TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 20 giugno 2012

Ha ancora senso scrivere?




Il testo che segue uscirà come introduzione ad una raccolta di poesie e racconti di prossima pubblicazione.

Giorgio Amico

Ha ancora senso scrivere?

Introdurre una raccolta di poesie e testi come questa, risultato della partecipazione ad un premio letterario, non è facile. Una domanda nasce spontanea già da una prima scorsa delle pagine qui raccolte, complessivamente di buon livello, alcune di notevole qualità. Che cosa significa scrivere? Perchè si scrive?

Vecchia, eterna domanda a cui ogni epoca e ogni cultura ha cercato di rispondere. Ma così la domanda è malposta, forse, tutto sommato, sarebbe meglio chiedersi "per chi"si scrive. Così formulata, la questione ci pare più semplice. Nipotini di Freud e di Jung, la risposta sgorga spontanea e limpida come acqua di fonte: si scrive innanzitutto per se stessi. Per dare senso, ordine e significato alle proprie esperienze, al proprio vissuto, al proprio mondo interiore.

Ma a complicare tutto giunge la considerazione che da parte di chi scrive tale significato si vuole poi condividere con gli altri, far diventare patrimonio collettivo. Elemento in sé positivo che fa sì che scrivere sia anche atto pubblico e dunque già solo per questo politico. Scrivere è testimoniare, ma su questo ritorneremo. Ciò che ci importa ora è vederne le conseguenze. Perchè questa legittima aspirazione determina, è ovvio, la spinta a pubblicare. E a questo punto le cose si complicano, perchè entrano in gioco le leggi del mercato e del profitto. Perchè pubblicare significa quasi sempre sottostare a regole non scritte, ma non per questo meno costrittive. E il mercato editoriale italiano non fa eccezione, soprattutto in momenti di crisi accentuata come l'attuale con il tracollo delle piccole librerie e della piccola editoria militante e indipendente ad aggravare la situazione.

Sappiamo di andare controcorrente e che la nostra affermazione potrà suonare strana a molti, ma riteniamo fermamente che pubblicare non sia una conseguenza naturale dello scrivere, ma solo un suo possibile, ma non necessario, sviluppo. Per noi l'atto creativo vale in sè e in sè si esaurisce. Di questo siamo certi. Scrivere è prima di tutto intraprendere un viaggio alla ricerca di sè. Impresa certo non facile e comunque pericolosa, perchè (ed è la lezione grande del surrealismo) chi vi si accinge entra in un campo di forze che non è possibile controllare, alle quali ci si deve comunque abbandonare se si vuole essere davvero creativi. Perchè qualunque sia la storia narrata o il pretesto del verso è sempre di altro che si scrive, è sempre ad un altrove che si rimanda.

Ma tutto quanto finora detto non esauirisce il tema. Perchè scrivere è anche un lavoro, o meglio un'arte, che ha le sue regole e i suoi segreti. Un'arte che comporta un non facile apprendistato. E dunque scrivere è faticoso e riempire una pagina stanca. Lo ricordava Beppe Fenoglio in una lettera a Italo Calvino, polemizzando con chi a proposito dei suoi racconti parlava di felice e spontaneo realismo:

"Scrivo per un'infinità di motivi. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti."

Ma poichè non si vive isolati come monadi leibniziane, scrivere è infine testimoniare di un'epoca e di un mondo che non è, ma potrebbe essere. Qui narrare diventa costruzione inesausta del mito e si salda con quanto già detto in apertura. Perchè il mito, c'è l'ha insegnato Eliade, non è il contrario della realtà, ma prima di tutto un racconto la cui funzione è rivelare in che modo qualcosa è avvenuto, non più a livello individuale, ma collettivo. E allora scrivere significa comporre una narrazione capace di contenere un universo di significati assai utile per comprendere il mondo, grande e terribile, avrebbe detto Antonio Gramsci, in cui viviamo.

E l'uomo moderno, che troppo spesso è visto come collocato nella dimensione unica della tecnologia, ama come i suoi predecessori, almeno dalla rivoluzione del neolitico in avanti, sentire raccontare delle storie e raccontarne, perchè questo è ancora il modo più efficace per sentirsi parte di un mondo articolato e significante. E in questo nulla è cambiato dai tempi di Omero.