Nel mondo contadino
almeno fino agli anni Sessanta le grandi feste (Natale e Pasqua)
erano l'occasione per riunire la famiglia (figli, nuore, nipoti)
attorno ai “vecchi” in grandi tavolate che almeno in quelle
occasioni rompevano la povertà e la monotonia della cucina di ogni
giorno. In quelle ricorrenze non si doveva risparmiare e la festa
continuava nei giorni successivi nell'accorto e fantasioso riutilizzo
degli avanzi.
E dunque Buona Pasqua
a tutte le amiche e gli amici di Vento largo con le antiche ricette
di Langa di Guido Araldo.
Guido Araldo
Antiche ricette
dell’Alta Terra Langasca*
Mnesctra cur pònce
d’urtye = minestra con le punte d’ortica
Far bollire per circa
mezz’ora patate, cipolla e carote tagliate in piccoli pezzi, con
l’aggiunta di punte di ortiche (circa 250 grammi); quindi frollare.
La minestra andrebbe
servita su crostini di pane, con l’aggiunta di prezzemolo e
borraggine tritati; impreziosita con buon olio. L’eventuale
inserimento del parmigiano grattugiato è facoltativo.
‘a pucciâ…
Un piatto unico e antico.
In passato l’avanzo,
tagliato a fette il giorno dopo, veniva fatto soffriggere sulla
stufa.
Mettere in ammollo
nell’acqua salata per almeno 12 ore ‘r fasciuréle (i fagioli
bianchi), circa mezzo chilo; quindi far soffriggere del lardo in una
capiente padella con l’aggiunta di patate in cubetti e una cipolla
tagliuzzata.
Irrorare il tutto
abbondantemente con del buon brodo, aggiungere i fagioli e cuocere
per circa un’ora. Proseguire la bollitura per altri 40 minuti, dopo
aver fatto cade a pioggia ‘na branchâ (una manciata) di farina
ecologica.
Mescolare accuratamente
con ‘n cucjär 'd bosch (un cucchiaio di legno), allo scopo di
evitare la formazione di grumi. 5 minuti prima che termini la
cottura, aggiungere le foglie di cavolo spezzettate…
‘r vité tunâ = il
vitello tonnato
Mettere a marinare il
girello di vitello in un litro di vino possibilmente bianco, ottimo
il Pigato, con due cucchiai d’aceto, ‘n pugn (un pugno) di bacche
‘d zneivr = di ginepro, foglie di alloro, chiodi di garofano, mezza
costa di sedano affettato e pepe nero macinato, con l’accortezza di
girare di tanto in tanto la carne, allo scopo di farla marinare per
benino.
Il giorno dopo versare il
girello con la marinatura in una casseruola, ricoprendo il tutto con
abbondante acqua, salare e far cuocere lentamente.
Lavare a parte con
l’aceto tre acciughe sotto sale, sminuzzarle e aggiungerle nella
casseruola.
Il tempo della cottura
deve corrispondere a circa un’ora.
Togliere quindi il
girello, lasciarlo raffreddare, tagliarlo in fette sottili e porre le
fette su un piatto di portata, avendo cura di non sovrapporle.
Filtrare il fondo di
cottura e passare al setaccio un po’ di tonno sott’olio, 2 o 3
uova sode, ‘na splenziâ (un pizzico) di capperi finemente tritati,
con l’aggiunta di un cucchiaio di aceto di vino, ‘na-poncia (una
punta) di succo di limone, olio di oliva e mischiare il tutto con
cura. Eventualmente allungare questa salsa con ‘na-miseria (un po’)
di brodo. Versare infine la salsa sulle fette di vitello e lasciarlo
insaporire per almeno un’ora, prima di servirlo.
‘a turta verda cur
surcùre = la torta verde con i germogli di papavero
Bollire il riso (circa
400 grammi) in buon brodo per circa un quarto d’ora (se riso
integrale biologico almeno un’ora) e prestare attenzione, poiché
il riso dev’essere scolato ancora “al dente”.
Tritare d‘ra panzëta
(pancetta) oppure d‘er lärd (del lardo), circa 200 grammi, con ‘n
tziùlot e d’er rusmaren (un cipollotto e del rosmarino) e
soffriggerli in una padella capiente, aggiungendo abbondanti läcrime
‘d läcc (lacrime di latte) durante la cottura.
A questo punto tritare
finemente ‘r surcùre (i germogli del papavero) e unirli al
soffritto.
Sbattere 4 uova
ecologiche con pepe macinato e 4 cucchiai di parmigiano grattugiato:
unire al soffritto e “far saltare” il riso nel soffritto.
Raviòre ar plen =
ravioli con il pizzicotto
Anzitutto l’unciüra =
il ripieno!
Cuocere bene dell’ottima
carne (un po’ polpa di manzo e anche carne di maiale, evitare se
possibile la pasta di salsiccia) in un tegame cun höri, bitir e äy
(con olio, burro e aglio): tritare la carne con ‘a capizòira (la
mezzaluna) finemente e porla in una terrina con le verdure di
stagione lessate, tritate e passate nel burro, con l’aggiunta di
almeno 2 uova ecologiche, sale, pepe, pangrattato e noce moscata.
La verdura classica è la
borraggine con scarola e maggiorana. Anche un po’ di spinaci e-fan
pa brüta figüra (non stonano). E’importante che le verdure
sovrastino nettamente il resto degli ingredienti. Occorre amalgamare
bene tutti gli ingredienti, per ottenere una buona unciüra!
Altrettanto importante la
preparazione della pasta!
Farina possibilmente
ecologica (un chilo) con l’aggiunta, al centro, di 6 o 7 tuorli
d’uovo, con mezzo bicchiere di olio e ‘na splenziâ ‘d sâ =
una presa di sale. Lavorare l’impasto per renderlo omogeneo,
eventualmente porlo in frigorifero per almeno mezzora (unica
concessione moderna) allo scopo di lasciarlo riposare avvolto in una
pellicola trasparente. Stendere l’impasto fino a ottenere una
sfoglia sottile, con l’accortezza di non lasciarla asciugare
(meglio se ricoperta con una tovaglia o canovacci).
A questo punto porre
sulla pasta stesa piccole quantità di ripieno, grandi quanto ‘na
baela nizòra (una bella nocciola), in fila, a una distanza di circa
3 cm una dall’altra. Ripiegare la pasta ricoprendo il ripieno e
ritagliare lateralmente le raviòre con la rotella dentata, pigiare
quindi con le dita tra i mucchietti allo scopo di far aderire bene la
pasta e infine pizzicarle (‘r plen) alla sommità di ogni
mucchietto: il tocco d’artista delle nostre massaie.
Lessare le raviòre in
acqua salata e servirle: cur ven = in scodelle con il vino Dolcetto,
oppure condite al ragù o con burro e salvia; eventualmente, a
piacimento, con l’aggiunta di parmigiano grattugiato.
I tajarigni o tajaren
La preparazione della
pasta è identica a quella delle raviòre, che però deve essere
arrotolata ancora morbida; quindi con un coltello affilato tagliare i
tajaren larghi non più di 2 millimetri, da far asciugare sul “tavolo
a libro” infarinati. Se la pasta è tagliata con una larghezza di 4
– 5 cm. allora si hanno ‘r lasägne, da non confondere con le
lasagne “italiane” della pasta al forno, che sono dei “fogli”
di pasta. I tajarigni o ‘r lasägne vanno serviti, dopo breve
bollitura, con ragù e parmigiano oppure con sugo di funghi.
I macherugni = i
maccheroni
Ricetta portata
probabilmente in Val Bormida dai Garibaldini che rincasarono dopo la
“Spedizione dei Mille”: un tempo costituiva il piatto tipico
natalizio, ‘r prim “il primo”, che precedeva ‘r capòn (il
cappone arrosto).
Avvolgere la pasta dei
tajarigni attorno a un ferro da calza n. 3 e tagliare la pasta a una
lunghezza di circa 15 cm; lasciandola asciugare in luogo idoneo.
Bollire i maccheroni e servirli con ragù e parmigiano o sugo di
funghi.
‘r tire
Avvolgere della salsiccia
casereccia con la pasta delle raviòre o dei tajarigni, avendo
l’accortezza di lasciarla piuttosto spessa. Se possibile, usare
della salsiccia “piccola”: grande quanto un mignolo, della
lunghezza di circa 20 cm. Chiudere accuratamente anche le estremità
e introdurre le tire nel forno a legna per circa un quarto d’ora,
finché la pasta non sia ben indorata e anche un po’ abbrustolita.
I turtlòti =
fagottini di ceci
I ceci devono essere
tenuti in ammollo in acqua salata per almeno mezza giornata, quindi
farli cuocere per circa 4 ore; ultimata la cottura scolarli e
lasciarli raffreddare, infine passarli.
Preparare a parte un
soffritto con rosmarino e pepe, quindi aggiungere i ceci passati, un
paio di uova ecologiche e abbondante parmigiano grattugiato.
Farcire i turtlòti
(fagottini) con la stessa pasta dei tajarigni, con l’aggiunta di
abbondanti lacrime di latte, un paio di cucchiai d’olio e del sale.
Porre i turtlòti nel forno preriscaldato a circa 200 gradi, per non
più di 30 minuti, e infine servire.
r’arosct cur nizòre
= l’arrosto con le nocciole
Bardire con lardo della
carne di vitello legata (preferibilmente sottopaletta, tenerone o
fiocco di punta) e farla rosolare nella casseruola con olio, burro,
aglio vestito e rosmarino; salare e pepare.
Proseguire la cottura a
fuoco basso, avendo cura di “penellare” l’arrosto con del brodo
per circa un quarto d’ora.
A questo punto mettere da
parte il fondo di cottura, sgrassarlo e versarlo in una padella su
fuoco molto leggero: aggiungere le tonde nocciole di Langa tritate,
‘na-friscja (una piccola quantità) di farina, ‘na nusc (una
noce) di burro e ‘na-pnelâ (una po’) di Marsala o meglio ancora
del Pigato passito. Mescolare a dovere alzando la fiamma, prima di
versare la salsa sull’arrosto.
Eventualmente passare la
salsa nel frullatore, per ottenere una consistenza cremosa…
‘r grive
Venivano preparate dopo
la macellazione del maiale, solitamente a gennaio o febbraio.
Tritare il fegato del
maiale, con un po’ di carne della coscia; aggiungere 2 uova, sale,
pepe, due cucchiai di pane grattugiato, ‘na-brancâ (una manciata)
di parmigiano grattugiato, noce moscata e soprattutto bacche di
ginepro schiacciate in un mortaio.
Con il trito formare
polpette di 4-5 etti e avvolgerle nell’omento “rete” di maiale,
dopo averlo posto in ammollo nell’acqua, allo scopo di distenderlo.
Porre le polpette in una teglia, condirle con olio o burro a
discrezione; coprire la teglia con il coperchio e lasciare cuocere a
fuoco lento per circa un’ora.
Lapen cui pévrugni =
coniglio con i peperoni
Lavare bene il coniglio,
asciugarlo e tagliarlo a pezzi. Rosolarlo nell’olio con alloro e
rosmarino per circa 10 minuti.
A parte saltare a fuoco
lento le verdure (peperone, cipolla rossa, gambo di sedano, carota…)
tagliate a tocchetti; quindi unirle al coniglio con l’aggiunta di
lardo tritato (circa 30 grammi).
Innaffiare il tutto con
del buon Duzët (vino Dolcetto), alzando il fuoco per farlo
evaporare.
Aggiungere sale e pepe,
lasciando cuocere il coniglio per circa un’ora a fuoco moderato.
‘a turta ‘d nizore
= la torta di nocciola
Far tostare le nocciole
(almeno 3 etti) nel forno caldo e sfregarle tra le mani allo scopo di
eliminare i resti di pellicina, quindi tritarle.
In una terrina amalgamare
una mezza dozzina di tuorli d’uova con 3 etti di zucchero, fino a
ottenere un impasto omogeneo; aggiungere ‘na pejsâ (due cucchiai)
di farina bianca e‘na pejsâ di latte, un etto di burro, una
bustina di lievito; mescolare con cura gli albumi delle uova, montati
“a neve ferma” e infine versare le nocciole tritate
amalgamandole.
Porre il tutto in una
teglia ben imburrata e infornare per circa 40 minuti a temperatura di
180° gradi. N’animëla ‘d bon rhum o cugnàc a-pö ‘n-mâch
feye che ben! (L’aggiunta del buon rhum o del cognac, senza
eccedere, non può fare che bene all’impasto).
Persci cigni = pesche
ripiene
Lavare le pesche,
asciugarle, aprirle e togliergli il nocciolo.
Scavarle leggermente per
favorirne il riempimento.
Preparare l’impasto con
amaretti sbriciolati, un cucchiaio di cacao amaro, un cucchiaio o due
di rhum p cognac, un’armellina (la mandorla della pesca) tritata e
porre il tutto all’interno della pesca, con l’avvertenza che non
sia troppo liquido o consistente.
Adagiare infine su ogni
pesca un fiocchetto di burro. Mettere le pesche in una teglia
imburrata ponendola nel forno per circa 20 minuti, ad una temperatura
di 200° gradi.
* (per quanto riguarda
l’olio, s’intende sempre l’extravergine di olive liguri)