Abbiamo
già parlato di questo libro, davvero molto interessante. Riprendiamo
ora la recensione apparsa sull'ultimo numero dell'edizione italiana
di Le Monde diplomatique. Le edizioni Tabor sono una piccola e
coraggiosa casa editrice della Val Susa impegnata sui temi della
difesa del territorio e del recupero della storia millenaria delle
libere comunità alpine.
Occitania.
L'utopia di un popolo senza senza Stato
In
Europa, gli occitani sono il più grande dei cosiddetti “popoli
senza Stato”. Patria della lingua d’oc,
parlata in un territorio continuo che va dalle Alpi ai Pirenei e
dall’Atlantico al Mediterraneo, l’Occitania non ha mai conosciuto
un’unità politica, sempre divisa da frontiere altrui (oggi quelle
di Francia, Italia e Spagna), e l’occitano ha subìto nei secoli
«l’alienazione
ingiusta e
crudele voluta
dalla scuola centralizzata,
che offende sin nel
profondo
dell’anima le
classi popolari, facendole
vergognare delle
loro origini popolari,
contadine o
montanare» (Tavo Burat). «Vietato sputare per terra e parlare
patuà»,
era scritto nelle scuole della Repubblica francese, dove i bambini
venivano puniti, e marchiati con il segnal,
perché colpevoli di usare la loro lingua madre, spesso l’unica che
conoscevano. Un genocidio culturale, realizzato attraverso la
colpevolizzazione dell’intero ambito di vita – famigliare, di
villaggio, di comunità – di cui la lingua è espressione, per
inculcare nelle classi povere un senso di inferiorità, dipendenza,
sudditanza nei confronti della cultura dominante, quella della classe
dominante.
È
così che, in Occitania come altrove, nelle pieghe della storia, le
rivendicazioni linguistiche e identitarie si intrecciano con i
conflitti di classe, diventando una
trincea di resistenza, un’occasione di riscossa e uno strumento di
liberazione (e non certo, come vorrebbe certo progressismo,
un’istanza reazionaria).
Questa
è la chiave di lettura con cui lo scrittore francese Gérard de Sède
interpreta e racconta i suoi Settecento
anni di rivolte occitane,
definendole tali non perché portatrici di una prospettiva
“occitanista” o nazionalista, ma perché inestricabilmente
radicate in
quel territorio e
nella sua storia,
una storia marchiata nelle carni da un «atto di predazione coloniale
che non si cancella mai completamente» (come scrive nella Prefazione
il collettivo «Mauvaise troupe»).
Non
a caso i Settecento
anni prendono il via
dal XIII secolo, da quella che, passata alla storia come “crociata
contro i catari”, fu in realtà una vera
e propria guerra di conquista finalizzata allo sterminio dell’intera
civiltà d’oc e dell’anomalia che rappresentava. Ma neppure un
milione di morti bastò ad annientare un tessuto sociale che
continuerà ad alimentare sotto le ceneri le braci della resistenza e
della rivolta.
Le
inarrestabili sollevazioni rurali dei tuchini e dei croquants
ai quattro angoli del
Paese; la guerriglia impregnata di profezia di ugonotti e camisards
tra i monti delle Cevennes; la strana guerra combattuta nei boschi
pirenaici dalle demoiselles;
le Comuni proclamate a Marsiglia e Narbonne nel 1870; la ribellione
dei vignaioli di Linguadoca nel 1907; la resistenza popolare dei
maquisards del
Limousin; la battaglia contro il campo militare del Larzac negli anni
Settanta… Sono solo alcuni degli episodi di una vicenda
deliberatamente cancellata dalla storia ufficiale, che Gérard de
Sède ripercorre in queste pagine in un racconto appassionato, «non
per crogiolarsi nel sogno di un impossibile ritorno al passato,
quanto piuttosto per attingere da questo passato la forza per
affermarsi aïci e ara,
qui e ora».
«L’Occitania
di domani – scrive infatti l’autore a conclusione del libro –
non dovrà riprodurre al suo interno le strutture dello
Stato-nazione, che non ha mai conosciuto nel corso della sua storia.
(…)
L’Occitania militante ha ben altre preoccupazioni che quella di
scegliersi una capitale, di stabilire nuove frontiere e di disegnare
le divise dei futuri doganieri, poliziotti e generali. Al tempo
stesso una e variegata, l’Occitania dovrà in futuro governarsi
senza un modello da seguire; dovrà mettere l’immaginazione al
potere, inventando la propria democrazia politica, economica e
sociale. (…) essa non partirà da zero. I suoi appigli storici,
antichi e recenti, sono molteplici e solidi: la vecchia tradizione
del foro e dei centri di potere multipli, la diffusa unità popolare
che emerge in ogni periodo di crisi (…), l’emergere negli ultimi
anni di movimenti sociali autonomi, una lunga abitudine alla
cooperazione, un tenace spirito libertario…».
Le
Monde diplomatique – Febbraio 2017
Gérard
de Sède
Settecento
anni di rivolte occitane
Tabor
2016
12
euro
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