TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 30 marzo 2019

Il Movimento Sociale Italiano e gli Stati Uniti. Una storia complessa


    Milano. Anni '60

A partire dal voto sull'adesione alla NATO nel 1949 il Movimento Sociale Italiano puntò a diventare il più saldo alleato degli USA in Italia. Nel clima della Guerra fredda e del confronto globale fra i blocchi i neofascisti ritrovavano un loro spazio politico come la forza più coerentemente anticomunista.Da forza antisistema (vedi i Fasci di Azione Rivoluzionaria negli anni del dopoguerra), i missini diventano il puntello estremo della pregiudiziale anticomunista del sistema di potere DC. Questo scatena non poche contraddizioni all'interno del partito, soprattutto nella sinistra socializzatrice che si rifà alla Carta di Verona, tra gli ex-combattenti della RSI e soprattutto fra gli evoliani. Un libro ricostruisce oggi questa storia complessa.

Guido Panvini

Destra, le radici di una svolta nel rapporto tra Usa e Msi


La storia delle destre nell’Italia repubblicana rimane ancora oggi un oggetto nebuloso. In particolar modo quella del neofascismo appare come un tema difficile: non in conseguenza di un tabù, come lamenta, in primo luogo, l’intellighenzia di area, quanto piuttosto per l’inadeguatezza delle chiavi interpretative e delle metodologie di ricerca impiegate nel suo studio. Il bel libro di Gregorio Sorgonà, La scoperta della destra. Il Movimento sociale italiano e gli Stati Uniti (Viella, pp. 308, euro 25) contribuisce a fare chiarezza su un argomento in cui dominano, ancora, pregiudizi, antiche categorie e molta pigrizia intellettuale.

Il saggio ricostruisce il dibattito interno al Movimento sociale sul ruolo degli Stati Uniti nella politica nazionale e internazionale, dal dopoguerra fino alla dissoluzione del partito guidato da Giorgio Almirante. L’attenzione viene rivolta alle diverse fasi della guerra fredda e alle ripercussioni che ne conseguono nella cultura politica del Msi.

Lungi dall’apparire come un piccolo universo monolitico, il Movimento sociale viene restituito in tutta la sua pluralità. Certamente compatti e uniti contro una realtà avvertita come ostile, i neofascisti si dividevano in realtà su tutto il resto. Le differenze si stagliavano molto al di là delle correnti di partito, riguardando tutti i campi con cui il Msi si confrontava.

La politica internazionale costituisce un osservatorio privilegiato dal quale cogliere l’eterogeneità espressa dal neofascismo. Sorgonà ricostruisce bene la complicata dinamica d’interazione tra l’anticomunismo, il minimo comun denotatore delle diverse anime del partito, e le spinte nazionaliste, più o meno aggressive, ricorrenti negli anni della guerra fredda. Tra i due poli della questione sembrerebbe non esserci contraddizione, ma la serie di dilemmi che questi indirizzi aprivano erano tanti e di cruciale importanza: fino a che punto e in che misura gli Stati Uniti potevano considerarsi un riferimento per la destra neofascista? Quali erano le possibilità di compromesso che si potevano accettare con l’ordine internazionale bipolare deciso dalle due superpotenze?


Il Movimento Sociale è stato a lungo considerato come uno instrumentum regni degli Stati Uniti nell’Italia della guerra fredda. La sua cultura politica, conseguentemente, non doveva essere presa troppo sul serio: come se i dibattiti interni al partito fossero una cortina fumogena che mascherava, in realtà, un’unitarietà d’intenti e di obiettivi.

Tra l’altro, come dimostrano le ricerche d’archivio condotte da Sorgonà, lo stesso rapporto dei dirigenti del Msi con gli esponenti della destra statunitense, in particolar modo con i rappresentanti del Partito repubblicano, erano tutt’altro che lineari. Troppo grande la sproporzione tra le forze politiche che si confrontavano, troppo debole la posizione dell’Italia nello scacchiere internazionale.

Lo squilibrio diviene ancora più evidente tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta quando una nuova generazione di dirigenti missini si afferma alla guida del partito. La diffusione dei consumi di massa non poteva non avere conseguenze tra i neofascisti, nonostante i muri dottrinari che gli intellettuali di destra radicale, primo fra tutti Julius Evola, avevano provato a erigere.

La cultura politica neofascista esce trasformata da questo confronto. Sorgonà si spinge oltre agli studi che fino adesso hanno privilegiato gli ambienti giovanili e anticonformisti della destra radicale, interrogandosi sulle mutazioni intervenute all’interno del Movimento sociale. Per nulla estranei alla modernità, come sovente sono stati definiti, i neofascisti seppero cogliere le trasformazioni in corso, adeguando la propria cultura e di conseguenza la propria politica ai cambiamenti intervenuti. Come ci dimostra Sorgonà, l’affermazione delle destre negli anni Novanta trova in questo cruciale passaggio un vero e proprio momento di svolta.

Il Manifesto – 12 marzo 2019