Mentre bande di delinquenti in giacca e cravatta (vedi solo per
citare gli ultimi i casi Carige-Berneschi, Scajola, Expo, Mose) si
spartiscono beni e denari pubblici con l'avvallo di partiti (che
sempre più assomigliano a organizzazioni a delinquere) e
rappresentanti delle Istituzioni (messi lì da quegli stessi partiti
a garantire che gli affari procedano), lo Stato si accanisce a Roma,
a Genova, in Valle Susa contro chi cerca di dare risposte concrete ai
problemi dei giovani e della gente (dalla casa al bisogno di
aggregazione). E allora fioccano gli arresti e le accuse addirittura
di terrorismo. Una volta, quando eravamo giovani ed estremisti, lo
definivamo lo Stato dei padroni. Oggi, ormai vecchi, sempre più
pensiamo che avevamo ragione quando avevamo torto.
«Non ne sapevamo
niente». Il comunicato stampa diffuso ieri mattina
dal Comune di Genova dopo lo sgombero del Laboratorio
sociale Buridda è stato recitato come un mantra
dalla giunta Doria o, quantomeno, dagli assessori
che si sono resi reperibili. Sì perché il
sindaco, in trasferta a Roma per la delicata
vertenza Piaggio, non ha commentato neppure
a distanza la nuova e pesante frattura con la città,
dopo l’affaire De Gennaro. Quella di Doria e, sulla
carta, la giunta più a sinistra che abbia mai
amministrato la città della Lanterna.
Il Laboratorio
sociale Buridda è, o meglio era, uno spazio sociale
attraversato da undici anni da realtà di ogni tipo. Un
luogo da sempre aperto alla città dove fino a ieri
avevano sede laboratori artistici, una
palestra di formazione circense, una di boxe,
una sala di posa, un laboratorio di serigrafia
e di grafica, una sala di teatro, cinema,
presentazioni di libri. Genovesi, e non,
hanno affollato gli spazi di via Bertani per il festival
delle autoproduzioni o per l’appuntamento più
atteso, il Critical Wine.
L’ex sede della
Facoltà di Economia e Commercio di via
Bertani, la cui proprietà era passata al Comune di
Genova poco dopo l’occupazione del 2003, è uno spazio
di circa 6 mila metri quadri in uno dei quartieri
«bene» della città. Commercialmente è molto
appetibile. Un vero «tesoretto» per le casse
sempre vuote di Tursi se fosse riuscito a venderlo.
Anche per questo la giunta dell’ex sindaco Marta
Vincenzi iniziò nel 2010 una trattativa con
i centri sociali genovesi che prevedeva
alcuni spostamenti e «regolarizzazioni».
Per la Buridda era previsto il trasferimento
negli spazi dell’attuale mercato ittico di Piazza Cavour,
una volta che il mercato fosse stato spostato altrove.Con
il cambio di giunta, il percorso si è interrotto.
Il Comune di Genova
sostiene di non avere più i soldi per trasferire il
mercato. L’assessore alla Legalità e ai Diritti
Elena Fiorini ha proposto agli occupanti di
«accontentarsi» dei piccoli locali sopra al
mercato. La proposta è stata rispedita al
mittente. «Trattativa arenata su posizioni
troppo diverse» ha confermato l’assessore. A fine
2012 è arrivato il decreto preventivo di
sequestro dell’immobile firmato da un giudice
ormai in pensione e rimasto per oltre un anno
e mezzo sulla scrivania del Questore. Nel
frattempo, due aste per la vendita dell’edificio sono
andate deserte. «È successo che il Pd ha preso il 41% dei
voti» rispondono i ragazzi del Buridda.
Martedì scorso,
nel comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica
a cui hanno partecipato il sindaco di
Genova Marco Doria e l’assessore Fiorini, la «pratica»
Buridda è riapparsa magicamente sul tavolo. Da
Tursi giurano: «Non sapevamo che avessero
intenzione di sgomberare oggi». Secondo alcune
indiscrezioni, sarebbe stato proprio il sindaco
a dare l’ok allo sgombero. Indiscrezioni
pesanti, che hanno fatto il giro della città scatenando
ironia e indignazione. Il vice sindaco Pd
Stefano Bernini, a sgombero ancora in corso, ha
affermato che per il Buridda «oggi il compratore
c’è». Dichiarazioni che hanno scatenato la
rabbia dei giovani dei centri sociali.
Nel pomeriggio
hanno dato vita a un lungo corteo per le vie del centro
con un mini blitz finale al circolo del Pd del centro
storico: un portone aperto a calci, diverse scritte
e qualche sedia rovesciata. Pochi danni, ma un
messaggio chiaro: l’obiettivo della protesta
resta il sindaco, accusato di aver «tradito» le
istanze sociali di cui sembrava essersi fatto portatore
e di non essere capace di instaurare un vero dialogo
con la città. «Marco Doria come Scajola, neanche lui lo
sapeva» uno degli slogan lanciati dal corteo.
«Questo è uno di quei momenti dove manca la voce e non
solo di Don Gallo – ha commentato Domenico
Chionetti della Comunità di San Benedetto — un
vuoto difficile da colmare , ma è chiaro da
che parte stare».
Il Manifesto – 5 giugno
2014