TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 6 giugno 2012

Mauro Faroldi, Atene non è Sarajevo




Com'è la vita di ogni giorno nella Atene travolta dalla crisi? Ce lo racconta questa corrispondenza di Mauro Faroldi, giornalista e traduttore, che nella capitale greca vive e lavora,


Mauro Faroldi

Atene non è Sarajevo

In un'estate che ha stentato a venire Atene sta vivendo i suoi più difficili momenti dalla caduta della dittatura. A breve ci saranno le elezioni, le ultime, tenute meno di un mese fa, non hanno sbloccato l'impasse in cui è caduta la politica greca. Le prossime elezioni, indipendentemente dal loro esito, non risolveranno una situazione che promette incertezza e un oscuro avvenire.

La vita quotidiana si trascina sempre più faticosamente, siamo al quarto anno di crisi e la Grecia è stata ricacciata repentinamente e brutalmente di un quarto di secolo indietro, circola l'euro ma siamo tornati alla metà degli anni '80.

Athanasía abita nel mio quartiere, nella mia stessa via, è insegnate universitaria, lavora al TEFAA, l'Istituto Superiore di Educazione Fisica, è una "privilegiata" non ha perso il lavoro, e lavorando per lo stato, per ora non lo perderà. Ma il suo stipendio è stato massacrato, ora guadagna quanto un bidello in Italia. Prezzi europei, salari balcanici, così hanno ridotto la Grecia. Nel condominio dove abita molti hanno perso il lavoro, quest'inverno non hanno nemmeno acceso il riscaldamento centrale, molti inquilini non erano in grado di pagare, già si parla di bloccare anche l'ascensore, le fatture non pagate dell'energia elettrica condominiale si accumulano una sull'altra.

Renata è polacca, è qui da vent'anni, è arrivata con la prima ondata di immigrazione. Ha vissuto facendo manicure a domicilio, e quando non bastava non si è tirata indietro è andata a fare pulizie nelle case. Anche il suo uomo è polacco, qui ha lavorato come edile, montava strutture di cartongesso, da due anni è disoccupato, ha cinquant'anni e se rimane ad Atene il suo destino sarà la disoccupazione a vita. Hanno deciso di tornare in Polonia, laggiù almeno hanno una casa di proprietà dove vive la suocera di Renata. Ma non è una scelta facile, debbono abbandonare tutto, debbono abbandonare una vita che si erano costruiti giorno per giorno.

Chrístos lavorava per Eleftherotypía, uno dei principali quotidiani del paese. Il giornale ha cessato le pubblicazioni intorno a Natale, i suoi dipendenti, alcune centinaia, che già non erano pagati dall'inizio dell'estate, sono in mezzo alla strada. Chrístos ha dovuto lasciare la casa di Atene dove era in affitto e si è trasferito nella sua casa fuori Atene, una casa che, facendo sacrifici, aveva comprato negli ormai lontani tempi delle "vacche grasse", quando il costo delle abitazioni era ragionevole. Ora sopravvive con qualche lavoretto facendo il giornalista freelance, inoltre ha scritto un libro "I nuovi poveri". Chrístos, nel libro, partendo dalla propria esperienza di vita, racconta delle condizioni in cui sono caduti, a causa della crisi, centinaia di migliaia di membri della classe media. Il libro ha avuto un certo successo, ma un libro venduto in poche migliaia di copie non può far vivere nessun autore. Chrístos è stato invitato a partecipare, in televisione, ad alcuni dibattiti sulla crisi, esempio vivente di come la crisi abbia cambiato la vita dei greci.

Come tutte le mattine, molto presto, esco di casa e vado a fare una passeggiata al Pedíon tou Áreos li grande parco che non è molto distante dal Museo archeologico nazionale. Nel parco, all'ombra degli alberi, ogni mattina i pensionati si riuniscono per fare delle interminabili partite a távli, il backgammon greco, mi fermo a salutare Spíros, ottant'anni portati benissimo, conosce benissimo il francese e per questo ha passato la vita lavorando nelle reception di molti, anonimi alberghi ateniesi. Gli hanno tagliato la pensione e gioca a távli senza gustare, come faceva fino a poco tempo fa, il suo caffè ellinikò, non può più permettersi 30 o 40 euro il mese di caffè. Non molto lontano su di una panchina, poco lontano da immigrati che dormono nel parco perché non hanno un tetto, due pensionati discutono animatamente, mentre mi allontano sento dire da uno di questi, "Non c'è niente da fare, noi greci non siamo e non potremo mai diventare europei...". È la Grecia che ha gettato le basi della civiltà europea occidentale, ma i greci verso gli "occidentali" vivono un sentimento che è un misto fra il complesso d'inferiorità, il rancore e l'orgogliosa consapevolezza di essere gli eredi di un glorioso passato.

Tornando a casa mi fermo al bancomat, vicino all'ingresso di una banca, una donna greca ancora giovane, con i vestiti poveri ma decorosi, chiede degli spiccioli. Ma chiede i denari vergognandosi, cercando di non farsi notare. Si capisce subito che non è una mendicante, probabilmente il marito ha perso il lavoro e sono costretti a chiedere soldi così, per strada.

Continuo a camminare, la città è più sporca del solito, per terra quantità di volantini di propaganda elettorale si alternano a volantini di negozi che comprano oro pagandolo in contante. Atene è una città ferita, ma non è Sarajevo, nonostante che la sua inetta, corrotta classe politica e un pugno di banchieri di casa a Francoforte stiano tentando, in tutti i modi, di ricacciarla nei Balcani.