TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 22 giugno 2018

Di giardini, commedie e processi. La Massoneria a Venezia nell'epoca dei lumi



Nata a Londra nel 1717 la Massoneria moderna si diffuse presto anche in Italia portata da viaggiatori e commercianti inglesi. Venezia fu, con Firenze e Livorno, una delle prime città in cui la nuova società si diffuse negli ambienti intellettuali che guardavano alla rivoluzione dei lumi. Come ogni parto, anche la nascita della Massoneria non fu indolore: ben presto fioccarono le accuse di empietà. sovversione, segretezza. Qualcuno, come Giacomo Casanova, finì in carcere, altri, come Carlo Goldoni, ne presero le difese. Nonostante il mito del “segreto” (che dura ancora) la Libera Muratoria divenne argomento di articoli, opere teatrali, dipinti e persino giardini.

Giorgio Amico

Di giardini, commedie e processi. La Libera Muratoria a Venezia nell'epoca dei lumi

Nella seconda metà del Settecento, soprattutto tra il 1770 e il 1780, cominciò a diffondersi nel Veneto il gusto per il giardino all’inglese o pittoresco. "Non più teatro di feste e di spettacoli con gran concorso di pubblico, come in epoca barocca, il giardino divenne luogo preposto alla meditazione dotta, meta di passeggiate solitarie o in compagnia di piccoli e selezionati gruppi di amici. Con l’abile manipolazione dell’elemento naturale, degli alberi che venivano appositamente selezionati, dei corsi d’acqua, delle rocce, e con la creazione di false rovine, di labirinti, di padiglioni architettonici riproducenti diversi stili del passato, dal gotico al cinese, dal rustico al moresco, di sculture e iscrizioni, il visitatore veniva guidato in una passeggiata didattica e si immergeva in una rappresentazione che poteva essere storica, letteraria, filosofica o, con appositi filtri atti a conservare il segreto, di ambito massonico". (B. Mazza Boccazzi, Simbologia massonica nel giardino veneto tra Settecento e Ottocento, Studi Veneziani, 2002)

Ma i giardini non sono l'unico indizio della presenza della istituzione massonica nella Serenissima Repubblica di San Marco. Tracce evidenti di simbologia massonica si riscontrano anche negli affreschi di Giambattista Tiepolo   che adornano le sale del Palazzo Marchesini-Valle a Vicenza. Affreschi realizzati su committenza del massone Giorgio Marchesini tra il 1750 e il 1760.

Le prime notizie sull'esistenza di logge sul territorio della Repubblica di San Marco risalgono intorno al 1730. Per quanto riguarda Venezia il Francovich fa coincidere il sorgere di una prima loggia con la permanenza nella città lagunare di Thomas Howard, duca di Norfolk, Gran Maestro della Gran Loggia di Londra. Una loggia raggruppante soprattutto residenti inglesi. Sempre il Francovich ipotizza che nel 1738, in concomitanza con la bolla "In Eminenti" di Clemente XII, le logge veneziane venissero chiuse d'autorità per riformarsi segretamente immediatamente dopo. E' solo nel 1746 che si inizia ad avere notizie certe sulla presenza in città di una loggia sempre inglese.

Parte importante in questa storia ebbe il veneziano Giacomo Casanova. Ricordato come seduttore e giocatore, casanova fu un autorevole esponente della massoneria europea di cui fu uno dei principali agenti. Racconta Francovich come  "il suo costante viaggiare dalla Spagna alla Russia, dall'Inghilterra all'Olanda e alla Germania fosse giustificato anche dalla funzione di agente segreto della confraternita. Egli stesso allude più volte a questo suo segreto". (C. Francovich, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, 1975)


Nelle sue Memorie il Casanova racconta di essere stato iniziato alla Libera Muratoria a Lione nel 1751. "Due mesi dopo ricevetti a Parigi il secondo grado e, alcuni mesi dopo ancora il terzo, quello di maestro, che è il massimo. Tutti gli alti titoli che mi fecero prendere in seguito, sono garbate invenzioni, di valore simbolico, che nulla aggiungono alla dignità di maestro".

Rientrato a Venezia nel maggio del 1753, egli entra in stretto contatto con il console inglese John Murray e con Joseph Smith, animatori della loggia massonica operante nella città lagunare, composta in prevalenza da inglesi, ma anche da patrizi e borghesi veneziani. Cosa ben nota in città, tanto da destare curiosità e interesse nei salotti e fra i cittadini. Lo testimonia il fatto che in pochi mesi fra il 1753 e il 1754 ben due commedie trattarono l'argomento, prendendo le difese della società attaccata pesantemente dalla Chiesa e dall'Inquisizione come eretica e sovversiva.


"Le donne curiose" di Carlo Goldoni

A Venezia, il 12 febbraio 1753, a conclusione del carnevale, debutta al Teatro di Sant'Angelo Le donne curiose di Carlo Goldoni. La commedia riportò un buon successo, addirittura superiore, secondo lo stesso autore, alla contemporanea Locandiera, opera di ben altro spessore e complessità. Si, perchè Le donne curiose resta un'opera minore nella produzione del Goldoni, ricordata più per la natura dell'argomento trattato che per le qualità artistiche del testo.

L'azione si svolge a Bologna dove un gruppo di benestanti borghesi sono membri di una “amichevole società”, presieduta dal mercante veneziano Pantalone de' Bisognosi, nella quale trascorrono le serate piacevolmente banchettando e discutendo. Da questa società sono escluse le donne, perchè la loro presenza, secondo Pantalone, potrebbe minacciare con gelosie e discordie la compattezza del gruppo di amici.

Questo divieto suscita la curiosità e il sospetto di mogli e fidanzate. C'è chi sospetta che il marito si giochi i beni di famiglia alle carte, un'altra pensa che il fidanzato incontri altre donne (“Dicono che no ne vogliono, ma noi non vi vediamo”), a un'altra è stato riferito che i loro uomini si dedicano a studi alchimistici alla ricerca della pietra filosofale.

Dopo essersi impossessate con l'inganno delle chiavi della casa dove gli uomini si riuniscono, le donne cercano di introdurvisi per scoprire cosa accada durante quegli incontri, ma senza riuscirvi. Disperate si rivolgono a Brighella, servo di Pantalone, che le fa entrare di nascosto affinchè possano vedere cosa realmente accade in quel luogo. Mogli e fidanzate possono assistere non viste alle cerimonie di quella “amichevole società” e rassicurarsi: in quegli incontri non avviene nulla di male. Quando alla fine vengono scoperte, ogni sospetto è ormai fugato e la concordia ristabilita.

Nelle sue Memorie Goldoni spiega il senso dell'opera: "Era questa Le donne curiose, commedia che, sotto un titolo ben nascosto, ben dissimulato, non altro rappresentava se non una loggia di franchi muratori (...) La commedia fu accolta con grandi applausi. I forestieri ne riconobbero senza indugio il senso nascosto, e i veneziani decisero che se Goldoni aveva veramente indovinato il segreto dei franchi muratori, i convegni della setta non si sarebbero più dovuti proibire in Italia”.

L'intento di Goldoni è chiaro: mostrare come il segreto massonico non celasse progetti di sovvertimento sociale o di corruzione dei costumi, come denunciava la Chiesa, ma soltanto i lavori di una pacifica e illuminata società, formata da uomini di buoni costumi e dedita al perfezionamento dei singoli e alla pratica del mutuo soccorso al di là di ogni barriera di ordine sociale. Va inoltre considerato come proprio nel 1751 il nuovo papa, Benedetto XIV, avesse confermato la scomunica dei massoni pronunciata da Clemente XII nel 1738. La polemica con la Chiesa è trasparente. 

La storia è ambientata a Bologna, città natale del papa e importante sede pontificia. Nella scena nona del primo atto, Rosaura (una delle curiose) affronta il fidanzato Florindo e cerca con moine e pressioni di farsi rivelare i segreti della compagnia. Pur sinceramente innamorato, questi rifiuta di violare il segreto scatenando ulteriori sospetti nell'amata. La battuta che questa pronuncia (“se non vogliono che si veda, vi sarà qualche cosa di brutto”) riprende quasi alla lettera la bolla di scomunica dei massoni promulgata da Clemente XII nel 1738 (“ nisi enim male agerent, tanto nequaquam odio lucem haberent”) con la quale si deplorava che nelle logge venissero accolte persone di religioni e idee diverse e che agli affiliati venisse imposto l'obbligo della segretezza.

"Ma quale mistero!" fa dire Goldoni ai suoi personaggi. “Oibò, freddure. Chiaccole della zente, alzadure d'ingegno de quelli che no volemo in te la nostra conversazione, i quali mettendone in vista per qual cossa de grando, i ne vorave precipitar” dice Pantalone nella scena quarta del terzo atto. E continua esponendo i principi della Società:

"Coss'è sto arcano? Qua no se fa scondagne, no se dise mal de nissun, né se offende nissun. Ecco qua i capitoli della nostra conversazion. Sentì se i pol esser più onesti, sentì se ghe xe bisogno de segretezza.
«Che non si riceva in compagnia persona che non sia onesta, civile e di buoni costumi».
«Che ciascheduno possa divertirsi a suo piacere in cose lecite e oneste, virtuose e di buon esempio».
«Che si facciano pranzi e cene in compagnia, però con sobrietà e moderatezza; e quello che eccedesse nel bevere, e si ubbriacasse, per la prima volta sia condannato a pagar il pranzo o la cena che si sarà fatta, e la seconda volta sia scacciato dalla compagnia».
«Che ognuno debba pagare uno scudo per il mantenimento delle cose necessarie, cioè mobili, lumi, servitù, libri e carta ecc.».
«Che sia proibita per sempre la introduzion delle donne, acciò non nascano scandali, dissensioni, gelosie e cose simili».
«Che l'avanzo del denaro che non si spendesse, vada in una cassa in deposito, per soccorrere qualche povero vergognoso».
«Che se qualcheduno della compagnia caderà in qualche disgrazia, senza intacco della sua riputazione, sia assistito dagli altri, e difeso con amore fraterno».
«Chi commetterà qualche delitto o qualche azione indegna, sarà scacciato dalla compagnia».
(E questo el xe el più grazioso, el più comodo de tutti). «Che sieno bandite le cerimonie, i complimenti, le affettazioni: chi vuol andar, vada, chi vuol restar, resti, e non vi sia altro saluto, altro complimento che questo: amicizia, amicizia». Cossa ghe par? Èla una compagnia adorabile?"



Carlo Goldoni e la Massoneria

E' possibile che Goldoni fosse entrato in contatto con ambienti massonici durante il suo soggiorno in Toscana del 1744-48 e che quindi fosse stato spettatore diretto delle polemiche ivi sorte proprio in merito ai fini "occulti" dell'associazione. Infatti, proprio in quegli anni, un ex benedettino ed ex massone senese, Giovanni Gualberto Bottarelli aveva pubblicato anonimamente due libelli che avevano suscitato grande scalpore in tutta Europa: L'Ordre des Francs-Maçons trahi, et le secret des mopses revelé (1745) e Les francs-Maçons écrasés (1746) in cui si rivelavano i rituali della Massoneria e si sosteneva che essa fosse stata fondata dal rivoluzionario inglese Oliver Cromwell con l'intento di sovvertire l'ordine politico esistente, abbattere le monarchie e instaurare il comunismo.

Nel 1746 poi era apparso Relazione della Compagnia de' Liberi Muratori di Valerio Angiolieri Alticozzi, gentiluomo di Cortona, in cui l'autore conferma l'esattezza delle notizie sui rituali pubblicate dal Bottarelli, ma nega che la Massoneria abbia fini eversivi. Quando questo libro uscì Goldoni viveva a Firenze e deve averne avuto conoscenza diretta. Prova ne sia che l'Alticozzi racconta la storia di una giovane ginevrina, mademoiselle Chantillon, che gelosa del suo innamorato massone, vestita da uomo tenta di penetrare nella sua loggia e di farsi addirittura iniziare. La coincidenza dei particolari con quanto rappresentato ne Le donne curiose è tale da escludere ragionevolmente che si tratti di semplice casualità.

Gli indizi di stretti rapporti fra il commediografo veneziano e la Massoneria sono numerosi e paiono confermare l'appartenenza di Goldoni all'istituzione liberomuratoria. Dato non sorretto da prove documentali e di conseguenza rifiutato da una parte degli studiosi, ma, come si diceva, suggerito da numerosissimi indizi. Oltre quanto scritto nelle Memorie, molti suoi amici e conoscenti erano massoni, fra i quali proprio i gentiluomini inglesi amici di Casanova. Scrive a questo proposito Francovich: "Non sappiamo se lo stesso Goldoni facesse parte della loggia veneziana; documenti in merito non esistono. Ma la lunga amicizia con Parmenione Trissino, venerabile della loggia di Vicenza, e con molti altri patrizi veneziani, che figureranno nell'elenco dei massoni del 1785, farebbero propendere per il si. (...) Nella sospettosa Repubblica di San Marco prendere apertamente le difese di una società segreta. Doveva richiedere un certo coraggio, che a nostro avviso, si giustifica meglio come autodifesa". E ancora: "Le prudenti ma chiare affermazioni di democrazia che si possono leggere ne Le donne curiose, sono perfettamente in chiave con i principi della libera muratoria inglese".




"I Liberi Muratori" di Francesco Griselini

L'anno successivo (1754) uscì a Venezia I Liberi Muratori, un'altra commedia il cui carattere muratorio è esplicito già nel titolo. L'opera, che stranamente non fu mai rappresentata in teatro, ebbe però un certo successo nelle librerie tanto da essere dopo pochi mesi ristampata e poi ancora ripubblicata nel 1785.

L'autore era Francesco Griselini, figura di modeste origini ma di non secondaria importanza nell'ambito dell'illuminismo italiano, intellettuale multiforme (pittore, commediografo, studioso di filosofia e di scienze naturali d economiche, giornalista), sicuramente massone. Il Griselini usa per firmare l'opera l'anagramma Ferling Isaac Crens "fratello operaio della loggia di Danzica" e pone come località di stampa la città di Libertapoli. In apertura pone una dedica a Aldinoro Clog, anagramma questa volta di Carlo Goldoni.

Anche questa commedia, di scarsissimo per non dire inesistente valore artistico, tratta di donne curiose che tentano di penetrare in una loggia per scoprirne i segreti. Ma Griselini non si limita come il più illustre collega a mettere in ridicolo le dicerie anti massoniche, ma descrive con dovizia di particolari gli arredi e gli oggetti della loggia, l'insediamento del nuovo Maestro Venerabile. La precisione con cui egli descrive le varie fasi del cerimoniale mostrano chiaramente la volontà di far conoscere ai profani cosa sia veramente la Massoneria in modo da rendere evidente l'infondatezza delle accuse di segretezza e di comunismo.

Illuminante è il discorso del Segretario nella quarta scena del quinto e ultimo atto in cui questi dichiara:

“Vi sono poi certi maligni che ci giudicano come persone che nodriscono delle massime opposte alla pubblica quiete, contrarie agli interessi de' principi (...) rivolte a studiare il modo di (...) rivolgere il sistema delle presenti dominazioni, riduceno il mondo a un'universale repubblica, ove tutti servano e comandino, che il tutto sia di tutti (...) [Costoro] non s'avvedono che, se la nostra società covasse un pensamento così contrario alle mire politiche del principato (...) non verressimo tolerati in qualche città dove le nostre loggie si possono mostrare a dito? Con queste prevenzioni in vienna ed in Napoli non che a Berna furono sorprese delle loggie con i franchi muratori radunati. Furono carcerati; ma, conosciuta la loro innocenza e ch'essi non nutrano cattive intenzioni, furono riposti incontinente il libertà".

Ma chi sono allora i massoni per Griselini? La risposta va ben oltre a quanto affermato dal Goldoni che aveva in qualche modo ristretto il fine della Massoneria al semplice perfezionamento morale individuale da raggiungersi attraverso l'amicizia e le buone opere, per assumere valenza sociale e dunque, nonostante le stesse affermazioni dell'autore, politica.

I Liberi Muratori sono "un ceto di persone illustri, che altro non annidano nella loro mente che idee magnanime e sublimi. Aspirano a far rinascere nel mondo l'età felice dell'oro, ed a sbandire la miseria e la povertà dal consorzio umano"

Dunque in pochi mesi ben due opere teatrali trattano della Massoneria e questo non passò di certo inosservato agli ambienti conservatori e filo papali, rinfocolando sospetti e paure. Come non passò sotto silenzio che nella polemica allora in corso fra Carlo Goldoni e l'ex gesuita Pietro Chiari sugli ambiti e gli scopi della "Commedia" e in cui il primo sostiene contro la stanza riproposizione della vecchia commedia dell'arte fatta di personaggi stereotipati una nuova commedia capace di rappresentare la società borghese in formazione, il massone dichiarato Giacomo Casanova si schieri apertamente a fianco dell'amico usando toni irridenti nei confronti del teatro dell'abate Chiari considerato semplice riproposizione di temi e situazioni ormai da tempo superate, sterile "copiar carte".


L'arresto di Giacomo Casanova

Paure e sospetti, aizzati dalla corte papale e dalle stesse gerarchie ecclesiastiche venete, che finirono infine per scaricarsi sull'anello più debole e al tempo stesso più noto della catena massonica, quel Giacomo Casanova, libertino e presunto baro, accusato di spingere i giovani all'ateismo con le parole e l'esempio della sua vita dissoluta. 

"... essendomi portato questa mattina alla di lui casa... mi fece vedere una pelle bianca, che aveva in detto baule, in forma di una piccola traversa da potersi cingere alla vita, le ho domandato in che se ne servisse, mi rispose che quella si usa quando si va in un certo luogo, ove si adoperano anche dei ferri, et un abito nero, le ricercai dove fossero i ferri e l'abito, mi disse che si tengono nella loggia, perchè di troppo pericolo sarebbe tenerli in casa".

Sulla base di rapporti come questo di spie e informatori, Giacomo Casanova fu arrestato e interrogato; davanti ai giudici si comportò con coraggio: ammise la sua appartenenza alla Massoneria, ma rifiutò di rivelare agli inquisitori notizie sui riti e i partecipanti. Fu così condannato a cinque anni di carcere da scontare ai Piombi, dai quali riuscì a fuggire forse con l'aiuto dei "fratelli" quindici mesi dopo il suo arresto.

Al di là degli aspetti più legati alla discussa e contraddittoria figura dell'avventuriero veneziano, questo processo riveste grande importanza per gli storici delle origini della Libera Muratoria in Italia confermando la presenza di una loggia a Venezia in quegli anni e come ciò venisse vissuto come una possibile minaccia per l'ordine costituito.Situazione destinata a durare con alti e bassi fino all'arrivo alla fine del secolo delle truppe francesi e al formarsi di quelle logge napoleoniche destinante a diventare poi all'inizio del XIX secolo il primo Grande Oriente d'Italia.