompere la rigidità della materia e degli schemi ordinari per accedere a una dimensione spirituale che rinnova l’essere e l’esperienza.

Questa immagine risuona con le tematiche ricorrenti nell’opera di Eliade, in cui la casa non è solo un rifugio fisico ma uno spazio sacro, simbolo dell’ordine cosmico e dell’armonia fra il mondo umano e quello divino. La “rottura” del tetto, in senso rituale, può essere letta come un rito di passaggio, un gesto archetipico che consente di superare i limiti dell’esistenza quotidiana per inaugurare una nuova apertura verso l’infinito. In tal senso, Spezzare il tetto della casa si inserisce nella riflessione di Eliade sul sacro e il profano, temi centrali in opere come Il sacro e il profano e Mito e realtà, dove la dialettica tra dimensione ordinaria e trascendente viene esplorata a fondo.

Il testo sviluppa l’analisi della creazione in tutte le sue manifestazioni: cosmogonica, artistica, spirituale. Eliade dimostra come ogni cultura, attraverso miti, riti e simboli, abbia concepito il gesto creativo come un ponte che unisce il mondo umano a quello divino, una forma di comunicazione con l’Assoluto. Questo approccio interdisciplinare è tipico del metodo eliadeano, che intreccia antropologia, storia delle religioni, filosofia e studi sull’arte, conferendo al libro un respiro universale e senza tempo.

Particolarmente significativa è la dedica iniziale all’artista Constantin Brancusi, figura esemplare della creatività come espressione di codici culturali profondi e innovativi. Brancusi incarna l’idea eliadeana che il mito non sia soltanto narrazione o testimonianza del passato, ma un modello operativo e vitale: ascoltare e interpretare un mito significa apprendere come diventare creatori a propria volta, in un processo di rinnovamento continuo. L’arte diventa così, nelle mani di Eliade, un atto sacro, capace di connettere la dimensione materiale con quella spirituale, riflettendo i principi archetipici che governano l’universo.

Dal punto di vista stilistico, il libro si distingue per una prosa densa ma accessibile, in cui la lucidità e la chiarezza delle argomentazioni si coniugano con una capacità narrativa che avvicina il lettore alle profonde meditazioni di Eliade. Il testo si situa dunque a metà strada tra il saggio accademico e la riflessione filosofica, espressione di un pensiero che non si limita a studiare il sacro dall’esterno, ma tenta di viverlo e comunicarlo.

Spezzare il tetto della casa rappresenta un contributo fondamentale non solo per comprendere la creatività in una prospettiva religiosa e simbolica, ma anche per apprezzare l’intera opera di Mircea Eliade, il cui impegno è stato quello di recuperare il senso profondo del sacro nel mondo moderno, troppo spesso ridotto a dimensioni puramente materiali. Il libro invita a una riscoperta dell’atto creativo come esperienza di trascendenza, capace di “spezzare” le barriere tra terra e cielo, materia e spirito, passato e presente.

Un’opera, dunque, che va ben oltre l’analisi della creatività in senso estetico o artistico, ponendosi come una riflessione profonda e urgente sul recupero del sacro in un’epoca segnata dalla sua progressiva marginalizzazione. Mircea Eliade, infatti, si impegna nel suo complesso lavoro a contrastare quella che definisce la “secolarizzazione” della modernità, ovvero la perdita di quel senso del sacro che tradizionalmente conferiva significato e ordine all’esistenza umana.

Nel mondo contemporaneo, dominato dalla razionalità scientifica e dalla prospettiva materialistica, la dimensione spirituale rischia di essere relegata a semplice residuo o a mera superstizione. Eliade denuncia questa riduzione, sostenendo che senza il riferimento al sacro, la vita umana perde una delle sue coordinate fondamentali, diventando spesso priva di un orizzonte di senso più ampio e profondamente motivante. Spezzare il tetto della casa è quindi anche un invito a rompere gli schemi imposti da una visione puramente profana e a riconquistare quella capacità di apertura al trascendente che permette all’uomo di connettersi con ciò che è eterno e universale.

Attraverso l’esplorazione del mito, del rito e del simbolo, Eliade mostra come la creatività sia, in ultima analisi, un atto sacro: un ponte tra il finito e l’infinito, tra l’umano e il divino. La “rottura del tetto” diventa metafora di una liberazione da un’esistenza chiusa entro limiti materiali e contingenti, un gesto che rimanda alla necessità di riscoprire la sacralità dell’essere e del mondo. In questo senso, il libro non solo illumina un aspetto centrale dell’esperienza umana, ma propone anche un’alternativa al nichilismo e all’alienazione che spesso caratterizzano la società moderna.

Il contributo principale offerto dal libro è dunque duplice: da un lato, offre uno strumento intellettuale e simbolico per comprendere il valore profondo della creatività come esperienza di trascendenza; dall’altro, si pone come una voce critica e al tempo stesso propositiva in difesa del sacro, chiamando il lettore a una riflessione che supera la mera speculazione teorica per divenire una vera e propria pratica di vita.

In questa ottica Spezzare il tetto della casa si inscrive nel più complessivo tentativo di Mircea Eliade di restituire al sacro un posto centrale nella coscienza moderna, riscoprendo nelle radici mitiche e rituali dell’umanità un patrimonio di significati capace di rinnovare e sostenere l’esperienza contemporanea. In un’epoca in cui la spiritualità è spesso fraintesa o trascurata, Eliade ci invita a guardare oltre la superficie delle cose, a “spezzare” il tetto delle nostre certezze e a riconnetterci con la dimensione sacra che alimenta la vera creatività e la pienezza dell’esistenza.


Mircea Eliade
Spezzare il tetto della casa
Jaca Book 2016-2023

martedì 23 settembre 2025

Victor Serge, Lo sterminio degli ebrei d'Europa

Un anno e mezzo di lavoro fra ricerca, traduzione e sistemazione del materiale, diventato un libro presto in libreria.




sabato 6 settembre 2025

Intelligenza artificiale o intellettuali artificiali?

 

















È da poco in libreria l'ultimo libro di Roberto Massari che raccoglie scritti, interventi, lettere in larga parte usciti sul Blog Utopia Rossa dal 2022 al 2025. Qui di seguito la nostra introduzione al volume.


Viviamo in tempi difficili. Grande è il disordine sotto il cielo, si sarebbe detto in un altro momento storico. Ma a differenzea di allora, la situazione non è eccellente. A pensarci bene, non lo era poi tanto neppure allora. Ma in quegli anni le cose apparivano più chiare. Come nei film western della nostra infanzia la separazione fra buoni e cattivi era netta: da una parte il male che sembrava onnipotente, dal'altra il bene che alla fine, dopo peripezie e travagli, comunque trionfava,

Oggi queste certezze non esistono più. Lo sceriffo e il fuorilegge rappresentano due aspetti della stessa realtà, ragionano e si comportano allo stesso modo. Non che allora fosse diverso, ma ci faceva velo l'ideologia di cui, senza rendercene conto,eravamo totalmente imbevuti.

Il mito dell'URSS, patria della pace e del progresso, per quelli che ancora ci credevano. Il mito della Cina per i nuovi credenti in cerca di orizzonti radiosi da cui sarebbe spuntato, più bello e più forte che pria, il sol dell'avvenir. Il mito di Berlinguer e di un PCI capace di fare finalmente di questa Italia sgangherata un paese civile, moderno e giusto. Il mito che la critica delle armi fosse comunque più efficace delle armi della critica e quindi, anche per i più miti, immagini del Che appese in ogni stanza e slogan truculenti sui nuovi partigiani che, come nel '45, avrebbero presto mitra alla mano rimesso le cose a posto.

Miti diversi e contraddittori che ci univano e allo stesso tempo ci dividevano. Insomma, come in ogni religione che si rispetti, tutti a credere nello stesso dio, ma ciascuno a modo proprio e secondo i propri riti.

L'unica cosa che veramente era comune a tutti, era la fede incrollabile nelle virtù salvifiche della classe operaia. La classe operaia deve dirigere tutto, dicevano i maoisti, e ciascuno a modo proprio faceva eco. L'internazionalismo proletario era un dogma che nessuno avrebbe osato mai mettere in discussione, nonostante le lezioni del passato, a partire dall'ormai lontanissimo 1914, ne avessero evidenziato la totale mancanza di fondamento.

Gli anni Ottanta, quelli del "riflusso", iniziarono un'opera massiccia di potatura di questa giungla intricata che era diventata la sinistra del decennio precedente. Una forma di selezione naturale alla rovescia. Dalle ceneri di gruppi e movimenti si sviluppò un nuovo ceto di politici di professione, "forchettoncini rossi" li definìsce con termine quanto mai azzeccato l'autore di questo libro, che ancora oggi restano incollati alle loro poltone, parlamentari, alle redazioni giornalistiche, ai talkshow televisivi, pronti ad adegauarsi ad ogni cambiamento e a impartire urbi et orbi lezioni di politicamente corretto.

Da allora è stato un. piano inclinato, un enorme buco nero che decennio dopo decennio ha inghottito certezze, miti, speranze, illusioni. Si è chiuso definitivamente il ciclo della fabbrica fordista e di tutto ciò che esso comportava a livello politico e sindacale, teorie sull'operaio massa comprese. Certo gli operai esistono ancora, ma sono diventati invisibili anche a sè stessi. Lo sfruttamento non fa più notizia.

I nuovi settori, come quello della logistica, dove qualche forma di combattività ancora permane, fosse altro per le durissime condizioni di lavoro, non riescono a secrnereun'avanguardia che sia di riferimento per il resto della classe. Le lotte sono lotte difensive contro dslocazioni di impianti e licenziamenti. Vertenze isolate in mancanza di un sindacato capaci di generalizzarle.

Quelle che una volta erano le cinture rosse delle città sono diventate terra di conquista elettorale di avventurieri populisti e xenofobi, dalla Lega ai Cinque Stelle. Fino ad arrivare, per chi si considera ancora "di sinistra", definizione peraltro a cui è sempre più difficile attribuire un significato organico, a vedere nella figura del Capo dlla Chiesa cattolica, dell'ultimo monarca assoluto esistente sulla terra, l'apostolo degli oppressi. E questo per qualche frase generica sulla pace, sui migranti, sulle periferie, estrapolata da discorsi che, se letti per intero, vedono confermate se non rafforzate le classiche posizioni della Chiesa su sessualità, aborto, fine vita.

Di questo viaggio verso l'assurdo sono testimonianza critica i volumi che, a partire dal 2005, Roberto Massari ha dedicato a raccogliere e rendere così fruibili ad un pubblico vasto i suoi scritti inediti. Centinaia di articoli che rappresentano una sorta di storia alternativa dell'Italia degli ultini sessant'anni, dalle promesse mancate del cento-sinistra agli anni tragici del Covid.

Pur essendo espressione di momenti contingenti, queste prese di posizione mostrano una coerenza di impostazione, una lucidità critica ed una capapacità di leggere il presente in prospettiva del futuro rare nel quadro del pensiero marxista italiano e non solo.

Dai primi passi di una sociologia non più accademica, ma intesa come strumento di comprensione delle dinamiche sociali al servizio della lotta di classe, alla denuncia della crisi irreversibile del trotskismo, al movimento del '77, ai primi sintomi della mutazione genetica di una sinistra che via via andava perdendo ogni punto di riferimento, alla battaglia contro l'invadenza di una comuncazione interamente centrata sullo spettacolo, capace di banalizzare ogni avvenimento anche il più tragico, fino al sorgere dei movimenti no-vax, gli scritti di Massari permettono di orientarsi in quello che appare a prima vista come un succedersi caotico di avvenimenti e personaggi.

Nati come strumenti di polemica politica negli anni caldi del Movimento, diventati momenti di riflessione critica negli anni freddi del riflusso e della stabilizzazione, gli scritti di Massari visti nel loro complesso posono essere letti oggi anche, e forse soprattutto, in chiave storica a disegnare nei suoi percorsi il progressivo processo di decadenza di quella che siamo abituati a definire la civiltà occidentale e che ha la sua nascita con le grandi scoperte geografiche e lo spostamento del baricentro mondiale dal bacino del Mediterraneo all'Atlantico.

Sono gli anni per intenderci del declino dell'impero americano, della progressiva marginalizzazione dell'Europa, della centralità crescente del Pacifico e di una Cina ritornata, dopo due secoli, a pensarsi come il centro del mondo.

Processi giganteschi che comportano la fine degli equilibri sanciti con la spartizione del mondo a Yalta fra l'imperialismo americano e quello russo e riaprono una contesa per la ridefinizione di nuovi equilibri adeguati al cambiamento in atto nei rapporti di forza a livello globale che rendono di nuovo la guerra fra le grandi potenze una possibilità reale.

Ciò che accade in Ucraina e in Medio Oriente sono i segno dell'approfondirsi di questa crisi. Massari vi dedica i primi tre capitoli, andando ancora una volta controtendenza, smacherando l'ipocrisia di chi in nome della pace predica la politica del fatto compiuto, della resa alle pretese imperiali di Putin, come già altri fecero negli anni Trenta con atteggiamenti tragicamente simili verso l'espansionismo hitlero-staliniano.

Ma dove il volume raggiunge il massimo di incisività è nella denuncia di un antisemitismo, di tipo nuovo che ha nella estrema sinistra le sue manifestazioni più eclatanti. Un antisemitismo che testimonia ogni giorno di più la fine ingloriosa della tradizione comunista di origine terzinternazionalista ed in particolare di ciò che resta del movimento trotskista.

Un antisemitismo che riprende ad una ad una le formule di Hamas e del fascio-islamismo di derivazione iraniana in nome di un'avversione viscerale verso tutto ciò che è percepito come Occidente. Una sorta di riflesso condizionato che ha radici in ciò che resta della cultura di un partito comunista, incapace funo all'ultimo, berlinguerismo compreso, di staccarsi radicalmente dal suo filosovietismo.

Un libro che certo non piacerà ai lettori del Manifesto, agli orfani di Berlinguer a partire dai susperstiti di Rifondazione, ai neostalinisti del sindacalismo base, ai troskoidi di ogni tendenza, insomma a tutti coloro che rifiutano ostinatamente di fare i conti con la realtà e che scambiano l'analisi marxista con la denuncia moralistica, incapaci di andare oltre la linea di galleggiamento e capire veramente ciò che accade oggi in Italia come negli USA di Trump.

Sbaglierebbe anche chi pensasse ad una visione pessimistica che in nome del realismo ha rinunciato alla lotta per un mondo diverso e al respiro dell'utopia. Nei suoi interventi Massari si rifà ad una tradizione critica capace di sintetizzare armonicamente realismo e utopia e che ha in eretici come Victor Serge e Guy Debord le sue solidissime radici. E Utopia Rossa si chiama non a caso il sito online su cui questi scritti sono apparsi, luogo di incontro e confronto di chi non si rassegna alla attuale dittatura della mediocrità, di chi non ha abdicato al dovere dell'intellettuale di andare sempre alla radice delle cose, consapevole, come il giovane Marx dei Manoscritti, che alla radice delle cose c'è sempre l'uomo e che di conseguenza una visione realmente critica dello stato di cose esistenti non può che fondarsi su di un radicale umanismo rivoluzionario. Una Utopia Rossa, di cui questa raccolta di scritti, interventi, lettere, rappresenta un grande manifesto.


Giorgio Amico


giovedì 21 agosto 2025

Da Il Potere Operaio a Lotta comunista. Cronache e materiali della sinistra rivoluzionaria a Savona (1967-1969)

 



Il quaderno ricostruisce la parabola del gruppo Il Potere Operaio, nato a Savona alla fine del 1967 e confluito in Lotta comunista all'inizio dell'estate 1969. In appendice "Per un intervento rivoluzionario sul problema della casa", intervento al Convegno Nazionale di Lotta Comunista tenutosi a Savona nei locali del Circolo Calamandrei nell'agosto 1969.

Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu.


1976-77 Il Movimento dei Sottoufficiali Democratici

 



Nel 1976-77 si sviluppa il Movimento dei Sottoufficiali Democratici che rivendica la democratizzazione degli ambienti militari e la concessione di diritti sindacali al personale in servizio. Il sorgere del movimento è preparato dall'esperienza dei Proletari in divisa (PID) sostenuta principalmente da Lotta continua. Il testo presentato, finalizzato all'organizzazione di una iniziativa nella realtà savonese che poi non avrà luogo per dissensi fra i promotori  cercava di inquadrare storicamente la questione nel più vasto ambito della democratizzazione mancata del Paese dopo le esperienze rivoluzionarie sia del Risorgimento che della Resistenza.

Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile sul sito:  academia.edu