TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 11 luglio 2018

Elio Lanteri. Un'occasione persa.




Giorgio Amico

Elio Lanteri. Un'occasione persa.

La Riviera Ligure, rivista della Fondazione Mario Novaro, dedica il suo ultimo numero alla figura e all'opera di Elio Lanteri, scrittore ponentino scomparso nel 2010, ultimo illustre rappresentante di quella “scuola ligure” che ha avuto in Guido Seborga e Francesco Biamonti i suoi principali rappresentanti. 

Una preziosa occasione di ri/scoprire un autore significativo, ma ancora poco conosciuto e non solo dal grande pubblico. Un'occasione in larga parte mancata per il taglio banalmente aneddotico di gran parte degli interventi, fatti salvi un paio di contributi di peso come quello “storico” di Claudio Panella e quello “critico” di Gian Luca Picconi. 

Eppure di cose interessanti da scrivere ce ne sarebbero state. Pensiamo al rapporto fra Lanteri e una realtà non facile come quella ponentina, in particolare quell'Imperia bottegaia e bigotta che ostinatamente e orgogliosamente in ogni occasione (vedi il porto turistico o le elezioni comunali) riesce a dare il peggio di sé . 

Gli interventi si limitano invece alle frequentazioni da parte dello scrittore del Caffè Piccardo e del Bar del Porto. Interessanti, certo, per chi ama il genere” eravamo quattro amici al bar”, ma non certo esaustivi per comprendere la difficoltà (e lo sforzo, intellettuale e etico) di mantenersi liberi e critici in un contesto sociale e culturale non proprio esaltante. 

Neppure un rigo poi su come lo scrittore, militante sindacale e dirigente PSIUP, visse la stagione delle lotte studentesche e operaie di quel lungo '68 che anche nel nostro Ponente ha espresso figure di grande spessore politico e culturale, come (per citarne una) il sanremese Oscar Marchisio. 

Trattandosi della vita non di un letterato disincarnato (ammesso che ne esistano realmente), ma di un militante operaio, per di più sindacalista di professione, forse sarebbe stato logico attendersi qualcosa di meglio. Anche solo per capire davvero l'uomo e il contesto in cui matura piano piano la sua opera che, come sappiamo, fu tardiva. 

Ed invece nulla. Il politicamente corretto regna sovrano per novanta pagine fra banalità e sbadigli in una melassa di ricordi edulcorati da talk show televisivo. Insomma, un'occasione persa.