TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 5 giugno 2012

Due romanzi di Guido Seborga




Dedicato a Laura Hess Seborga che oggi compie gli anni.

Francesco Improta

Due romanzi di Guido Seborga: Morte d'Europa e Ergastolo


Con la pubblicazione in un solo volume di Morte d’Europa ed Ergastolo, la casa editrice Spoon River, prosegue, grazie all’affetto e alla devozione della figlia Laura Hess e alla sensibilità culturale di Massimo Novelli, la riscoperta della figura e dell’opera di Guido Seborga, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita*[l'articolo è del 2009].

Torinese di origine, ma bordigotto di adozione, Guido Seborga, pseudonimo di Guido Hess, fu poeta, pittore, giornalista e polemista e riscosse nell’immediato dopoguerra, in seguito alla pubblicazione di L’uomo di Camporosso, un buon successo di pubblico oltre a riconoscimenti convinti da parte della critica, ma per il suo carattere ribelle, indomito e anarchico e ancor più per il conformismo culturale dominante è stato relegato ai margini della nostra storia letteraria, finendo nel dimenticatoio. Necessaria e meritoria, quindi, l’opera di Laura Hess e di Massimo Novelli che per l’occasione hanno pubblicato un volume Guido Seborga, scritti, immagini, lettere, teso a dare visibilità e a valorizzare un artista così complesso. Si tratta di una raccolta ragionata di lettere, testimonianze e immagini che ci consente di ripercorrere alcune fra le tappe più significative dell’itinerario umano, culturale e artistico di Guido Seborga, nonché le sue amicizie e le sue frequentazioni, gettando, inoltre, fasci di vivida luce su un periodo storico ricco di fermenti, di speranze e di eventi. 

Torniamo, però, ai due romanzi, pubblicati rispettivamente nel 1959 e nel 1963, dopo un decennio di vita sregolata, trascorsa nelle taverne a bere e a misurarsi a braccio di ferro con “camalli” e marinai oppure sul mare in compagnia di pescatori o dinanzi ai cancelli delle fabbriche insieme ai metalmeccanici, amareggiato probabilmente dall’indifferenza se non dall’ostilità con cui era stato accolto Il figlio di Caino, il suo romanzo forse più originale, per la capacità di trasformare una vicenda drammatica e sofferta come la Resistenza in una ballata popolare di grande respiro. In entrambi i romanzi ritroviamo le tematiche a lui più care e congeniali: le ingiustizie sociali, le discriminazioni di classe, i conflitti generazionali, l’immigrazione, il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, il fascino ambiguo e perverso del denaro, la donna che rappresenta un richiamo fortissimo per i sensi, ma anche un’occasione di stabilità e di fermezza in un mondo sempre più incerto e precario, in cui sono naufragati miseramente i valori di un tempo. 

Il primo romanzo, Morte d’Europa, si svolge tra Bordighera e Nizza, in piena estate, in un’atmosfera trasognata e ha come protagonisti due giovani innamorati appartenenti a classi sociali diverse e, in parallelo, una giovane ragazza calabrese, che svolge mansioni di domestica e che finisce in carcere con l’accusa di aver trafugato dei gioielli; il secondo, Ergastolo, più complesso e articolato e, a mio avviso, decisamente più maturo, pur ruotando intorno a diversi personaggi, operai, disoccupati, contrabbandieri, pescatori e malavitosi, tutti sufficientemente caratterizzati, ha come protagonista indiscusso il porto di Genova, che in quegli anni costituiva una speranza di occupazione o di lavoro in nero, ma avvelenava il cielo e la città con il fumo delle sue ciminiere, il calore degli altiforni e lo stridio delle macchine. La descrizione, nelle pagine conclusive, delle agitazioni dei portuali e dei metalmeccanici è straordinariamente mossa e drammatica e giustifica da sola la definizione di realismo libero e tragico che è stata data alla sua produzione narrativa. Egli stesso in un’intervista ha confessato di considerare suoi maestri P. Eluard, C. Alvaro e G. Verga di cui si rilevano reminiscenze e citazioni (vita da ostriche). Io, però, vorrei avvicinarlo a due maestri della nostra cinematografia del dopoguerra a R. Matarazzo, per quella vena patetica e melodrammatica presente soprattutto in Morte d’Europa e a P. Germi, per il respiro corale e il registro forte e vigoroso che si rintraccia in Ergastolo

In entrambi i romanzi si avverte, soprattutto nei giovani, una forte tensione, legata in parte allo sfaldamento di vecchi ideali e principi morali, e in parte alla volontà di andare avanti, di rompere con un passato di miseria e privazioni, che è stato il mondo dei loro genitori e che loro, nella stragrande maggioranza, non possono e non vogliono più accettare. Pur avendo privilegiato l’uomo e i suoi problemi rispetto alla forma e allo stile, pur essendo, cioè, più attento ad analizzare i fatti che a vagheggiar parole, la sua scrittura, talvolta ruvida, scabra e altre volte ricercata e musicale, ha un fascino indiscutibile e riesce a catturare l’attenzione del lettore, avvolgendolo nelle sue spire.

(Da: http://www.bartolomeodimonaco.it/)