TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 27 gennaio 2013

Gli schiavi di Hitler




Per non dimenticare

Giorgio Amico

Gli schiavi di Hitler

La seconda guerra mondiale fu una guerra totale. Per la prima volta, almeno per quanto riguarda l'Europa, fu l'intera popolazione senza distinzione d'età o di sesso ad essere coinvolta negli eventi bellici, tanto che le vittime civili superarono quelle militari. E questo per effetto di due fenomeni entrambi inediti e di enorme portata: i bombardamenti terroristici sulle città effettuati da entrambi gli schieramenti e la deportazione di milioni di persone che invece è fenomeno solo tedesco e va ad intrecciarsi all'altra peculiarità nazista, lo sterminio degli ebrei dei paesi occupati. Le cause del fenomeno deportazione sono riscontrabili oltre che nella ideologia nazista della razza superiore, nelle particolari condizioni della Germania in guerra. Fu per far fronte allo sforzo bellico che i nazisti, avendo gran parte della popolazione maschile al fronte e dunque un'enorme e continua necessità di forza lavoro, programmarono e attuarono un enorme e spietato programma di deportazione che negli ultimi anni di guerra coinvolse milioni di uomini e donne, rastrellati da tutti gli angoli d'Europa e rinchiusi in campi di lavoro destinati alla costruzione di armi e munizioni. Considerati veri e propri schiavi, costretti a turni di lavoro massacranti, mantenuti in condizioni di vita spaventose, sottoalimentati e sfruttati fino al totale esaurimento fisico, milioni di questi deportati morirono di stenti e di fatica o vennero brutalmente eliminati non appena si rivelarono non più produttivi.

Circa 800.000 italiani, uomini e donne, vissero questa tragedia, deportati in territorio tedesco dal settembre 1943 fino all'aprile 1945. Di questi 650.000 erano militari, rastrellati dopo lo sbandamento dell'esercito dell'8 settembre 1943 e internati negli Oflager e negli Stammlager, i campi gestiti direttamente dalla Wehrmacht e destinati rispettivamente agli ufficiali e ai soldati.

Altri 100.000 erano uomini e donne fermati durante i rastrellamenti antipartigiani dalle truppe tedesche o dalle milizie di Salò. Accusati di renitenza alla leva o di favoreggiamento dei "ribelli" furono raccolti in centri di detenzione per essere poi deportati in Germania negli Arbeitlager, campi di lavoro dipendenti dalle industrie belliche.

Circa 40.000 furono invece i deportati per motivi politici o razziali. Di questi 8000 erano ebrei, gli altri partigiani combattenti o comunque assimilati a questi. Operai per lo più, arrestati per aver partecipato ai grandi scioperi della primavera 1944 o per sabotaggio della produzione, ma anche familiari di combattenti della Resistenza presi in ostaggio o patrioti fiancheggiatori della lotta armata.

Mentre gli ebrei finirono quasi interamente nel campo di sterminio di Auschwitz, gli altri 32.000 vennero inviati nei campi di concentramento (Konzentrationslager-KL) di Dachau, Mauthausen, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbruck, dove l'eliminazione fisica si attuava principalmente attraverso il lavoro forzato.



Nonostante l'esistenza di una vasta memorialistica, manca ancora oggi una storia generale, scientificamente attendibile e definitiva, del fenomeno deportazione. Analogamente alla pagina drammatica delle stragi naziste in Italia rimaste a lungo impunite, un lavoro ricerca sistematico e scientifico sulla deportazione partì tardi. Per decenni l'argomento fu considerato tabù (e non solo a livello storico, ma anche giudiziario) a causa del clima politico indotto dalla guerra fredda e in conseguenza di accordi segreti intercorsi in nome di una malintesa solidarietà filooccidentale e atlantica fra il governo italiano e quello tedesco. E' solo a partire dalla fine degli anni Sessanta che, a causa soprattutto del vivo fermento culturale e politico creatosi nel Paese come conseguenza diretta delle grandi lotte studentesche ed operaie, iniziano ad apparire le prime ricostruzioni storiografiche attendibili sia sul più generale fenomeno della deportazione che sui campi di concentramento in Italia. Da allora questo lavoro di ricerca non si è più arrestato grazie soprattutto all'impegno costante di associazioni come l'Associazione Nazionale Deportati (ANED), l'ANPI, la rete degli Istituti Storici della Resistenza (ISREC) e il Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano.

All'interno di questa storia tragica Savona detiene il triste primato di aver dato l'avvio, immediatamente dopo l'8 settembre, alla deportazione di politici ed ebrei. Infatti il secondo trasporto di politici dall'Italia occupata dalle truppe naziste verso la Germania - un convoglio con un migliaio di prigionieri destinati a Gusen sottocampo di Mauthausen - partì dalla nostra provincia e precisamente dal campo di internamento di Cairo Montenotte ospitato nei locali dell'allora ex-riformatorio e ora scuola allievi della Polizia penitenziaria e di Villa Toselli in località Vesima. Il convoglio era composto in maggioranza da prigionieri italiani di origine slava, antifascisti e partigiani "titini", provenienti da Gorizia, Trieste e Capodistria. Questi prigionieri erano detenuti a Cairo M. già dalla fine del 1942, a testimonianza di come la Resistenza sul confine orientale, in Istria e Dalmazia fosse iniziata ben prima dell'8 settembre 1943 e fosse principalmente rivolta contro il tentativo del regime fascista di italianizzare a forza la minoranza slava della Venezia Giulia entrata a far parte del regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale. 

(Da un testo in via di pubblicazione a cura dell'ISREC di Savona)