100 ANNI FA, L’ULTIMA RIVOLUZIONE COMUNISTA DELLA STORIA: KRONŠTADT (marzo 1921) [1ª parte]
di Roberto Massari
La Terza rivoluzione russa (Kronštadt)
«1917-1919 Гг. Β здании Морcкого офицерского cобрания помещался и работал первый Совет рабочих, матросских и солдатских депутатов (B zdanii Morskogo ofitserskogo sobranija pomeščalsja i rabotal pervyj Sovet rabočich, matrosskich i soldatskich deputatov) [Anni 1917-1919. Nell’edificio dell’assemblea degli ufficiali della Marina ebbe la sede e lavorò il primo Soviet dei deputati operai, marinai e soldati]»
(epigrafe da me fotografata a Kronštadt nel 2014)
Era un giorno luminoso di primavera e mi aggiravo per le vie di Kronštadt nello stato d’animo del pellegrino che, percorsa la via Francigena, è finalmente arrivato alla tomba in cui s’illude che sia sepolto l’Apostolo Pietro. Ero in pellegrinaggio anch’io e m’illudevo o piuttosto speravo di trovare in quell’estrema insenatura del mar Baltico una scheggia di memoria della grande epopea lì vissuta nel 1921, novantatré anni prima. Sicché, quando giunsi alla palazzina un po’ malridotta in cui si era riunito il più combattivo e il più democratico soviet della storia, dovetti cedere all’emozione. Ma durò poco. Appena lessi l’epigrafe sul muro esterno mi trovai d’un tratto nella situazione opposta rispetto al pellegrino romeo: a lui volevano far credere che nella tomba sacra del cristianesimo la «cosa» c’era; a me invece volevano far credere che in quella tomba un po’ meno sacra del comunismo-leninismo la «cosa» non c’era mai stata.
Sulla lapide di granito, infatti, era inciso che il Soviet si era lì riunito dal 1917 al 1919. Se ne sarebbe dovuto dedurre, quindi, che dopo quella data esso fosse scomparso, volatilizzato nella storia.
Se si cancella in tal modo un biennio decisivo nella vita del Soviet di Kronštadt, tutto diventa più facile: nel 1921 lì non c’era stata alcuna rivolta dei lavoratori da domare, nessun soviet dei deputati operai, marinai e soldati da distruggere, nessuna opposizione alla dittatura bolscevica da decimare, nessun inizio di una nuova terza rivoluzione. Al massimo vi sarà stato un tentativo di putsch della controrivoluzione bianca.
Eppure i muri di quell’edificio avrebbero potuto raccontare tutt’altra storia. E lì a un tratto mi parve quasi di riascoltarla, con il vocìo e il trambusto provenienti dall’interno, da quella prima euforica assemblea in cui a Kronštadt si cominciò a mettere in pratica la democrazia diretta, per realizzare il sogno di una società egualitaria, più giusta e libera. Tutto prese il via nei saloni di quell’edificio che all’epoca avrà certamente avuto ancora una sua aristocratica bellezza: cominciò il primo marzo 1917, il giorno che vide l’elezione del «Comitato di Kronštadt del Movimento nazionale» (poi più semplicemente Comitato del Movimento) a base soprattutto militare; proseguì il giorno dopo con la nascita dell’Assemblea dei delegati dell’esercito e della marina. Al terzo giorno i due organismi si riunirono e per farlo scelsero come sede proprio il palazzo dell’Assemblea navale, ex circolo degli ufficiali di Kronštadt davanti al quale mi ero fermato. Il 5 marzo nasceva il Soviet dei delegati operai, mentre il 6 si istituiva la milizia cittadina e l’assemblea costitutiva del Soviet dava mandato per formare anche il Soviet dei soldati e marinai (con delegati di fanteria, artiglieria, genio, amministrativi e ovviamente marinai).
In pochi giorni le istituzioni della vecchia Russia zarista erano scomparse, mentre i rappresentanti locali del Governo provvisorio venivano a loro volta privati di ogni autorità e destituiti dalle loro cariche, anche se per lo più furono le cariche a scomparire prima dei funzionari. Nella prima settimana di marzo, Kronštadt aveva realizzato in pochi giorni il proprio Febbraio, dando avvio anche lì alla Seconda rivoluzione russa; ma in modo così rapido che il prezzo in vite umane pagato dalla vecchia guardia zarista finì con l’essere tutto sommato modesto, per i tempi che correvano: furono uccisi una cinquantina di ufficiali e una trentina fra poliziotti e spie, nessuna vittima tra i civili.
(dal libro Lenin e l’Antirivoluzione russa, 2018, p. 368)