TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 16 gennaio 2011

Guido Seborga: Abbiamo cominciato, poi si vedrà



Qualche anno dopo "Gli innocenti", il romanzo della Savona operaia, Guido Seborga scrive "Ergastolo", una storia ambientata nel porto di Genova in cui descrive la condizione dei lavoratori negli anni del boom economico. Ancora la storia di una lotta, il racconto drammatico di una battaglia per il lavoro e per la difesa della propria dignità di uomini liberi. Una storia bellissima di cui proponiamo qualche pagina. Un romanzo attualissimo, come ci ha scritto Laura Hess Seborga, che ancora una volta ringraziamo per l'attenzione con cui segue Vento largo.

I fatti di questi giorni alla FIAT e la foto del vecchio operaio sui giornali mi hanno fatto pensare che non tutto è cambiato dal mondo raccontato da mio padre in “Ergastolo”.

Laura Hess Seborga



Guido Seborga

Abbiamo cominciato, poi si vedrà



In una curva spezzata Genova appare con le sue case alte e grigie. Un sole invernale illumina le colline. Il fumo delle fabbriche e del porto blocca il sole nel cielo e in alto mare; non permette ai raggi di penetrare nel porto, le vecchie case dell'angiporto di sottoripa sono nere. In porto l'acqua è dominata dai ponti dalle banchine dalle calate; le navi stanno nell'acqua pigre e stanche; le grues svettano al cielo, in questa grande sacca nera dall'acqua stagnante melmosa, non c'è riposo. Silos, vagoni, carrel­li, rotaie, opifici, bar, cassoni, sacchi, balle, ceste; ed in mare chiatte, rimorchiatori, vapori, navi, petroliere; e tanti tanti uomini in lavoro.

I cancelli, i varchi che si aprono nascostamente nelle mura per i contrabbandieri, per uscire e entrare clande­stinamente, per mille diversi motivi. Ogni sezione del porto con la sua specialità. Industriale per le riparazioni alle navi, più a levante ancora il mercato del pesce, più a ponente la darsena, la stazione marittima per i grandi viaggi romantici o d'affari, vicino alla Lanterna il carbone, poi la legna, e le cisterne per i carburanti e o1ii, e il materiale grezzo, il ferro d'ogni genere e forma per la Sinigalia.

Porto e fabbriche, altiforni e laminatoi, metalmeccaniche. E i casoni alti e grossi di Genova, sporchi, sono luoghi tristi, dove gli uomini si rifugiano dopo tanto lavoro. Genova tenace che lavora duramente, che spende poco, ricchezze dentro palazzi antichi e i nuovi grattacieli, e traffico immenso nelle poche strade mai larghe.. (...)

Un uomo anziano che conosceva tanta vita passata: «Tirano il colpo di farci ritornare al tempo dello "scrollino".»«Sta a noi di non permetterlo!» - esclamò il console. Questo era un punto sul quale tutti avrebbero dato battaglia.
Il console disse: «Giocano sul fattore psicologico della libertà, leggete certi giornali, cosa dicono? È tanto semplice! È assurdo - dicono - che non si possa scegliere liberamente il lavoratore
Alcuni cadono nel tranello, per fame (…). Occorre che nella propaganda, nei nostri giornali, spieghiamo chiaramente a tutti cos'era l'epoca dello «scrollino», quando il lavoro veniva tirato a sorte con un soldo, quando non c'erano tariffe precise di lavoro e orario stabilito.»
«Ormai molti sanno.»
«Sì, ma non tutti sanno: dobbiamo insistere con convinzione.»
Giovanni affermò: «E soprattutto su questo punto che i lavoratori vanno mobilitati, (...)siamo-noi dalla parte del giusto, la Costituzione ci dà ragione, così possiamo batterci bene.»
Un sindacalista che dirigeva un giornaletto del porto, redatto dai portuali, disse: «Ci accusano di essere noi con i costi a far salire i prezzi del porto, imbarchi, sbarchi, noli... Questo è falso. Scriveremo articoli contro questa fandonia.».. (...)

Alcuni se ne andavano via per riprendere i turni dei lavori, o essere presenti alle chiamate…..«Fatemi parlare ancora», disse il console, e continuò: «Anche gli occasionali devono veder rispettati i loro diritti. Il punto è questo: stabilire una assemblea permanente consultiva. Molti dissero: "Questa è la proposta valida, questo è quanto deve esser fatto, tutti siamo d'accordo su questo punto.» Era un coro concorde a più voci (...) Giovanni disse: «Non siamo più ai tempi del fascismo!» (...)


Ululavano le sirene per l'inizio dello sciopero. (…) Era una secolare battaglia che in quei giorni si riaccendeva, terribile e triste. Non si poteva far ritornare in vita il mondo vecchio e sepolto della libera scelta. II nome è suggestivo, può far lacrimare i nostri buoni nonni liberali, inebriati a parole di un astratto concetto della libertà (...). Ma sono forse proprio questi uomini di carne e sangue che vogliono spezzare il loro secolare ergastolo. E così gli uomini -si devono di nuovo difendere; difendere la vita e la produzione, integrare il mondo del lavoro nella tecnica attuale; impadronirsi a poco a poco della scienza. Mentre da certi palazzi vetusti, alcuni bellissimi, gli equivoci monopoli in essi installati chiedono senza nessun discernimento politico e morale la libera scelta e vorrebbero farci precipitare indietro nella storia dei tempi. Ciò è anche nella vita moderna economicamente antiproducente. (…)

I portuali con dei gruppi di operai della metalmeccanica disoccupati e che cercavano lavoro nel porto da occasionali, s'erano asserragliati in una casetta del porto sul mare, una casetta della Compagnia, ma sciopera anche la grande fabbrica per il ferro e l'acciaio. Scaricatori sono fermi di fronte a sacchi e carrelli manovrati a mano o a forza; dalle tanche appaiono uomini alti con i volti rugosi un poco mummificati dalla sabbia, essi per pulire le navi gettano sabbia, e questa ritorna sui loro corpi, gli occhi sono rossi e infiammati anche se lavorano con maschere, colati per ore e ore nel bacino umido, le loro membra sono ritorte dall'artrosi, qui l'acqua è molle.

Uomini si raggruppavano di fronte alla casetta della Compagnia, altri erano già dentro presi da discussioni lunghe e mai finite... (...). Quella loro casetta se l'erano conquistata il 25 Aprile, quando nel porto c'erano i nazifascisti, e avevano difeso sempre il porto rendendo difficile la vita agli invasori; attaccarono con coraggio i reparti occupanti, e diedero nuovamente vita alle loro organizzazioni sindacali, democraticamente ammesse dalla Legge.

Essi si sentivano uomini che agivano in conformità della legge. Non erano più le rivolte chiamiamole romantiche del secolo passato certi diritti erano ormai ben precisati dalla Costituzione, ed erano costati tanto sangue italiano. Sarebbe retorica questa, brutti ceffi della viltà umana ben pagata? Gli operai non pensavano che, fosse retorica o demagogia, come alcuni usano dire; ma realtà vivente che prende gli uomini di oggi. I monopoli,…. volevano infrangere i diritti già sanzionati dalla costituzione italiana. Volevano diminuire i salari perché dicevano che troppo incidevano sugli alti costi, mentre si sa che il salario alto è una buona legge dell'economia moderna; volevano la libera scelta per potere stabilire in modo arbitrario il prezzo del lavoro e la paga; volevano abolire la libertà di riunione e di sciopero; volevano quella casetta dove i lavoratori si riunivano e che avevano conquistato con le armi della liberazione, per impedire anche ogni riunione, ogni ritrovo di discussione e di ricerca sociale… (…)

Il sole rosa del mattino si stava sperlando tra gli alti mucchi del carbone e le nuvole della polvere nera, quando avvenne il primo arresto del lavoro.
Il Console in agitazione diceva ai lavoratori: «Dobbiamo essere prudenti, e non dimentichiamo che la legge è dalla nostra parte!»
I più anziani lo guardavano stupiti, non credevano neppure che esistesse una legge, per loro del resto non era mai esistita, alcuni giovani forse afferravano meglio la situazione. (Essi meglio capivano i nuovi tempi, che poi nella sostanza tanto rassomigliavano al passato, un passato che molti pensavano defunto, ma che poi molto spesso rinasceva, anche per la mancanza d'intelligenza e di fantasia di un capitale, che troppo spesso sapeva essere solo prepotente e drastico. La vita scorreva già in altro modo nel cuore e nel sangue della maggioranza degli uomini. Così nasceva una contraddizione grave, un conflitto stringente (...)

Le ore erano lunghe da far passare, e sembrava che più nulla accadesse o dovesse accadere, agenti e scioperanti si guardavano alla distanza, mentre una delegazione sindacale regolarmente eletta, era a Palazzo Tursi per discutere con il governo.
Forse si attendevano i risultati di questa discussione. Sulla libera scelta non si poteva cedere: la discussione sarebbe stata dura estrema; l'oltraggio subito con quella pretesa legge era stato troppo infamante, l'umiliazione bruciava la pelle di tutti, i ricordi riaffioravano per renderla ancora meno accettabile. (...)

Palazzo Tursi e Roma tacevano complici. (...)

Il tempo passava lento ed ogni istante aumentava di significato, una corrosione artificiosamente creata da certi uomini cercava di distruggere la vita. Ognuno lo sapeva. Ognuno aveva il cuore in ansia e intimorito; più lontano oltre i cancelli le mogli, i figli. Ma i lavoratori erano decisi a non cedere, sapevano di avere assolutamente ragione, questo era il segreto della loro forza.
Si attendevano notizie da Palazzo Tursi dove si continuava a trattare.
Poi si seppe che nulla era stato concluso, lo sciopero doveva continuare, forse estendersi ad altre compagnie, ad altre fabbriche.
La giornata non era troppo fredda e non spirava la tramontana. Ma il cielo era coperto, grigio e basso, e si concentrava nell'aria una grande quantità di fumo e di polvere, così l'esasperante attesa diventava ancora più triste. Il tempo non riusciva ad infrangersi, pareva d'essere chiusi in un sacco, e come le risoluzioni non giungevano, si passò ad una certa abulia angosciata, che opprimeva. Un grande quotidiano settentrionale, un giornale bor­ghese, scriveva che il porto doveva essere tutto riorga­nizzato, che non era un fatto genovese, ma nazionale, che non era più all'altezza degli altri porti europei, e che la causa dei costi alti non erano i salari. E si richiedevano migliori collegamenti col Piemonte e la Lombardia in modo particolare. Non erano mai arrivati tanti rottami di ferro per le acciaierie, mai tanti tronchi di mogano o di teck per i mobili razionali italiani delle nuove costruzio­ni; non erano mai partiti tenti tessuti, tante automobili, tanto vino. Ogni giorno entravano nel porto non meno di cinquanta navi, e una ventina stavano aspettando per giorni di poter attraccare. Nuove banchine, nuove ferro­vie, nuove strade.Verso sera nacque un'umidità spessa e avvolgente, e gli uomini si sentirono invadere da fremiti di freddo, poi cominciò a cadere una pioggerellina fitta e penetrante, coperte e impermeabili apparirono numerosi, gli agenti erano stufi e stanchi, i lavoratori cercarono di asserra­gliarsi tutti nella sede, ma il posto mancava, molti anda­rono a casa a dormire, si aveva la sensazione che almeno per il momento non sarebbe accaduto nulla, e le volontà si allentavano un poco. 'I dirigenti impartivano disposizioni per la notte, una notte di catrame e di acqua molle e puzza di marcio. I bar dell'angiporto erano pieni di marittimi e di operai, molti incappucciati negli impermeabili lucidi e neri venivano a curiosare e s'informavano di cosa stava accadendo, a palazzo, Tursi la discussione notturna continuava, chi era andato a dormire a casa si sentiva un po' in colpa, e dopo poche ore tornava, tutti sarebbero ritornati al mattino, anche i più stanchi o semplicemente i più pigri.

«Abbiamo cominciato, poi si vedrà...» Questa frase correva sulla bocca di molti


(Da Guido Seborga “Ergastolo” Ceschina 1963, Spoon River 2009)


Guido Seborga
Morte d'Europa/Ergastolo
Spoon River, 2009
15 euro