TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 21 ottobre 2021

Danilo Montaldi partigiano

 

Nato nel 1929 Danilo Montaldi iniziò la sua attività partigiana nel 1943 a soli quattordici anni. Fu una esperienza che lo segnò profondamene per tutta la vita.

Giorgio Amico

Danilo Montaldi partigiano

La situazione, già grave, si fa drammatica con la caduta del fascismo e. dopo l'8 settembre, con l'occupazione tedesca e la nascita dell'effimera Repubblica di Salò. Nel 1943 Danilo distribuisce stampati antifascisti, tra cui alcuni volantini del Partito Comunista, provenienti da amici del padre. L'anno dopo entra a far parte dell'organizzazione comunista Fronte della Gioventù. Ma questo non gli basta. Danilo vuole partecipare alla lotta armata. Una sera dell'inverno '44 disarma un milite della Muti, dopo averlo stordito con uno sfollagente. Il 25 aprile prende parte a fianco del padre all'insurrezione contro tedeschi e fascisti. Partecipa ai combattimenti che hanno luogo presso Porta Venezia dove nuclei delle SAP cremonesi cercano di bloccare fascisti e tedeschi in fuga:

« Proprio in questi giorni nel '45, – scrive il 26 aprile 1967 all'amico Guerreschi – ero anch'io fuori armato e la sera del 25 […] c'è stata una bella sparatoria con i tedeschi a Porta Venezia, o sono tue o sono mie, sennò era inutile andare fuori armati». (D.Montaldi-G. Guerreschi, Lettere 1963-1975, Edizioni Linograf, Cremona, 2000, p. 87)

Fu un vero e proprio combattimento, il giovanissimo Danilo rischiò seriamente di essere ucciso. Egli visse quell'episodio drammatico come una prova di iniziazione alla vita adulta, una sorta di seconda nascita:

« Il congedo. Ci siamo tutti in attesa di congedo. - confessa ancora a Guerreschi il 26 febbraio 1968 in una lettera in cui si tratta del tema della morte – Credo di avertene già parlato., qualcosa di simile a me è successo verso la fine dell'aprile '45, quando mi sono trovato direttamente sotto il fuoco dei tedeschi. Ti tirano addosso e non sai ancora se ci sei ancora o set'hanno già fregato. Dev'essere come in un incidente, che ti dici succede, è già successo, ci sono ancora. Non so, ma c'è un momento preciso. Quando smisero di spararci addosso si arresero, non li toccammo nemmeno, loro stessi buttarono le armi. Noi eravamo fuori dal problema. Da quei giorni non sono più tornato a scuola. Ho però cominciato a vivere la mia vita». (Ivi, p. 142)

La partecipazione all'insurrezione armata è per il giovane Montaldi un vero e proprio rito di passaggio all'età matura e al contempo una iniziazione ad una militanza politica intesa come totale tanto da esaurire in sé stessa ogni aspetto della vita anche il più intimo. « Un momento di capovolgimento del mondo, l'esperienza di un pur momentaneo passaggio di potere – ricorda un amico di gioventù – il cui significato credo sia sempre rimasto per lui un riferimento di fondo: gli ultimi sono diventati i primi ». (Renato A. Rozzi, Danilo giovane, in Gianfranco Fiameni (a cura di), Danilo Montaldi (1929-1975) azione politica e ricerca sociale, Biblioteca Statale di Cremona, Cremona, 2006, p. 79)

Per Danilo l'insurrezione del 25 aprile è un grande momento di festa, un breve attimo di gioia armata, carica di speranze che si riveleranno presto infondate, come riconoscerà dieci anni più tardi in un abbozzo di diario:

«Forse ho creduto un po' troppo dieci anni fa alla gioia di quei giorni di festa. Ero preso dall'orrore della guerra, e la sua fine per me fu dovuta a quella insurrezione di uomini in armi che uscivano da finestre e porte rovesciate, calpestando le soglie disegnate dai bambini». (D. Montaldi, Diario, luglio 1955. Ora in G. Fofi e M. Salvati, Lasciare un segno nella vita, Roma, Viella, 2021, p. 23)

E ancora:

«Agli angoli delle strade, si tessevano i fili rossi della rivolta. […] Eravamo arrivati a quei giorni con poche cose dentro, col pensiero rivolto ad alcune altre importanti,che un senso ce l'hanno e si chiamano col nome di alcune città, di pochi uomini. Col pensiero rivolto alla Spagna, sapendo che c'erano stati i consigli in Russia e in Europa, che bisognava farli ancora, e presto, contro i padroni. Queste le cose che sapevamo. È cominciato lì, ma allora non era silenzio.Chi ha vissuto con qualche intensità l'anno millenovecento quarantacinque, sa che per tanti esso fu un “modo” di distruggere anche la solitudine. Allora la conoscenza (degli uomini, del mondo) era così limitata. Tutto soltanto sussurrato, tutto ancora segreto. Solo una cosa era grande: il desiderio di espandere in un gesto solo, con la nostra vita, tutto ciò che rappresentavamo nel mondo». (D. Montaldi, Dieci anni della vita, quaderno autografo, indicativamente del 1954-55, in Archivio privato Montaldi. Ora in G. Fofi e M. Salvati, Lasciare un segno nella vita, cit., p. 24)

(Da: Danilo Montaldi. Storia di un militante politico di base – In preparazione)