Seconda
tappa di avvicinamento alla giornata situazionista di Cosio
d'Arroscia del 29 luglio. Oggi raccontiamo una pagina della vita del
giovane Debord nella Parigi del 1951.
Giorgio
Amico
Guy
Debord nel caffè della gioventù perduta
Appena
arrivato a parigi, il 16 ottobre Debord affitta una camera all'Hotel
de la Facultè, in rue Racine, proprio nel cuore del Quartiere
latino. Una sistemazione non proprio economica, la camera costa
14.000 franchi al mese, un prezzo proibitivo per uno studente, ma nel
caso di Debord è la madre a coprire le spese. Da Cannes Paulette
invia ogni mese al figlio 30.000 franchi, oltre a farsi carico delle
sue necessità più minute. Per molto tempo dopo il suo arrivo a
Parigi Guy invierà periodicamente per corriere la sua biancheria
sporca alla nonna che gliela ritornerà per la stessa via lavata e
stirata. Una bohème abbastanza confortevole, almeno per questo primo
periodo , se paragonata alla condizione della maggioranza dei
lettristi, veri marginali, costretti a vivere di espedienti e di
piccoli furti.
Coerente con le tesi di
Isou sul «sollevamento
della gioventù» il
movimento lettrista recluta dalla fine degli anni '40 dei giovani
ribelli che rifiutano le convenzioni della vita borghese. Una
gioventù marginale composta da artisti e intellettuali, ma anche da
sottoproletari, immigrati nordafricani, minorenni scappate di casa,
piccoli delinquenti e tossici. É
questo l'ambiente in cui Debord si inserisce a Parigi e che, quasi
alla fine della sua vita, rievocherà con
nostalgia:
«Nel
quartiere di perdizione dove giunse la mia giovinezza, come per
completare la sua istruzione, si sarebbe detto che si erano dati
convegno i segni precursori di un prossimo crollo dell'intero
edificio della civiltà. Vi si incontravano in permanenza della gente
che non poteva essere definita se non negativamente, per la buona
ragione che non aveva alcun mestiere, non attendeva ad alcuno studio,
e non esercitava alcuna arte. […] Questo ambiente di imprenditori
di demolizioni, più nettamente di quanto avessero fatto i loro
predecessori delle ultime due o tre generazioni, si era allora
mischiato assai strettamente alle classi pericolose. Vivendo con
loro, si fa in larga misura la loro vita. Ne restano evidentemente
delle tracce durevoli. Più di metà di coloro che, nel corso degli
anni ho conosciuto aveva soggiornato, una o varie volte, nelle
prigioni di diversi Paesi; molti, certo, per ragioni politiche, la
maggior parte tuttavia per reati o crimini di diritto comune. Ho
quindi conosciuto soprattutto i ribelli e i poveri. Ho visto attorno
a me, in gran quantità, gente che moriva giovane, e non sempre di
suicidio, comunque frequente».
Questa identificazione
con la piccola criminalità permette a Debord di demarcarsi
ulteriormente dal suo passato di borghese agiato. Tutto ciò che è
illegale l'attira: la droga, l'abuso di alcol, le ragazze minorenni,
i piccoli delinquenti, le case di correzione, la prigione. Il tutto
presentato come una reazione al processo irreversibile di decadenza
della società, declamato come il manifesto programmatico di una
generazione: «L'universo sta
esplodendo. Andiamo da un bar all'altro offrendo a ragazzine
fragili la mano come gli stupefacenti di cui naturalmente abusiamo».
Installatosi a Parigi
Debord scopre Saint-Germain-des-Prés, il luogo di ritrovo dei
giovani lettristi che si riuniscono in alcuni piccoli locali
equivoci del quartiere, evitando con cura le zone alla moda, come i
famosi caffè Flore e Deux Magots,
frequentate dagli esistenzialisti:
«
Per noi il quartiere finiva grosso modo davanti alla statua di
Diderot. Lì davanti c'era un bistrot che si chiamava il
Saint-Claude... Un poco avanti la rue de Rennes. Si imboccava la rue
des Ciseaux, all'angolo fra la rue des Ciseaux e la rue du Four c'era
un bistrot chiamato le Bouquet, un poco più lontano, rue du Four,
c'era Moineau. Sul marciapiede in faccia, all'angolo della rue
Bonaparte se non mi sbaglio, c'era un bistrot che vendeva patatine
fritte e salsicce, la Chope gauloise; rue des Canettes, non la si
frequentava allora ancora molto, ospitava già Chez Georges, un
bistrot molto conosciuto. Dopo si ritornava per la rue du Four, c'era
la Pergola, giusto in faccia, e l'Old Navy, un poco più lontano sul
marciapiede, a centocinquanta metri dal Mabillon».
«Il
mio quartiere è un'isola che nuota sulla Senna»
aveva scritto Gabriel Pomerand, niente potrebbe rendere meglio di
questo verso l'orgoglioso isolamento dei giovani lettristi e il loro
totale rifiuto di un mondo che andava abbandonato:
«Parigi
allora, entro i limiti dei suoi venti arrondissement non dormiva mai
tutta, e consentiva alla dissolutezza di cambiare tre volte quartiere
ogni notte. Non se ne erano ancora scacciati e dispersi gli abitanti.
Vi restava un popolo che aveva fatto le barricate dieci volte e messo
in fuga dei re. […] Era il labirinto migliore per trattenere i
viaggiatori. Coloro che vi si fermarono due giorni non ne ripartirono
più, o per lo meno finchè esistette; ma i più vi sono morti
giovani prima di andarsene. Nessuno lasciava le poche strade e i
pochi tavoli in cui era stato scoperto il punto culminante del
tempo».
Chez Moineau
Il
quartier generale dei giovani lettristi è un piccolo bistrot, Chez
Moineau, situato al numero 22 di rue du Four, che può contenere al
massimo una cinquantina di persone. É
un locale dimesso, frequentato da nordafricani e da piccoli
malavitosi, dove si può sostare per giornate intere senza obbligo di
consumazione, con pochi franchi consumare dei cibi mediocri e del
pessimo vino e soprattutto restare al caldo nelle fredde giornate
invernali:
«Moineau,
era una specie di isola deserta […] là avveniva la scrematura più
dura, la gente aveva paura d'andarci. Là, effettivamente, c'era il
delirio. C'era l'alcol, c'era l'hascish...».
Moineau
era un locale frequentato da magrebini, erano loro che nella Francia
dei primi anni Cinquanta avevano importato l'uso di fumare l'hascish.
Una frequentazione che non era solo mera trasgressione, ma anche
precisa scelta politica, come sottolinea Mension: «Partecipare
alla vita dei magrebini era un modo chiarissimo di prendere posizione
contro la borghesia, contro i coglioni, contro i francesi».
Luogo di incontri, di discussioni e di amori, dove l'ebbrezza
alcolica equivale a una rivoluzione permanente, per Debord Chez
Moineau diventerà negli anni del ricordo il «caffè
della gioventù perduta».
(Da:
Giorgio Amico, Guy Debord e la società spettacolare di massa,
Massari editore, 2017)