TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 23 dicembre 2015

Antifascisti savonesi nella Guerra di Spagna



Numerosi furono gli antifascisti savonesi andati a combattere in Spagna in difesa della repubblica. Considerati sovversivi dopo la guerra (e la caduta del fascismo) continuarono per anni ad essere spiati e schedati dagli apparati dello Stato democratico.

Giorgio Amico

Antifascisti savonesi nella Guerra di Spagna.

Quarant'anni fa, il 20 novembre del 1975, moriva dopo 36 anni di dittatura Francisco Franco. Con il crollo del regime falangista, ultima sopravvivenza del fascismo storico, si chiudeva un'epoca buia per la Spagna e l'Europa. Iniziava un processo di transizione che avrebbe riportato la democrazia nel paese iberico. Un percorso non privo di contraddizioni. Secondo José Álvarez Junco, professore di Storia del pensiero e dei movimenti sociali all’Università Complutense di Madrid, la destra, che non aveva un progetto né un leader, «si assicurò che non ci sarebbero state epurazioni nella polizia, tra i militari e nella magistratura; la sinistra, dinanzi a un regime franchista comunque ancora forte e strutturato e al rischio di una nuova guerra civile, ottenne l’amnistia e le elezioni democratiche» (Il Sole 24Ore del 15 novembre 2015).

Un accordo, definito il “Patto dell'oblio” che di fatto rimuoveva dal dibattito politico il passato franchista. Calava un velo su quattro decenni di violazioni dei diritti umani e di crimini efferati, mentre gli esponenti più giovani del regime continuavano tranquillamente la loro carriera nei partiti del centrodestra. Un fenomeno che ricorda molto da vicino la mancata epurazione dell'apparato statale dopo la Liberazione in Italia.

Secondo Almudena Grandes, una scrittrice molto impegnata politicamente conosciuta e apprezzata anche in Italia, la Spagna soffre ancora oggi per l'occasione mancata quaranta anni fa di democratizzare radicalmente il paese. Per lei la crisi di rappresentanza dello Stato spagnolo, evidenziata sia dal successo di Podemos sia dalla crisi catalana, trova le sue ragioni in una transizione alla democrazia che non ha saputo realmente fare i conti con il passato:

“Credo che la crisi che la democrazia spagnola sta vivendo sia legata alla transizione democratica che ha reso la Spagna un Paese fragile: non ci fu una rottura estesa ed efficace con la dittatura, le istituzioni conservano molto di quell’epoca. C’è dunque all’origine un problema sentimentale e morale, e il problema territoriale è la manifestazione di un Paese che non si riconosce nei simboli nazionali spagnoli, perché non si è fatto un progetto rotondo e la transizione è stata ambigua». (Il Sole 24Ore, cit.).

Particolarmente sentito il problema dei caduti repubblicani. Sono infatti centinaia le fosse comuni sparse nel Paese, molte delle quali mai aperte. 150mila cadaveri restano senza un nome, mentre più di 1000 famiglie di caduti riconosciuti non possono recuperarne i corpi. Una ferita aperta a cui la legge della «Memoria histórica», approvata alla fine del dicembre 2007 dal Governo Zapatero, aveva cercato di dare soluzione, ma che il governo di centrodestra di Mariano Rajoy ha sostanzialmente congelato.



Contraddizioni della transizione che emergono anche dalle pagine di un libro appena edito a cura dell'ISREC di Savona e dedicato alla figura di Umberto Marzocchi, esponente di primo piano del movimento anarchico italiano e internazionale, fiorentino per nascita, ma savonese d'adozione, avendo risieduto nella nostra città dal 1921 fino alla morte nel 1986, con l'interruzione forzata dell'esilio (1923-1945) in Francia e appunto nella Spagna repubblicana e rivoluzionaria.

Leggiamo infatti di come Marzocchi, già dirigente dell'ANPI e della Camera del Lavoro, recatosi nel 1977 ad un convegno anarchico a Barcellona venisse arrestato assieme a un altro antifascista savonese [Oreste Roseo, recentemente scomparso] da poliziotti in borghese con i mitra spianati.

“In quell'istante – ricorda Marzocchi in un'intervista ripresa nel volume – abbiamo pensato a una carneficina, ritenendo si trattasse di un commando fascista. Fummo caricati su auto cellulari, condotti al commissariato principale di via Layetana e rinchiusi in celle separate, isolati gli uni dagli altri, fino al momento del rilascio , avvenuto la sera del 4 febbraio. Dopo aver confermato al giudice il verbale dei nostri interrogatori, siamo stati espulsi ed accompagnati dalla polizia fino alla frontiera francese”. (Vincenzo D'Amico- Giuseppe Milazzo- Giacomo Checcucci, Umberto Marzocchi, ISREC, p. 39-40)

Liberato dopo cinque giorni di prigionia grazie ad una mobilitazione internazionale subito attivatasi, Marzocchi denuncerà i limiti della transizione postfranchista in una grande manifestazione antifascista convocata a Savona dalle associazioni partigiane che vede la partecipazione di Umberto Terracini.

Iniziativa non isolata, ma ultima tappa di un costante impegno dell'antifascismo savonese a fianco dei democratici spagnoli contro il regime di Franco, testimoniato anche dalla pubblicazione nel 1961 a cura dell'ANPI di un quaderno su “L'epopea antifascista spagnola. Cenni storici sulla Guerra di Spagna”. Un impegno unitario che vede la partecipazione di tutta la sinistra, comunisti, socialisti e anarchici, al di là dei contrasti ideologici e delle lacerazioni provocate dai tragici fatti di Barcellona del maggio 1937 e dall'assassinio degli anarchici italiani Berneri e Barbieri.

Un conflitto aspro, scaturito da due concezioni diverse della lotta in corso: quella rivoluzionaria dei comunisti dissidenti del POUM e degli anarchici che legava indissolubilmente la resistenza antifascista alla partecipazione popolare dal basso, al potere dei consigli operai e contadini e all'approfondimento del processo rivoluzionario a partire dalla riforma agraria e dall'espropriazione di latifondisti e magnati della finanza e dell'industria. E quella patriottica e repubblicana del Partito comunista (e della Russia di Stalin) che non intende andare oltre la fase antifascista e che in nome dell'unità nazionale antifranchista respingeva fermamente ogni ipotesi di rivoluzione proletaria. Da qui lo scontro fratricida in Catalogna e la messa fuorilegge di anarchici e poumisti.



Una divisione destinata a durare a lungo, se ancora nel 1962, in piena destalinizzazione, Giacomo Calandrone, un altro savonese illustre impegnato nella guerra civile spagnola, nel suo libro di memorie “La Spagna brucia” ricostruiva contro ogni evidenza storica e la mole di materiali e documenti ormai disponibili la rivolta del POUM a Barcellona come opera di “agenti del nemico, lieti di coprirsi con una bandiera politica, per poter meglio svolgere la loro opera di provocazione”.

Eppure, nonostante la durezza dei contrasti, l'impegno antifascista a Savona riesce a mantenersi unitario, come unitaria era stata la lotta ai tempi della guerra civile, quando fra il settembre 1936 e l'estate 1937 ben 27 savonesi erano andati a combattere e a morire per la libertà del popolo spagnolo, mentre altri 19 risultano essere stati inquisiti, processati e confinati per attività di appoggio alla causa repubblicana.

Vicende ricostruite in un libro di Antonio Martino, “Antifascisti savonesi e guerra di Spagna”, edito anch'esso a cura dell'ISREC. Una ricerca incentrata sullo spoglio scrupoloso dei fascicoli della Regia Questura oggi depositati presso l'Archivio di Stato di Savona. Dalle schede biografiche dei personaggi studiati non emergono tanto le motivazioni politiche e i percorsi individuali, quanto la vigilanza assidua esercitata su di loro dall'apparato repressivo del regime (ma anche in qualche caso dello Stato repubblicano). Un limite che si spiega con la natura di carte di polizia dei materiali analizzati, più rivolti alla scoperta della attività pratica e dei contatti personali dei potenziali antifascisti che alla definizione delle loro effettive posizioni politiche e ideologiche.

27 savonesi di cui 21 già residenti all'estero, per lo più in Francia, espatriati per motivi politici o di lavoro, in larghissima parte giovani e di condizione operaia. Dati in sintonia con il quadro complessivo dei 4000 combattenti italiani in Spagna, in gran parte già residenti all'estero (in Francia soprattutto, ma anche in Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Unione Sovietica e Argentina), con un'età media di trent'anni, di condizione prevalentemente operaia.

    Giacomo Calandrone

Di questi 27 antifascisti 3 (Giuseppe Dughetti, Francesco Siri e Attilio Strazzi) cadranno in combattimento , mentre altri 8, rifugiatisi in Francia dopo la caduta della Repubblica, verranno consegnati alle autorità italiane dopo lo scoppio della guerra e l'armistizio fra i due paesi. Elevatissimo è il numero di coloro fra questi ex combattenti di Spagna che continueranno la lotta armata antifascista nella Resistenza francese dopo l'invasione nazista e poi dopo l'8 settembre 1943 in quella italiana. Sono 14 (Emilia Belviso, Libero Bianchi, Giacomo Calandrone, Tommaso Carpino, Costanzo Cecchin, Carlo Gazzaniga, Stefano Giordano, Amedeo Isolica, Umberto Marzocchi, Italo Oxilia, Pietro Pajetta, Vincenzo Raspino, Silvio Torcello, Luigi Vallarino) i resistenti già combattenti in Spagna, alcuni di essi ricopriranno incarichi di comando nella guerra partigiana grazie proprio all'esperienza militare accumulata nella guerra civile spagnola. Quattro di essi (Cecchin, Pajetta, Raspino e Torcello) perderanno la vita, fucilati dai nazifascisti o caduti in combattimento. Pietro Pajetta “Nedo” sarà insignito della Medaglia d'oro al valor militare.

Interessante anche l'appartenenza politica dei volontari savonesi in Spagna, rispecchiante perfettamente il più generale dato nazionale. Troviamo infatti soprattutto militanti del Partito comunista, ma anche socialisti, repubblicani, anarchici (Umberto Marzocchi). Fra loro una straordinaria figura di donna, quell'Emilia Belviso, già militante dell'apparato clandestino del PCI in Italia, poi voce di Radio Barcellona, infine coraggiosa combattente partigiana nel maquis prima a Parigi e poi a Nizza. Non mancano figure di primo piano dell'antifascismo come il capitano Italo Oxilia, lo stesso che aveva fatto espatriare Turati e liberato Rosselli, Nitti e Lussu dal confino di Lipari o Leonida Campolonghi, figlio del primo segretario della Camera del Lavoro di Savona, drigente della LIDU (Lega dei diritti dell'Uomo) e riorganizzatore della Massoneria italiana nell'esilio parigino.

Belle figure di combattenti, uomini e donne che dedicarono con estrema coerenza e dedizione totale la loro vita alla lotta per un'Italia libera, democratica e giusta. Pericolosi sovversivi per uno Stato che, nonostante la caduta del fascismo e l'avvento della repubblica, continuava a mantenere nei posti di comando di polizia, magistratura, forze armate, elementi formatisi durante la dittatura.

E così Libero Bianchi, portuale savonese, risulta dal 1950 inserito nel Casellario Politico Centrale del Ministero degli Interni come “comunista pericoloso” e per questo costantemente seguito nei suoi spostamenti e spiato nelle sue attività fino al momento della morte nel 1963. Eguale attenzione nei confronti di Italo Oxilia, il cui fascicolo viene chiuso solo nel 1971 e su cui si annota come vivesse “da solo in modestissime condizioni economiche”, avendo impegnato l'intero patrimonio di famiglia nella causa antifascista, “conservando le sue ideologie di socialista saragatiano”. Evidentemente, nonostante il PSDI fosse forza di governo dal 1948, la coerenza del vecchio militante socialista continuava a risultare sospetta per l'Ufficio Politico della Questura.

    Umberto Marzocchi

Ma Bianchi e Oxilia non sono i soli a essere monitorati da quegli stessi apparati che li avevano già spiati durante il fascismo, la vigilanza continuò per anni per molti altri antifascisti. Solo fra il 1949 e il 1951 verranno revocati in ottemperanza a disposizioni ministeriali molto tardive “i provvedimenti di qualsiasi genere richiesti per motivi politici in data precedente al 25 aprile 1945” nei confronti di Giovanni Gismondo di Alassio, Carlo Spallarossa di Finale, Francesco Ferruccio di Dego e Tommaso Carpino di Bardineto. E se questo era l'ordinario, possiamo immaginare cosa fossero i controlli (e le schedature) nei confronti di figure particolarmente in vista come Umberto Marzocchi o Giacomo Calandrone, mandato nel dopoguerra a organizzare le lotte bracciantili in Sicilia e deputato comunista fino al 1958.

Tutto questo mentre fucilatori e torturatori repubblichini uscivano dalle galere e in molti casi, vedi Almirante, riprendevano l'attività politica nelle fila del MSI. Segni evidenti di quella incompleta democratizzazione dello Stato, in Italia come in Spagna, che determinerà episodi oscuri come Gladio e la strategia della tensione negli anni '70. Vicende mai chiarite, ancora oggi senza colpevoli, che non risparmieranno neppure Savona e che rendono ancora più necessario mantenere viva la memoria di chi nelle galere e al confino fascista, in terra di Spagna e poi nella Resistenza sacrificò la sua giovinezza e in molti casi la vita per la la libertà di tutti.

I resistenti n.3 2015