TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 10 febbraio 2022

Gli smemorati di sinistra e il Giorno del ricordo


Gli smemorati di sinistra e il Giorno del ricordo

Ogni anno in occasione del Giorno del ricordo c'è chi a sinistra rifiuta ostinatamente di accettare la tragedia delle foibe, minimizzandola o cercando in qualche modo di giustificarla elencando puntigliosamente i crimini commessi dal fascismo contro croati e sloveni, come se questo rendesse meno gravi i crimini altrettanto feroci commessi dai comunisti stalinisti di Tito.

Andrebbe ricordato a questi smemorati di sinistra come al momento della rottura di Tito con Stalin, l'Unità e Rinascita denunciassero con articoli infuocati la persecuzione “fascista” subita dagli italiani per mano delle autorità jugoslave, definendo ciò che accadeva in quei territori come “pogrom contro gli italiani che nulla hanno da invidiare a quelli organizzati dai nazisti contro gli ebrei” e che hanno lo scopo di “far evacuare il maggior numero possibile degli abitanti”.

Il fatto è che, rompendo con Stalin, Tito era diventato automaticamente un fascista e dunque le foibe diventavano per un PCI ancora iperstalinista un argomento forte da utilizzare in funzione anti jugoslava. Una volta tanto Unità e Rinascita potevano dire la verità su quello che accadeva nei paesi dove il comunismo staliniano – e la Jugoslavia nonostante la rottura con l'URSS quello restava- era andato al potere.

Eppure ancora oggi, a trent'anni di distanza dal crollo dell'URSS e dalla fine ingloriosa di quella storia tragica, c'è ancora chi, con ostinazione degna di miglior causa, si ostina a negare anche l'evidenza e questo nonostante fonti, non certo tacciabili di nostalgie fasciste, come l'Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, in una pubblicazione dedicata alle scuole proprio in occasione del Giorno del ricordo ricostruiscano chiaramente ciò che accadde:

“Si trattava chiaramente di violenza di stato, programmata dai vertici del potere politico jugoslavo fin dall’autunno del 1944, organizzata e gestita da organi dello stato (in particolare dall’Ozna, la polizia politica). Sta in questo la sua differenza sostanziale con l’ondata di violenza politica del dopoguerra nell’Italia settentrionale. Quest’ultima infatti può venir interpretata come resa dei conti di una guerra civile iniziata negli anni ’20 ed anche come tentativo di alcuni segmenti del partigianato comunista di influire sui termini della lotta politica in Italia, ma non era inserita in alcun disegno strategico di natura rivoluzionaria, perché il PCI in Italia non doveva fare la rivoluzione. Viceversa, nella Venezia Giulia come nel resto della Jugoslavia, quella violenza era strumento fondamentale per il successo della rivoluzione ed il consolidamento del nuovo regime. Nei territori adriatici quindi lo stragismo aveva finalità punitive nei confronti di chi era accusato di crimini contro i popoli sloveno e croato (quadri fascisti, uomini degli apparati di sicurezza e delle istituzioni italiane, ex squadristi, collaboratori dei tedeschi); aveva finalità epurative dei soggetti ritenuti pericolosi, come ad esempio gli antifascisti italiani contrari all’annessione alla Jugoslavia (membri dei CLN, combattenti delle formazioni partigiane italiane che rifiutavano di porsi agli ordini dei comandi sloveni, autonomisti fiumani); ed aveva finalità intimidatorie nei confronti della popolazione locale, per dissuaderla dall’opporsi al nuovo ordine [sottolineatura nostra]”. (ISREC Friuli Venezia Giulia, Vademecum per il Giorno del ricordo)

Nelle foibe finirono dunque non solo criminali di guerra o fascisti, ma anche chi a qualunque titolo si opponesse al “nuovo ordine” staliniano: antifascisti, partigiani e comunisti dissidenti (trotskisti e bordighisti) compresi. Ma evidentemente nel caso delle foibe l'ideologia rende ciechi. E questo ci colpisce se viene da chi indica costantemente nella Memoria l'antidoto principale contro gli orrori del passato.

Avete ragione, cari “compagni”, ricordare è un dovere  morale prima ancora che politico, ma è altrettanto doveroso ricordare tutto. Altrimenti non si fa Memoria, ma propaganda e disinformazione.

G.A.